Allevamenti intensivi: le 5 aziende che guadagnano di più. Aia, Montana e Galbani al top

ALLEVAMENTI INTENSIVI

Greenpeace lancia una petizione per chiedere lo stop all’apertura di nuovi siti e la rinconversione di quelli esistenti: “Gruppo Veronesi-La Pellegrina, Inalca, Granarolo, Galbani: grandi profitti e grandi emissioni inquinanti”

Chi in Italia fa grandi profitti con gli allevamenti intensivi di polli, suini e bovini è anche responsabile di grandi emissioni inquinanti. Greenpeace nel lanciare una petizione per chiedere lo stop all’apertura di nuovi siti e la riconversione di quelli esistenti, stila la classifica delle prime 5 aziende italiane per ricavi nella zootecnia (8 miliardi complessivi sui 22,5 dell’intero settore) intensiva:

  • Tre Valli (Gruppo Veronesi, tra cui figura il marchio Aia) – Allevamento e trasformazione carne avicola e suini. Ricavi: € 2.844.346.000 (2024)
  • La Pellegrina (Gruppo Veronesi) – Allevamento suini. Ricavi: € 1.651.311.000 – (2023)
  • Inalca (Gruppo Cremonini, tra i cui marchi figura Manzotin e Montana) – Allevamento e fornitura carne e derivati. Ricavi: € 1.642.716.000 (2023)
  • Granarolo (controllata da Granlatte) – Latte e prodotti caseari. Ricavi: € 1.246.538.000 (2024)
  • Galbani (Gruppo Lactalis) – Latte e prodotti caseari. Ricavi: € 1.124.074.000 (2023).

Greenpeace ha poi pubblicato il “conto” inquinante di questi gruppi: accanto a grandi profitti ci sono anche grandi emissioni di metano, ammoniaca, azoto e nitrati. Ecco di seguito il contributo inquinante dei gruppi presi in esame dall’assocaizione:

  • Gruppo Veronesi (Tre Valli e La Pellegrina) – 120.537 tonnellate di CO₂ eq (dati: 2023)
  • Inalca – 170.877 tonnellate di CO₂ eq (dati: 2023), metà generate dagli animali allevati
  • Granarolo – 44.602 tonnellate di CO₂ eq (dati: 2023)
  • Galbani (Lactalis) – 90.843 tonnellate di CO₂ eq (dati: 2019)

(emissioni dirette derivanti dagli animali allevati e dagli impianti di produzione – Categoria Scope 1).

“La CO2 equivalente – spiega in una nota Greenpeace – evidenziata nei bilanci delle rispettive aziende, è una misura standardizzata che serve a misurare l’impatto dei gas serra sul riscaldamento globale e che viene calcolata convertendo le emissioni di gas nell’equivalente quantità di anidride carbonica”

Le principali fonti di emissione sono:

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  • Metano: prodotto dagli animali durante la digestione, è un gas serra fino a 80 volte più potente della CO₂ nei primi 20 anni dall’emissione
  • Ammoniaca: generata dalle deiezioni animali, è la seconda causa di formazione di PM2.5, responsabile di circa 50.000 morti premature ogni anno in italia
  • Azoto e nitrati: l’azoto è presente in grandi quantità nelle deiezioni animali. Quando l’accumulo di liquami diventa eccessivo, i composti azotati più solubili (i nitrati) si diffondono rapidamente al suolo, alle falde acquifere e agli ecosistemi.

“È questa – proseguono dall’associazione – la formula inquinante che fa degli allevamenti intensivi un sistema sempre più insostenibile per l’ambiente e la nostra salute” che nel febbraio 2024 insieme ad altre organizzazione ambientaliste e animaliste ha presentato un progetto di legge – tuttora però fermo in Parlamento – per :

  1. fermare l’espansione degli allevamenti intensivi, soprattutto nei territori più inquinati
  2. ridurre il numero di animali allevati in Italia
  3. avviare una transizione ecologica degli allevamenti intensivi esistenti
  4. sostenere le piccole aziende agricole
  5. tutelare i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori del comparto
  6. garantire cibo sano e di qualità a prezzi accessibili per i consumatori.

“Unisciti a noi – si conclude l’appello a firmare la petizione – per chiedere una vera riconversione agroecologica: perché solo cambiando il sistema alla radice possiamo garantire un futuro più giusto, sano e sostenibile per tutti.

Stop allevamenti intensivi!

Chiedi con noi al Governo e al Parlamento italiano di bloccare la costruzione di nuovi allevamenti intensivi e di avviare la conversione ecologica di quelli esistenti”.