” Un’etichetta sulla confezione per segnalare che gli omeopatici non funzionano”. Almeno se non ci sono studi scientifici che ne dimostrino l’efficacia. La decisione della Federal Trade Commission (l’agenzia per la protezione del commercio americano) è stata letta così e ha fatto gioire i detrattori dell’omeopatia anche al di qua dell’oceano. Che l’hanno sbandierata come la prova definitiva del fatto che questa medicina, scelta da circa il 7% degli italiani, è né più né meno una colossale bufala.
Gli omeopati: “La decisione Usa fa chiarezza”
A ben guardare, però, le cose non stanno così e la decisione nordamericana ha tutt’altro significato se guardata nel contesto nordamericano. Ad aiutarci a comprenderla è una nota della Fiamo, la Federazione italiana associazioni e medici omeopati.
“Il provvedimento adottato negli Stati Uniti, che mira a fare chiarezza nella pletora di prodotti OTC venduti liberamente in supermercati e drugstore, prevede che i medicinali omeopatici da banco, assunti per patologie lievi in regime di automedicazione, possano vantare e reclamizzare capacità terapeutiche solo se avranno prodotto studi di conferma secondo le regole in uso per tutti gli altri medicinali. Da una parte questo sana una situazione di concorrenza sleale: il medicinale convenzionale per arrivare su quel banco con una indicazione terapeutica deve produrre una adeguata documentazione e non è giusto che si trovi a concorrere con chi non ha seguito lo stesso iter. Dall’altra non riconosce il peso che l’Europa invece assegna all’uso tradizionale e soprattutto sembra ridurre tutto il potenziale terapeutico omeopatico a dei prodotti che in realtà corrispondono alla logica dell’omeopatia solo parzialmente, perché in questo uso viene meno il pilastro della individualizzazione che sta alla base del successo terapeutico dell’omeopatia. Il provvedimento statunitense non si riferisce ai medicinali omeopatici prescritti dal medico, il che implicitamente conferma che l’efficacia della medicina omeopatica è strettamente legata alla competenza del medico prescrittore”.
Il paradosso dell’omeopatia “un tanto al chilo”
Ancora una volta, dunque, a essere sconfessato è il nonsenso (diffuso anche da noi e con la complicità di alcune grandi industrie dei farmaci omeopatici) che il medicinale omeopatico diventi un surrogato del farmaco da banco più commerciale. Insomma una pasticca (seppure più piccola) da autoprescriversi e da acquistare come fosse un’aspirina (non ce ne voglia la Bayer). Non è così. Non per i farmaci omeopatici che si basano, per funzionare, su una terapia individuale.
E non è un caso che in Europa le regole (direttiva 2001/83/CE) prevedano che i medicinali omeopatici vengano registrati con una procedura semplificata, che non prevede documentazione di prove di efficacia clinica. E che, in questo caso, sulla confezione deve essere scritto “senza indicazioni terapeutiche approvate”. “Questa dicitura risulta assolutamente corretta in quanto la prescrizione omeopatica propriamente detta è mirata al paziente nel suo insieme anziché sulla patologia in senso stretto”, spiegano dalla Fiamo.
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Dalla Fiamo si aggiunge: “In numerosi paesi europei (Austria, Belgio, Bulgaria, Francia, Germania, Inghilterra, Irlanda, Lettonia, Lituania, Portogallo), a differenza dell’Italia, è finanche possibile la registrazione con indicazione terapeutica sulla base di una documentazione che si riferisca all’uso tradizionale. In questi paesi ci può essere un foglietto illustrativo che riporta che il prodotto è “tradizionalmente utilizzato” in omeopatia per una data indicazione (tosse secca, contusioni, ecc)”.