Malattia, quando l’assenza prolungata mette a rischio il posto di lavoro

MALATTIA LAVORO

Si può essere licenziati per il superamento del periodo massimo di malattia? Cosa prevede il contratto di lavoro a tempo indeterminato e quali sono le tutele per il lavoratore

Nel momento in cui un lavoratore sottoscrive un contratto di lavoro si assume l’obbligo di prestare la propria attività al datore, nel rispetto dei termini e degli orari previsti nell’accordo. Possono tuttavia verificarsi delle situazioni per le quali il suddetto dipendente venga privato temporaneamente della capacità lavorativa e tra le motivazioni dietro questa fattispecie c’è anche la malattia. La legge tutela i lavoratori in questi casi, garantendo loro la possibilità di recuperare la forma psicofisica senza aggiungere l’aggravante della perdita dell’impiego, ma sono stabiliti dei limiti di tempo nei contratti collettivi. Oltrepassate le soglie previste, infatti, il datore avrà il pieno diritto di licenziare il proprio dipendente per l’assenza prolungata.

Il periodo di malattia del lavoratore dipendente

Quando si parla di periodo di malattia del lavoratore dipendente si fa riferimento alla fase di temporanea alterazione del suo stato di salute psicofisico che gli impedisce di adempiere regolarmente la prestazione previste nel contratto sottoscritto con il datore. Al verificarsi di tale situazione, il lavoratore può essere esonerato dalla presenza in servizio e assentarsi solo dopo aver presentato al datore uno specifico certificato telematico di malattia redatto dal suo medico curante. All’interno di questo documento dovranno essere indicati i dati del lavoratore e la prognosi della malattia, ovvero il numero di giorni di astensione lavorativa prescritti dal medico.

Nel corso del periodo di malattia, al lavoratore dipendente vengono riconosciuti una serie di diritti che riguardano, principalmente:

  • la tutela reddituale;
  • la conservazione dell’occupazione.

Più nello specifico, in riferimento al primo aspetto, il dipendente ha diritto ad ottenere l’indennità di malattia Inps, cioè un rimborso economico sostitutivo della retribuzione corrisposta dal datore di lavoro. Si sottolinea inoltre che nella maggior parte dei Ccnl è previsto che l’imprenditore aggiunga, a proprio carico, un’integrazione dell’indennità pagata dall’Inps che vada a rafforzare tutela reddituale del lavoratore assente per malattia. Per quanto riguarda, invece, la conservazione dell’occupazione durante il periodo di malattia, la legge, art. 2110 del codice civile, prevede che il datore di lavoro non possa licenziare il dipendente assente per malattia per un periodo di tempo massimo previsto dalla contrattazione collettiva applicabile al rapporto di lavoro, il cosiddetto periodo di comporto.

Il periodo di comporto

Il periodo di comporto, come detto, mira a garantire la conservazione del posto di lavoro del dipendente in malattia. Se ne deduce che finché l’assenza del lavoratore rientra nei tempi previsti, il datore potrà licenziare il dipendente solo per giusta causa o per giustificato motivo dovuto a sopravvenuta impossibilità della prestazione o cessazione totale dell’attività d’impresa. Questo lasso di tempo garantito al lavoratore è stabilito dalla legge ed è regolato dai contratti collettivi del lavoro o, in assenza, dagli usi e dalla prassi consolidata. Più nello specifico, l’art. 2110 del codice civile stabilisce che “l’imprenditore ha diritto di recedere dal contratto a norma dell’articolo 2118, decorso il periodo stabilito dalla legge, dagli usi o secondo equità”, mentre nei Ccnl viene definita:

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  • la durata del periodo di comporto;
  • l’arco temporale di riferimento, ovvero se si fa riferimento ad un anno solare – 365 giorni che decorrono dal primo evento di malattia o a ritroso dalla data di licenziamento – o di calendario, dal 1° gennaio al 31 dicembre;
  • le modalità di calcolo del periodo, sia questo secco o per sommatoria (ulteriori specifiche su questo aspetto verranno fornite nei paragrafi successivi).

Nel momento in cui termina il periodo di comporto, il rapporto tra datore di lavoro e dipendente prosegue, salvo il caso in cui da parte dell’imprenditore non vi sia la volontà di recedere il contratto seguendo le regole previste per i normali licenziamenti. Ecco dunque che il datore dovrà rispettare il periodo di preavviso e giustificare le ragioni che lo hanno indotto a scegliere di rinunciare al proprio dipendente.

Durata e calcolo del periodo di comporto

Il periodo di comporto ha una durata che varia a seconda del fatto che il lavoratore interessato sia un impiegato o un operaio. Per i primi, infatti, il periodo di conservazione del posto di lavoro è regolamentato dalla legge all’art. 6 del regio decreto legge n. 1825/24 e si basa sull’anzianità di servizio:

  • è di 3 mesi quando il periodo lavorato non supera i dieci anni;
  • è di 6 mesi  quando il periodo lavorato supera i dieci anni.

Si tratta, come evidente, di tempi molto ristretti, motivo per il quale nella prassi si fa molto più spesso riferimento ai singoli contratti collettivi nazionali del lavoro, specie se questi presentano delle condizioni di miglior favore. Per gli operai, invece, opera soltanto il Ccnl. Vediamo qualche esempio concreto in tal senso: il contratto collettivo commercio e terziario – confcommercio, prevede che il posto di lavoro possa essere confermato per un periodo di tempo massimo pari a 180 giorni in un anno solare, senza distinzioni sul fatto che il lavoratore subordinato sia un operaio o un impiegato. E ancora, il Ccnl metalmeccanica industria, stabilisce che il periodo di conservazione del posto si riferisca alle assenze verificatesi nei 3 anni precedenti l’ultimo evento di malattia.

Per il calcolo del periodo di comporto possono essere applicate due differenti metodologie di conteggio:

  • il comporto secco, che prevede che il periodo di tempo faccia riferimento ad ogni singolo evento morboso, cioè l’insorgere di ogni nuova malattia innesca un nuovo conteggio dei giorni;
  • comporto per sommatoria, con il periodo che tiene conto di tutti gli eventi morbosi verificatisi in un determinato lasso di tempo di riferimento che, solitamente, si fa corrispondere a due o tre anni.

È necessario inoltre sottolineare che qualora il contratto collettivo di un lavoratore preveda solo il comporto secco, con il lavoratore che potrà dunque assentarsi in più occasioni per un numero di giorni inferiore al limite, la Corte di Cassazione ha previsto nella sentenza n. 14633 del 2006 che venga utilizzo anche un altro termine di riferimento. Più nello specifico, oltre comporto secco previsto dal Ccnl, definito come interno, il datore di lavoro potrà rifarsi anche al periodo di vigenza del contratto collettivo, in quello che è detto comporto esterno. Se il dipendente dovesse risultare conforme al periodo del comporto secco interno, ma non a quello esterno, il datore avrà il diritto di poterlo licenziare. Per rendere più comprensibile questo passaggio ipotizziamo che un Ccnl con decorrenza dal 1° gennaio 2016 e scadenza 31 dicembre 2018 (3 anni), preveda un comporto secco di 180 giorni. Il dipendente in 3 anni ha avuto due eventi di malattia, il primo di 120 giorni e il secondo di 70. Guardando al limite interno, il lavoratore non ha mai superato per ogni singolo evento la soglia di comporto stabilita a 180 giorni. Utilizzando il criterio della Corte di Cassazione, invece, si palesa una situazione diversa per il dipendente che, in 3 anni, ovvero il periodo di vigenza del Ccnl, ha oltrepassato nella somma degli eventi i 180 giorni garantiti di comporto. Ecco dunque che il datore di lavoro potrà in questo caso provvedere a licenziare il proprio dipendente.

Il licenziamento per superamento del periodo di comporto

Come più volte ribadito, nel momento in cui un lavoratore dipendente oltrepassa il periodo di assenza dal lavoro tutelato dal comporto, può essere soggetto al licenziamento da parte del datore. Quest’ultimo potrà adottare una specifica tipologia di recesso, ovvero il licenziamento per superamento del periodo di comporto. In questo caso la lettera in cui si informa il dipendente della cessazione del contratto dovrà indicare dettagliatamente tutte le assenze per malattia che sono state effettuate dal lavoratore e che sono state conteggiate nel calcolo del comporto. Così come previsto dall’articolo 2118 del codice civile, al lavoratore licenziato spettano le competenze di fine rapporto e un’indennità sostitutiva del preavviso calcolata sulla base della durata prevista dalle disposizioni del Ccnl in uso. Si sottolinea inoltre che, in base  quanto chiarito dalla giurisprudenza, il datore di lavoro non ha alcun obbligo di informare il proprio dipendente dell’imminente superamento del limite del comporto. Andrà tuttavia verificato se il lavoratore, prima della fine del periodo di comporto, abbia chiesto la fruizione dell’aspettativa non retribuita per malattia. Anche in tal caso occorre fare riferimento ai singoli Ccnl: molti di questi predispongono la possibilità che il dipendente possa continuare ad essere assente per malattia, anche dopo il comporto, per un ulteriore periodo di tempo, mantenendo il diritto alla conservazione del posto di lavoro. Quando entra in aspettativa per allungare il proprio periodo di malattia, il dipendente mantiene dunque il proprio posto di lavoro, ma perde tutti gli altri profili previsti dal contratto, compreso quello di natura retributiva.