Glifosato, nuove prove sul legame con le malattie del fegato

GLIFOSATO

Una revisione di 40 studi lancia l’ennesimo allarme sul glifosato: anche basse esposizioni all’erbicida più usato al mondo aumentano il rischio di danni epatici come la steatosi

Crescono le preoccupazioni attorno al glifosato, l’erbicida più diffuso al mondo, utilizzato in centinaia di formulazioni commerciali e da decenni al centro di un acceso dibattito sulla sua sicurezza. Una nuova revisione scientifica, pubblicata il 28 aprile 2025 sulla rivista Environmental Toxicology and Pharmacology, getta nuova luce su un possibile legame tra l’esposizione al glifosato (anche a dosi ridotte) e l’aumento di casi di malattia epatica steatosica associata a disfunzioni metaboliche (MASLD), la forma più comune di steatosi epatica non alcolica.

Effetti anche a basse dosi

Gli autori della revisione – che hanno analizzato oltre 40 studi condotti negli ultimi 17 anni- concordano: il glifosato, già classificato come potenziale cancerogeno dall’Agenzia internazionale di ricerca sul cancro dell’Oms, e i suoi erbicidi di riferimento sembrano in grado di provocare infiammazione, stress ossidativo, accumulo di grasso e cicatrizzazione del fegato, tutte caratteristiche tipiche della MASLD.

E non si parla di esposizioni professionali o accidentali: anche modesti aumenti dei livelli urinari di glifosato sono stati associati a un maggiore rischio di danni epatici nelle persone. Effetti che risultano particolarmente gravi tra le donne tra i 40 e i 60 anni con prediabete, ma che coinvolgono anche bambini e adolescenti esposti in età precoce.

Tra i risultati più rilevanti:

  • Chi presentava più glifosato nelle urine aveva indici di fegato grasso più elevati;

    sponsor
  • I pazienti affetti da steatoepatite non alcolica (NASH) mostravano livelli maggiori sia di glifosato sia del suo principale metabolita (AMPA);

  • Studi su bambini residenti in zone agricole evidenziano un maggiore rischio di sviluppare danni epatici e sindrome metabolica in età adulta;

  • I dati mostrano una stretta correlazione tra glifosato e patologie correlate, come diabete di tipo 2, ipertensione, malattie cardiovascolari, obesità e danni renali.

Un’epidemia parallela

La MASLD – precedentemente chiamata “fegato grasso non alcolico” – colpisce oggi oltre un terzo della popolazione mondiale, con un aumento del 50% in appena trent’anni. E nello stesso periodo, l’uso globale di erbicidi (trainato da colture Ogm resistenti al glifosato) è cresciuto del 280%.

Coincidenze? I ricercatori non lo pensano. “I numeri mostrano un allineamento inquietante tra l’aumento dell’uso del glifosato e la crescita delle malattie epatiche croniche,” scrivono. In paesi come gli Stati Uniti o in regioni dell’America Latina – dove l’uso di pesticidi è più intenso – l’incidenza della MASLD è tra le più elevate al mondo.

E anche se molte ricerche sono concentrate su dati statunitensi, gli autori insistono: è il momento di espandere gli studi su scala globale, rivedere i limiti di sicurezza e valutare anche gli effetti delle formulazioni commerciali complete (come i famigerati Roundup), che risultano più tossiche del solo glifosato puro.

Un cocktail quotidiano

Il glifosato è stato classificato probabile cancerogeno per l’uomo nel 2015 dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), ma è ancora oggi rintracciabile nel 60% delle verdure statunitensi e nelle urine di persone in tutto il mondo, anche tra chi non ha mai lavorato nei campi.

Anche in Italia, nel tanto declamato cibo made in Italy, il Salvagente ha trovato e continua a trovare nelle sue analisi questa molecola. Dalle zuppe di legumi pronte alle bustine di tè, dal prosecco alla pastaalle farine ai corn flakes il glifosato accompagna i nostri pasti dalla colazione fino al dopocena.

Il tutto generalmente in compagnia di una miscela di pesticidi con effetti cumulativi ancora poco studiati.

Come difendersi?

Gli autori dello studio concludono con un consiglio chiaro: privilegiare alimenti biologici, ridurre al minimo l’uso di erbicidi sintetici in orti e giardini, e chiedere a gran voce un riesame dei limiti di esposizione e delle autorizzazioni per l’uso agricolo di sostanze ormai onnipresenti nella catena alimentare.