
L’articolo 30 del ddl piccole e medie imprese, lo “scudo penale” pensato per mettere al riparo le grandi aziende dalla responsabilità in casi di caporalato e sfruttamento nella loro filiera, è stato stralciato. Vittoria della campagna Abiti puliti che aveva lanciato la mobilitazione contro l’emendamento.
L’articolo 30 del ddl piccole e medie imprese, lo “scudo penale” pensato per mettere al riparo le grandi aziende dalla responsabilità in casi di caporalato e sfruttamento nella loro filiera, è stato stralciato. Una norma che, se approvata, avrebbe di fatto indebolito la strategia messa in campo dal pm Paolo Storari e dal Tribunale di Milano per chiamare i grandi marchi alle proprie responsabilità lungo la catena di appalti e subappalti.
La linea della procura di Milano
Quella della procura meneghina è una strategia chiara: spingere le aziende capofila a non sottrarsi alle responsabilità per le violazioni dei diritti dei lavoratori nella filiera produttiva, anche quando lo sfruttamento avviene formalmente nei livelli più bassi degli appalti. L’obiettivo è indurre un cambiamento strutturale dei modelli organizzativi: salari più alti, internalizzazione dei lavoratori, rafforzamento dei controlli. A partire dal marzo 2024, il Tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria per Alviero Martini spa, Armani Operation, Manufacture Dior, Valentino Bags Lab e Loro Piana (gruppo Louis Vuitton), ritenute sospettate di aver agevolato in modo colposo e inconsapevole lo sfruttamento del lavoro nella filiera.
L’insofferenza della filiera e della politica
Un approccio che non piace a molti, soprattutto dentro le aziende, ma che ha trovato resistenze anche in ambito politico. Un emendamento al ddl Pmi, presentato dai senatori di Fratelli d’Italia Bartolomeo Amidei e Renato Ancorotti, mirava infatti a escludere i grandi marchi dalla responsabilità amministrativa per reati commessi lungo la filiera produttiva, come lavoro nero, sfruttamento e violazioni delle norme sulla sicurezza.
La certificazione come “lasciapassare”
Il meccanismo previsto dall’emendamento si basava sull’adesione volontaria a una certificazione unica di “Filiera della moda certificata”. Una sorta di lasciapassare che avrebbe protetto i marchi aderenti da responsabilità in materia organizzativa e gestionale, neutralizzando di fatto gli effetti delle indagini della procura milanese.
La pressione della società civile
L’emendamento è stato però stralciato grazie alla mobilitazione della società civile. “Quando cittadini e organizzazioni sindacali convergono, è possibile fermare norme ingiuste”, ha spiegato Deborah Lucchetti, portavoce della Campagna Abiti Puliti, che ha coordinato la protesta, “la mobilitazione pubblica, con un appello condiviso da più di 40 organizzazioni nazionali cui hanno aderito anche diverse imprese e una petizione che ha raccolto oltre 3.500 firme, ha riportato al centro del dibattito un problema concreto e documentato: lo sfruttamento nella filiera moda non può essere normalizzato né protetto da uno scudo penale”.









