Nel test del numero in edicola da domani abbiamo trovato che solo 4 campioni di acqua minerale su 18 non mostrano tracce di pesticidi. Una contaminazione che arriva anche alle fonti e che a volte è sconosciuta anche ai produttori
Non c’è da stupirsi. Dopo che accurate ricerche scientifiche hanno trovato i pesticidi perfino sulle cime delle Alpi e dopo che l’Ispra li ha misurati anche nelle acque sotterranee italiane, c’era un qualche motivo per sperare che non contaminassero anche le sorgenti delle acque minerali italiane?
No, almeno ad essere ragionevoli, ed è esattamente quanto ha registrato il test di copertina
del numero del Salvagente in edicola da venerdì 26 luglio, trovando che solo in quattro casi su diciotto i laboratori incaricati dal Salvagente non hanno registrato traccia di residui di fitofarmaci.
Se la contaminazione dell’acqua minerale, come dicevamo, era immaginabile vista la diffusione della chimica in agricoltura, quello che ci ha stupito è che alcune delle aziende che abbiamo informato delle analisi – come sempre facciamo in questi casi – non ne avessero coscienza. E non per colpevole ignoranza o noncuranza.
Quali pesticidi cercare nell’acqua minerale? Lo decidono le Arpa
Vale la pena anticipare un passaggio della lunga inchiesta di Lorenzo Misuraca che potrete leggere sul numero di agosto: la risposta che ci ha dato la Cogedi, la società che commercializza Uliveto e Rocchetta. L’azienda ci spiega che un decreto del 2015 indica “che tra le classi di composti elencate si devono ricercare gli antiparassitari che hanno maggiore probabilità di trovarsi nel territorio influente sulla risorsa interessata, in considerazione anche della loro pericolosità”. Sono le Arpa competenti per ciascuna regione a trasmettere ai titolari delle concessioni l’elenco degli antiparassitari da ricercare. E non ci sono i residui che abbiamo trovato nelle minerali.
Prima osservazione obbligata: possibile che nell’elenco delle Agenzie regionali di protezione ambientale non siano compresi pesticidi assai comuni come il peperonyl butoxide, la cypermethrine, perfino il Deet (utilizzato anche nei repellenti antizanzare)?
Non solo è possibile, per quanto inspiegabile, ma è quanto ha messo in imbarazzo molte grandi aziende di un mercato che teme pochi confronti in Italia e nel mondo, come quello delle bollicine nostrane.
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Limitare i controlli per evitare problemi?
Seconda osservazione che può sfuggire a molti non addetti ai lavori è sui motivi che spingano a non prevedere analisi più complete sull’acqua minerale.
Qualcuno potrebbe pensare che per cercare più sostanze servano laboratori all’avanguardia, maggiori costi e molto tempo, condizioni che penalizzano aziende che debbono mettere in commercio il proprio prodotto e per le quali, come si suol dire, il tempo è denaro. E invece una prova multiresiduale che dia risposte su oltre 700 molecole, come quella che abbiamo condotto noi, richiede poche ore di lavoro. Certo costa, ma non molto di più di una stessa ricerca che si limiti a un numero più ridotto di sostanze.
Le aziende potrebbero – è indiscutibile – andare al di là di quanto dice la legge e impongono le agenzie regionali, ma il dato sconcertante è che queste ultime dedichino il loro tempo a depennare le sostanze da non indagare nella convinzione che non sia probabile trovarle nelle sorgenti. Una pretesa che appare illogica e perfino poco rispettosa della legge. Illogica proprio alla luce delle scoperte – e non di oggi – di scienziati che hanno trovato pesticidi perfino ai poli, a migliaia di chilometri da dove vengono utilizzati. Poco rispettosa delle norme perché per l’acqua minerale (unico alimento a prevederlo) esiste un limite di legge all’effetto cocktail: 0,5 microgrammi per litro per la somma di tutti i pesticidi.
Per dirla come Totò, è sempre la somma che fa il totale, ma se si limitano gli addendi, il risultato può cambiare.
Su questo incomprensibile atteggiamento di chi dovrebbe vigilare e imporre le regole sull’acqua minerale italiana, il Salvagente continuerà a indagare per raccontarvi gli esiti nei prossimi numeri.