L’ipertensione arteriosa è una condizione che colpisce sempre più giovani e che causa malattie cardiovascolari anche invalidanti. Non sempre si presenta con sintomi chiari e riconoscibili, per questo è importante misurare costantemente la pressione e adottare alimentazione e stili di vita sani
L’ipertensione arteriosa è in costante aumento nei giovani. Una tendenza che gli esperti rilevano da tempo. Ad esempio, già nel 2015, gli autori di un documento a cura dell’Università La Sapienza di Roma e Irccs Neuromed di Isernia, riportavano alcuni suggerimenti di numerose società scientifiche. In quelle righe si raccomandava lo screening per l’ipertensione arteriosa nei giovani di età maggiore a 18 anni. In quel periodo l’americano National Heart, Lung and Blood Institute aveva rivisto le raccomandazioni, consigliando misure di routine della pressione arteriosa tra 0 e 3 anni e misurazioni annuali nei bambini e negli adolescenti da 3 a 17 anni, soprattutto per la prevenzione e per le conseguenze in età adulta.
Anche la Società europea di ipertensione arteriosa raccomanda di misurare la pressione arteriosa nei bambini di età superiore ai 3 anni che si recano in un ambiente medico, convinti ormai che la pressione sanguigna aumenti con l’età e le dimensioni del corpo.
In Italia se ne parla da tempo, ed è attivo il gruppo di studio della Società italiana dell’ipertensione arteriosa (Siia) – Lega Italiana contro l’ipertensione arteriosa. Nell’ultimo congresso di ottobre, a Roma, si sono confrontati numerosi specialisti per accendere i riflettori sugli aspetti terapeutici dell’ipertensione arteriosa sia nella sua forma essenziale che in quelle secondarie. Infatti, ampio spazio è stato dedicato alle interazioni metaboliche dello stato ipertensivo, con particolare riguardo al diabete, obesità e sindrome metabolica.
Che cos’è l’ipertensione arteriosa
L’ipertensione arteriosa è una condizione caratterizzata dall’elevata pressione del sangue nelle arterie, che è determinata dalla quantità di sangue che viene pompata dal cuore e dalla resistenza delle arterie al flusso del sangue. A oggi è un problema che interessa circa il 30% della popolazione adulta di entrambi i sessi. Nelle donne è più frequente dopo la menopausa.
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Quali sono le conseguenze dell’ipertensione arteriosa
L’Istituto Humanitas precisa che l’ipertensione arteriosa non è una malattia, ma un fattore di rischio, ovvero una condizione che aumenta la probabilità che si verifichino altre malattie cardiovascolari. Per questo, è importante individuarla e curarla: per prevenire i danni che essa può provocare.
Le patologie più diffuse, conseguenza dell’elevata pressione sanguigna, sono:
- angina pectoris;
- infarto miocardico;
- ictus cerebrale.
L’ipertensione primaria e secondaria
L’ipertensione arteriosa può essere classificata in primaria e secondaria.
- Ipertensione arteriosa primaria (o essenziale)
Rappresenta circa il 95% dei casi di ipertensione, non esiste una causa precisa, identificabile e curabile: gli elevati valori pressori sono il risultato dell’alterazione dei meccanismi complessi che regolano la pressione (sistema nervoso autonomo, sostanze circolanti che hanno effetto sulla pressione).
- Ipertensione arteriosa secondaria
Rappresenta il 5% dei casi ed è la conseguenza di malattie, congenite o acquisite, che interessano i reni, i surreni, i vasi, il cuore, e per questo viene definita ipertensione secondaria. In questi casi, l’individuazione e la rimozione delle cause (cioè, la cura della malattia di base) può accompagnarsi alla normalizzazione dei valori pressori.
L’ipertensione secondaria colpisce anche i giovani
A differenza dell’ipertensione arteriosa essenziale, che classicamente interessa la popolazione adulta, l’ipertensione secondaria interessa anche soggetti più giovani e spesso si caratterizza per valori di pressione più alti e più difficilmente controllabili con la terapia farmacologica. È importante sottolineare che in alcuni casi l’aumento dei valori di pressione arteriosa dipende dall’uso (talvolta dall’abuso) di alcune sostanze tra cui, per esempio, la liquirizia, gli spray nasali, il cortisone, la pillola anticoncezionale, la cocaina e le amfetamine. In questi casi, sospendendo l’assunzione di queste sostanze, i valori pressori tornano alla normalità.
Le cause dell’ipertensione arteriosa
Ci sono fattori che predispongono le persone a questa condizione. Fattori che dipendono dall’età, ma anche dall’alimentazione e dagli stili di vita. Sono proprio queste ultime cause a determinare un aumento del problema anche nei giovani.
Ecco i fattori più comuni:
- Familiarità
La presenza, in famiglia, di soggetti ipertesi aumenta la probabilità che un paziente sviluppi ipertensione arteriosa.
- Età
La pressione arteriosa aumenta con l’avanzare dell’età, per effetto dei cambiamenti che si verificano a carico dei vasi arteriosi (che, invecchiando, diventano più rigidi). Ad un certo punto, mentre la pressione sistolica (massima) continua ad aumentare per effetto dell’età, la diastolica (minima) non aumenta più o, addirittura, tende a diminuire; questo spiega le forme di ipertensione sistolica isolata tipica dei grandi anziani.
- Sovrappeso
Sovrappeso e obesità, attraverso meccanismi diversi e complessi, si associano ad un incremento dei valori pressori.
- Diabete
Questa condizione, grave e assai diffusa tra la popolazione adulta, si associa spessissimo ad un incremento della pressione arteriosa, aumentando in modo significativo il rischio di malattie cardiovascolari.
- Fumo
Il fumo di sigaretta altera acutamente i valori di pressione arteriosa (dopo aver fumato, la pressione resta più alta per circa mezz’ora); a questo, si associano i danni cronici che il fumo induce sui vasi arteriosi (perdita di elasticità, danno alle pareti vascolari, predisposizione alla formazione di placche aterosclerotiche).
- Disequilibrio di sodio e potassio
Mangiare cibi troppo salati e, in generale, una dieta troppo ricca di sodio o troppo povera di potassio, possono contribuire a determinare l’ipertensione arteriosa.
- Alcool
Un consumo eccessivo di alcoolici (più di un bicchiere al giorno per le donne, due per gli uomini) può contribuire all’innalzamento dei valori pressori, oltre che danneggiare il cuore (che, per effetto del troppo alcool, tende a dilatarsi e a perdere la sua funzione di pompa, con gravi conseguenze su tutto l’organismo).
- Stress
Lo stress (fisico ed emotivo) contribuisce al mantenimento di valori di pressione più alti. Questo spiega, per esempio, perché in occasione delle visite mediche, la pressione è spesso più alta rispetto a quella che il paziente si misura al domicilio; perché la pressione possa essere più alta nei giorni lavorativi rispetto ai periodi di vacanza, ed anche perché i valori di pressione aumentino mentre si fa esercizio fisico.
- Sedentarietà
Gli esperti, come i medici di Humanitas, non mettono in diretta relazione una vita sedentaria con l’aumento della pressione arteriosa. Di sicuro l’attività fisica moderata e costante (mantenendo attivo l’organismo e favorendo il controllo del peso) contribuisca a ridurre i valori pressori e a migliorare le prestazioni fisiche (l’allenamento aumenta progressivamente la capacità di tollerare gli sforzi).
Perché è importante misurare la pressione sanguigna
L’aumento dei valori pressori non sempre si accompagna alla comparsa di sintomi, specie se avviene in modo non improvviso. Il problema è che l’organismo si abitua progressivamente ai valori sempre un po’ più alti, e non manda segnali al paziente. Per questo, molte delle persone affette da ipertensione non lamentano sintomi, anche in presenza di valori pressori molto elevati.
In ogni caso, i sintomi legati all’ipertensione arteriosa non sono specifici, e per questo sono spesso sottovalutati o imputati a condizioni diverse. Tra i sintomi più comuni rientrano:
- mal di testa, specie al mattino;
- stordimento e vertigini;
- ronzii nelle orecchie (acufeni, tinniti);
- alterazioni della vista (visione nera, o presenza di puntini luminosi davanti agli occhi);
- perdite di sangue dal naso (epistassi).
Nei casi di ipertensione secondaria, ai sintomi aspecifici possono associarsene altri, più specifici, dovuti alla malattia di base.
La scarsità dei sintomi e la loro aspecificità sono il motivo principale per cui spesso il paziente non si accorge di avere la pressione alta. Per questo è fondamentale controllare periodicamente la pressione sanguigna: fare diagnosi precoce di ipertensione arteriosa significa prevenire i danni ad essa legata e, quindi, malattie cardiovascolari anche invalidanti.
Come si misura la pressione
La misurazione della pressione arteriosa viene espressa attraverso due valori, pressione sistolica (massima) e pressione diastolica (minima), che dipendono dal fatto che il muscolo cardiaco si contrae (sistole) e si rilassa (diastole) tra un battito e l’altro.
I valori normali per la popolazione adulta sono compresi entro i 140/85 mmHg. Pertanto, si parla di ipertensione quando uno o entrambi i valori di pressione sono costantemente superiori alla norma.
Poiché l’incremento dei valori pressori spesso non si accompagna a sintomi e poiché, quando presenti, questi non sono specifici, il solo modo per fare diagnosi di ipertensione arteriosa è quello di sottoporsi periodicamente a misurazioni della pressione. In caso contrario, può succedere che si faccia diagnosi quando i valori di pressione, alti da parecchio tempo, hanno già fatto danno o, addirittura, in occasione di eventi acuti (infarto miocardico, ictus cerebrale).
Una volta fatta diagnosi di ipertensione arteriosa, è utile sottoporsi ad alcuni esami che permettono di capire se l’ipertensione ha già danneggiato i vasi, il cuore, i reni, aiutando il medico nella definizione del profilo di rischio cardiovascolare dei pazienti e nella scelta della terapia antiipertensiva più adatta.
Come prevenire l’ipertensione
Il trattamento dell’ipertensione arteriosa, anche quando preveda il ricorso a farmaci, non può assolutamente prescindere da cambiamenti nello stile di vita.
L’obiettivo del trattamento della pressione arteriosa deve essere quello di riportare i valori pressori alla normalità (cioè, entro i 140/85 mmHg, a meno di patologie concomitanti, che impongono valori di pressione più bassi): non basta, pertanto, abbassare un po’ la pressione, ma è importante normalizzarla (diversamente, il rischio di incorrere in malattie cardiovascolari resterà aumentato).
Una dieta povera di sale, l’attività fisica moderata e costante (30 minuti/die di camminata veloce o di cyclette), il controllo del peso corporeo (la perdita di peso, in caso di sovrappeso/obesità), l’astensione dal fumo di sigaretta, un consumo controllato di alcoolici, sono tutti atteggiamenti raccomandabili in caso di riscontro di aumentati valori pressori. Nei casi di lieve aumento della pressione arteriosa, ed in assenza di altri fattori di rischio associati (fumo, diabete, ipercolesterolemia, obesità), queste modificazioni dello stile di vita possono essere la sola terapia prescritta dal medico, e possono essere efficaci nel riportare la pressione arteriosa a valori normali.
Come curare l’ipertensione cronica
Una volta fatta diagnosi di ipertensione arteriosa e riviste le abitudini di vita, può essere necessario intraprendere una terapia farmacologica, il cui scopo è proprio quello di normalizzare la pressione arteriosa.
È importante sapere che la terapia antiipertensiva è una terapia cronica, che va assunta per molti anni (raramente succede che un paziente iperteso ad un certo punto possa smettere di assumere i farmaci per la pressione).
I farmaci sono molti, ed agiscono sul controllo della pressione arteriosa con meccanismi diversi; sono tutti efficaci e sicuri, e la scelta del tipo di antiipertensivo da utilizzare viene fatta dal medico sulla scorta della storia del paziente e della presenza di altre patologie associate.
In alcuni pazienti l’uso di un solo antiipertensivo è sufficiente per normalizzare la pressione arteriosa, in altri è necessario ricorrere all’associazione di più farmaci, che agendo con meccanismi diversi concorrono al controllo della pressione. Dover assumere più antiipertensivi non significa avere un’ipertensione più aggressiva: semplicemente, ogni paziente risponde in modo diverso alle singole terapie. Per questo, trovare il o i farmaci efficaci e meglio tollerati può richiedere un po’ di tempo. E può anche succedere che dopo anni di terapia, un paziente richieda l’aggiunta o il cambio di un farmaco: non è colpa dell’antiipertensivo che perde efficacia, ma è l’effetto della pressione arteriosa, che con gli anni cambia.
In alcuni pazienti, l’utilizzo anche di 4-5 farmaci antiipertensivi a dosaggio pieno non è sufficiente a controllare la pressione arteriosa; si parla, in questi casi, di ipertensione arteriosa resistente. Recentemente sono state proposte nuove terapie non farmacologiche per il trattamento di queste forme di ipertensione arteriosa (denervazione delle arterie renali).
I farmaci antiipertensivi
La cura farmacologica è ampia e prevede diverse classi. Ecco quali.
- ACE inibitori, antagonisti del recettore per l’angiotensina II (Angiotensin II receptor Blocker – ARBs) o sartani, inibitori diretti della renina: abbassano la pressione interferendo con la produzione di alcune sostanze circolanti che compongono il cosiddetto sistema renina-angiotensina-aldosterone. Ogni classe di farmaci è attiva in un punto di verso di questo sistema.
- Calcio antagonisti: controllano la pressione inducendo vasodilatazione.
- Diuretici: aiutano l’organismo a smaltire acqua e sali minerali (sodio).
- Alfa e beta bloccanti: agiscono a livello dei meccanismi nervosi di controllo periferico della pressione arteriosa.
- Simpaticolitici ad azione centrale: agiscono a livello dei meccanismi nervosi di controllo centrale (sistema nervoso centrale) della pressione arteriosa.
I farmaci che fanno aumentare la pressione
Ci sono poi farmaci che non andrebbero assunti quando si soffre di ipertensione. Per questo potrebbe non essere sufficiente tenere sotto controllo la pressione arteriosa attenendosi con scrupolo alle indicazioni e alla terapia del proprio medico. Nel caso, bisogna evitare in particolare questi farmaci.