
Una sola puntura a settimana al posto di una al giorno. È la promessa dell’insulina settimanale, una svolta epocale nel trattamento del diabete che parte proprio dall’Italia, primo paese in Europa a renderla disponibile e rimborsabile nel Servizio sanitario nazionale.
Un cambiamento che non è solo pratico, ma anche clinico, psicologico e ambientale.
Meno iniezioni, più aderenza terapeutica
Secondo i dati, oltre 1,3 milioni di italiani convivono ogni giorno con la necessità di somministrarsi insulina. La nuova formulazione settimanale, già accessibile in molte regioni italiane dopo l’approvazione da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), consente di ridurre le iniezioni da una al giorno a una ogni sette giorni. Il beneficio è duplice: da un lato si semplifica enormemente la routine terapeutica, dall’altro si favorisce l’aderenza alle indicazioni mediche.
Infatti, ancora oggi un paziente su tre ritarda l’inizio della terapia insulinica, e molti altri la seguono con scarsa continuità. Ridurre drasticamente la frequenza delle somministrazioni potrebbe incentivare sia l’avvio precoce della cura che la sua prosecuzione costante, riducendo le complicanze del diabete su cuore, reni, occhi e sistema nervoso.
Un aiuto anche all’ambiente
Ma i benefici non si fermano alla salute individuale. Meno iniezioni significa anche meno rifiuti sanitari: meno siringhe, aghi, contenitori. Una riduzione importante in termini di impatto ambientale, considerando che ogni anno milioni di dispositivi monouso vengono smaltiti a seguito della terapia insulinica.
Il plauso della comunità scientifica
Il sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, ad Ansa Salute ha definito l’introduzione dell’insulina settimanale «un progresso concreto, frutto della collaborazione tra istituzioni, industria e comunità scientifica». Ancora più netta la posizione del presidente dell’Associazione Medici Diabetologi, Riccardo Candido, che l’ha definita «la prima grande innovazione terapeutica nel diabete da oltre un secolo».
Anche la Società Italiana di Diabetologia (Sid), per voce della presidente Raffaella Buzzetti, ha accolto la novità con entusiasmo, sottolineando però la necessità di «garantire un accesso equo e veloce a vantaggio di tutte le persone affette da diabete».
Una emergenza mondiale
La lotta al diabete è una delle tre emergenze sanitarie identificate dall’Organizzazione delle nazioni unite (Onu) e dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), insieme alla malaria e alla tubercolosi. L’unica non trasmissibile (anche se un tipo di diabete lo è, in certi casi, per ereditarietà). Si tratta di una malattia grave, con complicanze che possono portare alla morte, molto subdola perché non dà sintomi per anni. Eppure è facilmente prevenibile e curabile, se solo non la si sottovalutasse. Il diabete è la prima causa di cecità, la seconda causa di insufficienza renale terminale con necessità di dialisi o trapianto, la prima causa di amputazione non traumatica degli arti inferiori, una concausa di metà degli infarti e degli ictus.
E italiana
In Italia, come nel resto del mondo, la forma di diabete più comune è quella di tipo 2, di cui soffre oltre il 90% dei diabetici. Il tipo 1 invece è una malattia autoimmune di cui soffre il 4-5% dei diabetici. Esiste anche il diabete gestazionale, che compare durante la gravidanza e scompare con il parto ma che comporta, per chi ne ha sofferto, un rischio maggiore di sviluppare il diabete di tipo 2 nell’arco della vita. Il diabete si diagnostica attraverso dei semplici esami del sangue e quando i valori della glicemia sono al di sopra di 100 mg/dl ma sotto ai 126 (che indicano il diabete) si parla di prediabete. Il prediabete è la condizione in cui il rischio di un progresso verso il diabete è molto alto, ma si può correre ai ripari modificando lo stile di vita.