Diritti e ambiente, il costo nascosto delle fragole

fragole

La maggior parte della manodopera impiegata nelle coltivazioni di fragole è costituita da donne, non di rado sfruttate e vittime di molestie. E, dal punto di vista ambientale, le grandi serre intensive fanno gravi danni agli ecosistemi

 

Qualsiasi appassionato di fragole ne conosce il costo medio, ma purtroppo i costi nascosti di questo frutto sono molto meno noti. Soprattutto quelli legati all’aspetto ambientale e ai diritti dei lavoratori.

Le donne sfruttate nei campi italiani

Già nel 2022, ActionAid aveva descritto nel rapporto “Cambia Terra”, le condizioni delle donne impiegate nei campi e nelle serre di fragole dell’Arco Ionico (Puglia, Basilicata e Calabria) per raccontare le storie e le violazioni dei diritti delle lavoratrici straniere più vulnerabili. Sono le donne, infatti, a essere richieste per garantire maggiore cura per le stagioni di raccolta e lavorazione della frutta più delicata. Sono soprattutto le straniere originarie della Romania e Bulgaria, a vedere violati i propri diritti più elementari. “Guadagno trentotto euro al giorno. Chi riesce lavora senza interruzioni, dal lunedì alla domenica. Gli uomini ricevono due euro in più l’ora perché hanno compiti più pesanti. Stamattina mi sono alzata presto, cominciamo alle sei: prepariamo il terreno per piantare le fragole, lo concimiamo. Devo stare sempre piegata e adesso che sono incinta è faticoso. Mi sento sfiancata, però sono obbligata ad andarci, ho bisogno di soldi” spiegava Catalina, lavoratrice rumena in Basilicata. A peggiorare la vita delle donne sono le disuguaglianze strutturali di genere, come la disparità salariale rispetto agli uomini. Nelle campagne le donne arrivano a guadagnare anche solo 25/28 euro al giorno mentre gli uomini ne ricevono 40. Inoltre, la pratica dei datori di lavoro sleali di dichiarare in busta paga un numero inferiore di giornate rispetto a quelle lavorate impedisce alle donne non solo di accedere all’indennità di infortunio, malattia e disoccupazione agricola, ma anche a quella di maternità. 

Le violenze sessuali subite nei campi

E non mancano le violenze sessuali: “Nel barese, da anni va avanti un metodo collaudato. La mattina, quando nelle piazze arrivano i furgoni per portare le operaie agricole nei campi, la ‘prescelta’ viene fatta salire davanti, nello spazio accanto al guidatore. Sul cruscotto vengono messi un cornetto e un caffè caldo, comprati al bar. Mangiare la colazione significa accettare le avance sessuali e quindi ottenere l’ingaggio. Rifiutando, invece, il giorno dopo si viene lasciate a casa” spiegava alla presentazione del rapporto, Annarita Del Vecchio, psicologa e collaboratrice di ActionAid in Puglia. Le donne in agricoltura sono esposte a violenza e molestie sui luoghi di lavoro, sui mezzi di trasporto che le conducono sui campi, nelle serre, nei magazzini o nelle fabbriche di confezionamento, negli alloggi messi a disposizione dai datori di lavoro. La violenza è esercitata in molteplici forme (verbale, fisica, psicologica e sessuale) ed è accompagnata da minacce, come quella di perdere il posto, di essere demansionata o non pagata. Reagire può significare finire nelle “liste nere” delle “piantagrane” da non far lavorare.

La difficile gestione dei figli

Per alcune lavoratrici, il quadro peggiora ancora a causa della difficile gestione dei figli. Quando la campagna inizia presto, alle due o alle tre di notte, prendono i bambini addormentati e, se non hanno familiari di riferimento, li portano a casa di estranee che ne accudiscono cinque, sei, o dieci. Li tengono fino a quando le madri non tornano a prenderli, il pomeriggio. Mandarli all’asilo non è possibile, l’orario non lo permette.  In Calabria esistono gli “asili nido irregolari”, servizi a pagamento, in nero, con personale senza alcuna formazione che si occupa dei piccoli fino all’arrivo dei genitori. E qualcuna si porta i figli nelle serre, facendoli dormire in cassette di legno. Inoltre, le lavoratrici lamentano spesso la mancanza di attenzione alla loro salute fisica: in assenza di servizi igienici, le donne sono costrette a utilizzare i campi, anche quando piove, e anche quando hanno il ciclo mestruale. Chi chiede un giorno di pausa rischia di non lavorare nei giorni successivi.

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Donne migranti, le più sfruttate anche in Spagna

Nei campi spagnoli di Huelva, in Andalusia, si produce gran parte delle fragole che si trovano in Europa. Qui si coltiva il 98% dei frutti rossi spagnoli e il 30% di quelli della Ue; di fatto questa regione è il più grande esportatore di fragole al mondo. Anche qui si registrano frequenti casi di caporalato nei confronti delle lavoratrici immigrate, come ha raccontato al Salvagente, Stefania Prandi, autrice del libro inchiesta “Oro rosso. Fragole, pomodori, molestie e sfruttamento nel Mediterraneo” (Settenove, 2018). A Huleva, tra le distese di serre a perdita d’occhio, che vengono chiamate “il Mar plastico” dai locali, c’è una preponderanza di manodopera femminile, circa il 70-80%.“Nella filiera della fragola – ci ha raccontato Stefania Prandi nel numero di febbraio 2021 del Salvagente – c’è uno sfruttamento di tipo lavorativo e di ricatto sessuale. Le donne vivono per il tempo della raccolta all’interno dell’azienda agricola, parliamo anche di 500 donne, in aree che sono dei veri e propri fortini, circondati da filo spinato, con guardie armate, o in capanni in mezzo alle serre, dove c’è sempre qualcuno che le controlla giorno e notte”. Gran parte della manodopera è composta da donne marocchine che vanno in Andalusia tramite un accordo tra i due paesi e un’agenzia che seleziona la manodopera e la invia nei campi spagnoli, dove può stare solo per il periodo della raccolta. Vengono scelte quasi esclusivamente donne sposate con figli, in modo che ci sia la certezza che tornino indietro alla fine della raccolta. Nel 2019 erano 20mila.

La questione ambientale

Oltre alle questioni legate al lavoro e ai diritti sociali, le fragole si portano dietro un pesante pericolo ambientale legato alla coltivazione intensiva. La Spagna, ad esempio, è il paese europeo più colpito dal fenomeno della siccità, insieme all’Italia, e per questo, secondo le Nazioni Unite, il 75% del territorio nazionale è a rischio desertificazione. L’esempio eclatante di questo fenomeno è proprio la provincia di Almeria, in Andalusia, che negli ultimi vent’anni ha sviluppato un modello di coltivazione super-intensivo che sta aggravando il problema “esaurendo le falde acquifere”. In questa zona c’è il parco nazionale di Doñana (siamo sempre dalle parti di Huelva) che si trova in cima a una riserva idrica sotterranea di 2.700 km quadrati, una delle più grandi e antiche d’Europa. Oltre che per l’enorme biodiversità e per le bellissime lagune, il parco è famoso per la produzione intensiva di fragole che sta contribuendo a prosciugare le paludi.

La sede indotta dalle coltivazioni intensive

La zona è diventata teatro di scontro politico da quando, a marzo 2023, il governo regionale ha approvato una legge che ha legalizzato l’occupazione informale dei terreni per la coltivazione intensiva delle fragole, suscitando accese polemiche da parte degli scienziati ambientali, secondo cui il fabbisogno idrico di queste coltivazioni contribuirà a prosciugare questa riserva naturale. Le associazioni ambientaliste invocano un cambio di modello, con una riduzione delle superfici irrigate e l’utilizzo di colture a minore intensità idrica.

Combustibili fossili per il riscaldamento

Non è l’unico problema di natura ambientale. Secondo l’Agenzia francese per la transizione ecologica, il riscaldamento delle serre si basa principalmente sui combustibili fossili. Dal 60 al 77% delle superfici riscaldate vengono scaldate utilizzando gas naturale. Pertanto, l’impatto ambientale delle fragole in serra riscaldata è tre volte maggiore di quello delle fragole in pieno campo o al coperto, mentre se ci concentriamo sulle emissioni di gas serra, questo impatto è da 3 a 10 volte maggiore. L’utilizzo di una serra o di una coltivazione fuori terra pone altre questioni: oltre all’impoverimento biologico del suolo, questo si impermeabilizza e favorisce il deflusso dell’acqua, che normalmente verrebbe assorbita. Aspetto che rende più frequenti le alluvioni.