Un’agricoltura che non utilizza fertilizzanti di sintesi ed erbicidi, come il glifosato, senza compromettere le rese delle colture, è possibile. Lo conferma uno studio triennale coordinato dalla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica “Agronomy for Sustainable Development”.
Andare verso un’agricoltura più “verde”, che non utilizzi fertilizzanti di sintesi ed erbicidi, come il glifosato, senza compromettere le rese delle colture, appare una strada percorribile. La conferma arriva da uno studio triennale coordinato dal Centro di ricerca in Scienze delle Piante della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica internazionale “Agronomy for Sustainable Development”. A conclusione di una ricerca triennale condotta in campo, il team della Scuola Superiore Sant’Anna e dell’Università di Pisa ha valutato gli effetti della semina su terreno sodo (non lavorato) del girasole, in presenza dei residui di una coltura di copertura di veccia, pianta erbacea comune nei prati, coltivata come foraggio, dai fiori viola.
Lo studio
Come spiega Unipi News, che riporta la notizia: “La copertura di veccia ha protetto il suolo, ha ridotto la presenza di malerbe e ha fornito azoto al girasole, contribuendo alla sua crescita sana e rigogliosa”. Nel caso della veccia devitalizzata in piena fioritura limitandosi a comprimere le piante, facendole appassire mentre sono ancorate al suolo e senza fare uso di glifosato, le piante infestanti del girasole sono state controllate del tutto e la coltura ha dato risultati produttivi ed economici paragonabili, se non superiori, rispetto alla tradizionale tecnica che combina questa pratica con l’uso del glifosato.
Le soluzioni trovate
Nonostante ancora per gran parte dell’agroindustria e una parte della ricerca mettere in discussione l’uso dei pesticidi è un tabù, lo studio del Sant’Anna di Pisa dice il contrario. Nei tre anni della loro ricerca, il team ha costruito un “sistema” per potenziare al massimo i servizi forniti spontaneamente dalla natura, introducendo alcune innovazioni. Ad esempio, alla coltura di copertura della veccia sono state affiancate diverse modalità di devitalizzazione, sono state testate date diverse per la semina del girasole, così da modulare sia la sensibilità della veccia a essere devitalizzata, sia la quantità di biomassa prodotta. La conseguenza di questa procedura è stata l’arrivo all’ottimale controllo della flora infestante. Ma, per confermare la possibilità di fare a meno del glifosato, il team ha messo a confronto rese e remuneratività economica dei diversi sistemi di coltura, dimostrando come, in questo caso, si potesse fare a meno di questo erbicida.
Barberi: “Glifosato aumentato di 15 volte dal ’96”
“Dal 1996, anno da cui in gran parte del mondo (Europa esclusa) sono coltivate varietà di soia, mais, cotone, colza, barbabietola ed erba medica geneticamente modificate in grado di tollerarlo – commenta Paolo Bàrberi, docente di Agronomia e coltivazioni erbacee della Scuola superiore Sant’Anna – le quantità di glifosato utilizzate a livello globale sono aumentate di 15 volte. Numerose evidenze scientifiche indicano che il glifosato e i suoi prodotti di degradazione non sono così innocui come sembravano. Residui di queste sostanze vengono costantemente ritrovati nel suolo, nelle acque, nei sedimenti e nella catena trofica. Negli Usa e in Europa fino all’80 per cento delle persone e degli animali allevati hanno residui di glifosato nelle urine, e l’erbicida è stato inserito dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) come sostanza sospettata di causare tumori”.
La partita aperta
“Alla fine del 2022 l’Unione Europea – prosegue Paolo Bàrberi – dovrà decidere sul rinnovo dell’autorizzazione all’uso del glifosato, ma è già evidente che si andrà verso una sua progressiva restrizione; alcune regioni, Toscana inclusa, si sono già espresse in questo senso. Pertanto, c’è urgente richiesta di soluzioni valide, dal punto di vista tecnico ed economico, che permettano di svincolarsi dall’uso di questo erbicida. La nostra ricerca – conclude Paolo Bàrberi – si inserisce in questo contesto e aveva l’obiettivo di dimostrare che è possibile sviluppare sistemi colturali efficienti a basso o nullo impiego di glifosato attraverso un uso razionale della biodiversità coltivata”.
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Grande impatto anche su agricoltura bio
“I risultati del nostro studio – sottolinea Daniele Antichi, docente di Agronomia e coltivazioni erbacee dell’Università di Pisa – possono essere di grande impatto anche per l’agricoltura biologica, un sistema agricolo fortemente supportato a livello europeo e che fa della rinuncia all’impiego di agrofarmaci di sintesi uno degli elementi portanti. Questo mette ancor più in evidenza la crucialità delle tecniche agroecologiche, nel panorama attuale del settore, tecniche sulle quali da più di un decennio i nostri team collaborano proficuamente a livello di ricerca e sviluppo insieme agli agricoltori del territorio”.