Il naufragio annunciato delle regole europee antideforestazione

DEFORESTAZIONE

Secondo le anticipazioni di Euractiv è pronta la lista dei paesi le cui esportazioni devono garantire di non provenire da aree deforestate. E all’ultimo momento si salvano la soia brasiliana e l’olio di palma di Indonesia e Malesia

Se davvero fossero confermate le anticipazioni fatte ieri da Sofia Sanchez Manzanaro per Euractiv, quello della direttiva, più volte rimandata, sulla deforestazione sarebbe un naufragio clamoroso. Secondo quanto si è appreso dall’anticipazione dell’esperta giornalista, infatti, dalla lista dei paesi che devono dimostrare come i loro prodotti non provengano da foreste distrutte o degradate sarebbero spariti nomi eccellenti. Tanto per fare un esempio nessuno degli Stati da sempre monitorati per aver ridotto la foresta amazzonica o quelle di indonesia e Malesia rientrebbe nella lista dei paesi le cui aziende debbono garantire la provenienza lecita del legno.

I veri cattivi? Bielorussia, Corea del Nord, Myanmar e Russia

Nella bozza dei paesi etichettati come ad alto rischio di deforestazione, spariscono grandi esportatori di materie prime come Brasile e Indonesia. Soia, carne e pellame dell’Amazzonia, insomma, non meritano controlli speciali, così come non li merita neppure l’olio di palma del sud-est asiatico.

Forse si fa prima a scrivere quelli che, secondo Euractiv, resistono: Bielorussia, Corea del Nord, Myanmar e Russia. “I veri cattivi”, ha detto un diplomatico a Euractiv, anticipando il documento discusso sotto stretta segretezza nelle ultime settimane  e approvato da tutti gli Stati membri lunedì12 maggio.

Solo per i prodotti provenienti da questo quartetto di Paesi, insomma, si applicheranno le regole più rigorose per le aziende, il che significa anche più controlli, su quelle che importano materie prime agroalimentari cruciali come cacao, caffè, soia, olio di palma e carne bovina.

Lula e l’agrobusiness

Una mossa che può apparire clamorosa ma è di fatto una marcia indietro annunciata dopo le proteste di industrie paesi europei ed extracomunitari. Un fronte davvero ampio, che comprende anche il Brasile di Lula che aveva chiesto all’Unione europea di sospendere l’entrata in vigore delle norme anti-deforestazione, la Eudr. Il Brasile (ma lo stesso hanno fatto Indonesia e Malesia, che ospitano a loro volta foreste pluviali) denunciava le regole Ue sostenendo che la stretta avrebbe colpito quasi un terzo delle esportazioni di prodotti tratti dalle foreste verso l’Europa, per un valore di 42 miliardi di euro nel 2023.

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E poco conta che la società civile brasiliana avesse preso posizione contro la contraddittoria mossa del governo Lula. Mentre l’intero paese è in fiamme e con la Cop 30 di Belem all’orizzonte, “è semplicemente inaccettabile che funzionari del governo brasiliano si comportino come portavoce di una parte del settore economico fortemente implicato nella perdita di biodiversità e nel cambiamento climatico”, scrivevano lo scorso anno da Observatório do Clima. “In poche parole, i politici brasiliani stanno sostenendo la voce contraria del settore dell’agribusiness”.

Una storia di rinvii e di pressioni (anche italiane)

Garantire che i prodotti importati come la soia o le cosce di zebù così preziose per il nostro Made in Italy che le utilizza per formaggi e bresaole, non provengano da parti intere di foresta pluviale prima incendiata e poi ridotta a pascoli o a piantagioni, del resto era visto da molte lobby industriali come una temibile minaccia ai propri affari. E così anche grazie all’azione dell’Italia il Parlamento europeo lo scorso novembre aveva approvato il rinvio dell’applicazione delle norme del regolamento sulla deforestazione .

Il nostro Paese, per la verità, si era trovato in buona compagnia: quella di paesi terzi,  commercianti e operatori che lamentavano l’impossibilità di rispettare pienamente le norme se applicate a partire dalla fine del 2024 come previsto e la Commissione aveva proposto di posticipare di un anno la data di applicazione del regolamento sulla deforestazione.

La stessa Germania, preoccupata per le conseguenze economiche della normativa sulle imprese tedesche e, più in generale, sull’economia europea, aveva sottolineato che le catene di approvvigionamento rischiano di crollare, con impatti non solo per l’Europa, ma anche per i piccoli produttori nei paesi in via di sviluppo e per i consumatori europei.

Secondo il testo, i grandi operatori e i commercianti dovrebbero rispettare gli obblighi derivanti dal regolamento a decorrere dal 30 dicembre 2025, mentre le microimprese e le piccole imprese avrebbero tempo fino al 30 giugno 2026. La black list invece dovrebbe essre resa pubblica entro il 30 giugno 2025.