Una recente ricerca italiana ridimensiona il pericolo legato alle bruciature inevitabili sulla pizza. E finalmente viene riabilitato un alimento che ha più di un beneficio dal punto di vista nutrizionale (e non solo)
Tanto rumore per nulla. E così dopo che la pizza, uno dei simboli più iconici del Made in Italy, era stata messa sul rogo da chi ne aveva decretato una presunta cancerogenicità a causa delle sue bruciature, è arrivata la notizia che in “appello” è stata assolta.
Per fugare ogni dubbio sui reali rischi per la salute sarebbe stato sufficiente chiamare sul banco dei testimoni la “scienza” attraverso i ricercatori e gli studiosi. Ma tant’è, si è dovuto attendere fin troppo per una riabilitazione di cui margherita, marinara & Co. non avrebbero avuto bisogno. Puntualmente arrivata nelle parole di Mauro Moresi dell’Accademia dei Georgofili.
Questo caso della pizza, fonte di forme di cancro nei consumatori, ripropone il problema di allarmi lanciati talvolta troppo semplicemente che possono creare a cascata più danni, alle varie filiere produttive coinvolte, del pericolo che viene preannunciato mediaticamente.
È indubbio che la pizza sia un prodotto tradizionale che nutrizionalmente ha accompagnato nel passato le fasce economicamente più deboli di consumatori e che oggi favorisce soprattutto la convivialità fra giovani e meno giovani oltre a fare da volano economico.
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Tutto questo non pregiudica che la pizza sia modificabile nei suoi ingredienti, nell’evoluzione delle tecnologie di produzione, nel suo valore sensoriale o nutrizionale.
I maestri pizzaioli dalle iniziali critiche sono stati stimolati a migliorare numerosi aspetti del prodotto e del processo di cottura di un prodotto che era già eccellente da vari punti di vista.
Il “capo di accusa” più grave, ricordiamolo, si è concentrato sulle parti bruciacchiate della pizza che inevitabilmente si formano durante la cottura quando viene a contatto con la platea del forno che si trova a circa 450 °C. Queste parti carbonizzate contengono dell’acrilammide che sappiamo bene essere classificata come “potenziale agente cancerogeno” e pertanto regolamentata dalla Commissione europea (RE 2017/2158).
Se fosse la trama di un giallo saremmo davanti a un indizio da confermare e trasformare in prova.
E sul banco potrebbe essere chiamato a testimoniare Paracelso con la sua locuzione “Sola dosis venenum fact” ovvero “è la dose a fare il veleno”. Nel caso della pizza è la superficie carbonizzata a costituire realmente un rischio per la presenza di sostanze cancerogene come l’acrilammide e questa superficie è pari a circa il 3% del peso.
Se le “bruciature” sono calcolate basandosi solo sulla superficie è evidente che il rischio cresce perché la dose è maggiore. Va aggiunto che spesso si tralascia di consumare il cosiddetto “cornicione” e questo riduce ancora di più il pericolo collegato alle sostanze carbonizzate e di conseguenza, se riportiamo ciò al peso complessivo della pizza mangiata i rischi di “cancerogenicità” si riducono ulteriormente.
La pizza però merita ancora di più di essere citata come piatto completo che nasce dal matrimonio perfetto fra pomodori, frumenti di qualità, olio extravergine di oliva, lievito madre, formaggi, erbe aromatiche etc. che la rendono uno scrigno di sostanze utili per la nostra salute e non certo un rischio.
Una pizza classica di circa 300 g. fornisce circa 800 calorie, per cui non è uno snack, ma contiene 5,5 g. di fibre e 24 g. di proteine ma anche del calcio grazie alla mozzarella, del licopene e carotenoidi del pomodoro, dei polifenoli dall’EVO, gli antiossidanti da basilico oppure dalle altre spezie usate nel cosiddetto topping.
Tanti studi scientifici hanno focalizzato la loro attenzione sulla pizza e ne sono nate a basso contenuto di sodio, oppure senza glutine e quindi adatte a persone celiache, pizze a basso indice glicemico adatte per i diabetici, fino alla definizione di pizza “nutraceutica”. Quest’ultima, anch’essa studiata all’Università di Napoli Federico II evidenzia il ruolo protettivo dovuto all’intera squadra costituita dai polifenoli dell’EVO, dai carotenoidi, dagli antiossidanti, da frumenti di qualità e valorizzati da una cottura ideale.
La pizza non è più uno strappo alla dieta, ma piuttosto un piatto completo inseribile nutrizionalmente e salutisticamente alla pari di tanti altri prodotti suggeriti per la nostra salute.
La pizza è una delle migliori espressioni di “street food”, da mangiare passeggiando unendo così salute, cultura e socializzazione. È, con altri prodotti del territorio italiano, fondamenta del concetto di Made in Italy, un sinonimo di qualità e di valore storico e culturale.
L’assoluzione della pizza dall’essere un potenziale rischio per la nostra salute è una bella notizia, ancora più utile sarebbe stato evitare la “gogna” per una filiera produttiva che fa conoscere nel mondo il brand del Made in Italy, crea occupazione e molto spesso nei giovani un sogno di libertà e una speranza di crescita sociale.