Il rapporto: l’Italia è responsabile del 10% della deforestazione in Amazzonia

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Secondo un rapporto di Wwf, Trase e delle Università di  Göteborg e Stoccolma, l’Italia è tra i principali responsabili della deforestazione in Amazzonia. Per soddisfare i consumi italiani, ogni anno rasi al suolo 4mila ettari di foresta pari al 10% della deforestazione totale annua

 

Secondo un rapporto di Wwf, Trase, della Chalmers University of Technology di Göteborg della Stockholm Environment Institute, l’Italia è tra i principali responsabili della deforestazione in Amazzonia. Per soddisfare i consumi italiani, ogni anno rasi al suolo 4mila ettari di foresta (come 5mila campi di calcio) pari al 10% della deforestazione totale annua. Il rapporto è, secondo gli autori, la prima analisi transfrontaliera che esamina l’andamento complessivo della deforestazione amazzonica e il suo legame diretto con le diverse filiere agricole. Tra il 2018 e il 2022, il 36% della deforestazione globale è avvenuta in Amazzonia, dove sono stati distrutti 8,6 milioni di ettari di foresta (un’area più grande dell’Austria).

Come sono stati raccolti i dati

Per arrivare a questi risultati, il rapporto integra dati satellitari, statistiche agricole subnazionali e modelli che seguono le materie prime lungo le catene globali del valore, fino ai paesi consumatori. La regione amazzonica pesa per oltre il 20% della deforestazione complessiva associata ai consumi di paesi come Portogallo, Svizzera, Spagna e Corea del Sud, e per il 59% della deforestazione legata alla filiera mondiale della carne bovina.

Al primo posto gli allevamenti

In generale, l’allevamento – quasi sempre destinato ai mercati interni dei paesi amazzonici – resta il problema dominante: l’espansione dei pascoli è responsabile del 78% della deforestazione recente, concentrata soprattutto nella parte orientale e centrale della foresta. Ma il rapporto segnala un trend preoccupante: l’avanzata delle colture, non solo quelle “da esportazione” come soia, olio di palma, caffè e cacao, ma anche di prodotti considerati tradizionali, come riso e sorgo. In paesi come Bolivia, Ecuador, Perù e Venezuela la crescita delle colture è oggi una delle cause principali della perdita di foreste.

Soia e mais

I ricercatori mostrano che soia e mais – anche coltivati in rotazione – svolgono un ruolo più ampio di quanto rilevato dai dati cartografici, perché spesso sostituiscono pascoli già avanzati sul fronte della deforestazione: un effetto indiretto che sottostima la loro reale responsabilità. L’aumento della domanda internazionale, soprattutto da Cina ed Europa, sta inoltre spingendo la pressione agricola verso nuove aree dell’Amazzonia.

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Le normative anti deforestazione che oggi sono messe in discussione

L’analisi conferma che il destino dell’Amazzonia dipende anche dai mercati globali e dalle politiche commerciali. Programmi come la Soy Moratorium brasiliana o regolamenti come il regolamento Ue contro la deforestazione hanno contribuito a frenare lo sviluppo agricolo nelle aree ad alto rischio, ma oggi sono messi in discussione. Senza una forte trasparenza nelle filiere, avvertono gli autori, la deforestazione rischia non solo di proseguire, ma di spostarsi verso altri ecosistemi vulnerabili come Cerrado, Chaco e le foreste dell’Africa occidentale e del Sud-est asiatico.

Serve una maggiore tracciabilità

Il rapporto chiede infine un salto di qualità nei dati disponibili: servono informazioni più precise e regolari su dove si coltiva cosa, su come si spostano le materie prime e sui meccanismi indiretti che spingono l’agricoltura verso nuove frontiere. Solo con una tracciabilità completa – e politiche coordinate tra governi, imprese e comunità locali – sarà possibile fermare davvero la deforestazione e proteggere il più grande bacino forestale tropicale del pianeta.