Papilloma virus, lo studio che mette in dubbio la vaccinazione

Circa 39 milioni di euro all’anno. Tanto spende il nostro Servizio sanitario nazionale per acquistare circa 750mila dosi annue di vaccino contro l’Hpv: una spesa ingente se si considerano i continui tagli cui è costantemente sottoposto il sistema di assistenza. Introdotta in tutte le regioni a partire dal 2007/2008, la vaccinazione ha suscitato, in una parte della comunità scientifica, non poche perplessità che oggi trovano conferma in uno studio – non ancora pubblicato – del Texas Medical Branch in cui gli autori hanno osservato che le ragazze che si sono vaccinate contro il papilloma virus risultano sì più protette nei confronti dei 4 ceppi per il quale è stato formulato il vaccino ma più esposte ai ceppi ad alto rischio (quelli che potrebbero provocare il cancro).

IMPASTO PERICOLOSO

Nel lavoro americano sono state analizzate le informazioni provenienti da 600 donne dai 20 a 26 anni: sessanta vaccinate su cento si sono infettate con una forma ad alto rischio, fra le non vaccinate il rischio è sceso al 40%. Non è chiaro per i ricercatori perché questo accada ma Eugenio Serravalle, pediatra di lungo corso e presidente dell’AsSIS (Associazione si studi e informazioni sulla salute), azzarda un’ipotesi: “Potremmo essere dinanzi a quello che nel mondo scientifico viene definito rimpiazzo dei tipi. È accaduto anche con il vaccino che previene il pneumococco: in altre parole l’iniezione esercita una pressione selettiva sui ceppi coperti dal vaccino ma, allo stesso tempo, rende gli altri più virulenti. Questa è una teoria ma è ancora troppo presto per trarre conclusioni definitive: quel che è certo è che deve essere avvenuto qualcosa di non molto differente da questo”.

Non azzarda ipotesi, invece, Cristina Giambi, medico del reparto malattie infettive del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute dell’Istituto superiore di sanit. Che a TestMagazine spiega: “Ogni studio ha bisogno di essere valutato e, quindi, pubblicato prima di poter essere commentato e questo studio americano è ancora in fase di valutazione”.

“VACCINARSI FUNZIONA”

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L’Iss non ha dubbi sull’importanza della vaccinazione come strumento di prevenzione sanitaria, in generale, e sulla capacità, in particolare, della vaccinazione contro l’Hpv di prevenire le lesioni pre-cancerose e cancerose del collo dell’utero determinate da alcuni tipi di papillomavirus: “Le sperimentazioni cliniche controllate condotte per l’immissione in commercio dei vaccini, e anche durante il loro uso esteso, hanno prodotto risultati molto positivi in termini di immunogenicità, efficacia e sicurezza” spiega la Giambi aggiungendo che i vaccini hanno dimezzato l’insorgenza di lesioni precancerose nella popolazione generale di donne studiate. Tra le adolescenti e le donne che non avevano infezioni da HPV , una popolazione assimilabile alle ragazze a cui viene offerto oggi in Italia, l’efficacia dei vaccini è stata del 97-100%

“Questi risultati sono stati determinanti per l’emanazione della raccomandazione nella quale l’Organizzazione mondiale della sanità invita le autorità sanitarie a vaccinare le pre-adolescenti (9-13 anni) come target primario” conclude la Giambi “proprio per offrire la vaccinazione contro l’hpv prima del debutto sessuale, garantendo di sfruttarne la massima efficacia”.

C’È CHI DICE NO

Sono state proprio le scelte di alcune Regioni sulla definizione del target che, insieme ad altri dati informativi delle Asl, hanno contribuito a far sorgere nell’AsSIS numerosi interrogativi finiti in una richiesta indirizzata al ministro della Salute di moratoria della pratica vaccinale per il virus Hpv.

Spiega Serravalle: “Mancano dati certi di efficacia che saranno disponibili solo a partire dal 2021 quando sarà raggiunta l’età di screening sulle coorti vaccinate come target primario. Inoltre, non può essere sottovalutata la confusione di obiettivi che emerge dalle scelte delle Regioni, ad esempio, di vaccinare anche i giovani maschi”. Cosa si vuole ottenere, si chiede Serravalle? La prevenzione delle infezioni pre-cancerose al collo dell’utero o l’eradicazione dell’infezione da Hpv? “La strategia, in entrambi i casi, non è chiara: se si vuole prevenire il tumore al collo dell’utero, non si possono vaccinare i bambini che quell’organo non ce l’hanno. Allo stesso modo, per debellare l’Hpv sarebbe necessario inserire la vaccinazione ai maschi in tutte le regioni. Allora il sospetto è che si tratti semplicemente di una mossa per smaltire qualche dose di vaccino avanzata, con buona pace della nostra salute e delle tasche, in rosso, della sanità nazionale e regionale” conclude Serravalle.