PFAS: i contaminanti eterni finiscono anche nelle uova

SALMONELLA UOVA PFAS

Analisi tedesche mostrano alti livelli di PFAS in uova, pesce e frattaglie. Preoccupano soprattutto i risultati delle uova considerate un termometro di una contaminazione ambientale che può essere interrotta solo con un divieto immediato d’uso

I contaminanti invisibili che resistono al tempo, i cosiddetti PFAS, sono ormai ospiti indesiderati della nostra tavola. Non parliamo di tracce marginali, ma di una contaminazione diffusa e preoccupante che riguarda in particolare i prodotti di origine animale. È quanto emerge dall’ultima indagine condotta dal Bund für Umwelt und Naturschutz Deutschland (BUND), che ha testato alimenti provenienti da diverse regioni e li ha confrontati con i dati dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA).

Uova, pesce e fegato tra i più contaminati

Il quadro tracciato è chiaro: il 69% del pesce analizzato risulta contaminato, così come oltre la metà dei molluschi e degli organi animali come il fegato. Ancora più vicina alle nostre abitudini quotidiane è la scoperta che quasi 4 uova su 10 contengono PFAS. Sono state 22 in totale le uova testate dal laboratorio incaricato dal BUND, provenienti sia da allevamenti industriali sia da piccoli allevatori privati. Ebbene, 14 di queste hanno mostrato concentrazioni rilevabili delle cosiddette “sostanze eterne”. Al contrario, solo il 7% dei vegetali testati ha rivelato la stessa contaminazione, a conferma di quanto la catena alimentare animale sia più esposta e più vulnerabile.

Più esposta ma non unica: l’ultimo test del Salvagente, su 14 soft drink, mostra la presenza di Pfas anche in bevande comuni come cole, aranciate, tè freddi e gassose.

Per quattro tipologie di PFAS oggi esistono limiti legali. I test del BUND confermano che, almeno nelle uova, questi non sono stati superati. Ma la vera allerta arriva dai PFAS non regolamentati, come l’acido perfluorobutanoico (PFBA), che il laboratorio ha riscontrato più volte. In altre parole: la legge copre solo una parte del problema, mentre nel piatto finiscono molte altre sostanze della stessa famiglia di cui non ci sono ancora limiti ufficiali.

Perché sono così pericolosi

Ma cosa sono esattamente i PFAS? Si tratta di un’ampia famiglia di composti chimici — parliamo di migliaia di molecole diverse — progettati dall’industria per resistere ad acqua, grassi e oli. Proprio per queste caratteristiche sono stati usati dappertutto: nelle padelle antiaderenti, negli imballaggi alimentari, nei cosmetici, nei tessuti tecnici, persino in farmaci e dispositivi medici.

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Il loro punto di forza è anche la loro maledizione: i PFAS non si degradano quasi mai. Restano nell’ambiente per decenni, si accumulano nei suoli, nelle acque, negli animali e di conseguenza nel nostro organismo. È per questo che vengono chiamati “sostanze eterne”. E gli effetti sulla salute non sono più soltanto ipotesi. Studi indipendenti li hanno collegati a problemi di fertilità, malattie tiroidee, diabete, obesità, aumento del colesterolo, riduzione della risposta ai vaccini. Non mancano le evidenze di danni al fegato e un aumento del rischio di tumori al rene, ai testicoli e al seno. Alcune sostanze della stessa famiglia, oggi vietate, sono già state riconosciute come tossiche per la riproduzione.

L’appello del BUND

Secondo Janna Kuhlmann, esperta di chimica dell’associazione, il segnale che arriva dalle uova è particolarmente importante: “Le uova sono sempre state un termometro della contaminazione ambientale, perché riflettono bene la presenza di sostanze persistenti attorno a noi”. E l’allarme, stavolta, suona forte: i PFAS non stanno diminuendo, al contrario continuano a diffondersi.

Per il BUND, l’unica strada possibile è un divieto immediato. L’associazione chiede che entro il 2025 i PFAS vengano banditi dai beni di consumo e che entro il 2030 se ne chiuda del tutto la produzione e l’utilizzo. Non bastano più interventi parziali, che regolamentano solo poche sostanze mentre le altre restano libere di circolare: serve un piano europeo coordinato, con regole chiare e valide per tutti. Non a caso, la Germania è affiancata da Svezia, Danimarca, Paesi Bassi e Norvegia nella richiesta di un’azione comune a Bruxelles.