
Secondo un’inchiesta del The Guardian, gli allevatori brasiliani sono convinti che la multinazionale di carne JBS non potrà mantenere la promessa di un bestiame libero dalla deforestazione entro fine 2025
Gli allevatori brasiliani del Pará e della Rondônia non hanno dubbi: JBS, la più grande azienda di carne del mondo, non riuscirà a mantenere la promessa di una filiera completamente priva di legami con la deforestazione dell’Amazzonia entro la fine del 2025. Ad ostacolare l’obiettivo sono una serie di pratiche illecite ancora radicate, problemi tecnici e proprietà fondiarie incerte. È quanto denuncia un’inchiesta condotta da giornalisti di The Guardian, Unearthed e Repórter Brasil, che hanno raccolto le testimonianze di oltre 35 persone, tra allevatori e leader sindacali. Il colosso della carne, che controlla una rete di oltre 40.000 fornitori in Brasile (ed è proprietaria di alcuni marchi italiani tra cui King’s e Rigamonti, produttori del prosciutto San Daniele e della bresaola della Valtellina, che non sono implicati in questa storia), dovrebbe garantire che ogni capo di bestiame non sia stato allevato su terreni disboscati illegalmente. Ma gli allevatori, che operano sul campo, denunciano l’impossibilità di raggiungere questo obiettivo entro dicembre 2025.
Il nodo del “riciclaggio” del bestiame e problemi legali
La produzione di carne bovina è la principale causa della deforestazione, poiché gli alberi vengono abbattuti per far spazio all’allevamento del bestiame, e gli scienziati avvertono che ciò sta spingendo l’Amazzonia verso un punto di non ritorno, accelerando la sua trasformazione da pozzo di assorbimento del carbonio a fonte di emissioni.
Per raggiungere i suoi obiettivi, JBS prevede di registrare tutti i suoi fornitori diretti e indiretti e garantire che nessuna delle carni acquistate provenienti dall’Amazzonia provenga da bestiame allevato su terreni disboscati. L’azienda ha istituito una rete di “uffici verdi” per fornire consulenze gratuite agli allevatori su come rispettare il processo di regolarizzazione, che dura da tre a sei mesi e comporta la redazione di un piano per piantare più alberi, il ritiro da territori contestati o altre forme di risanamento ambientale. I dati raccolti confluiranno in un database JBS, che monitorerà costantemente le fattorie con l’ausilio dell’intelligenza artificiale e contatterà i proprietari in caso di mancato rispetto degli obblighi. In Pará, l’azienda sta anche collaborando con il governo statale a un sistema di tracciabilità tramite etichette auricolari, che dovrebbe monitorare l’intera mandria statale di 26 milioni di capi entro il 2026.
Uno dei problemi fondamentali è che sul territorio mancano infrastrutture, tecnologia e soprattutto certezza sulla proprietà della terra, molte volte occupata illegalmente.
“La scadenza del 2025 è impossibile da rispettare” ha dichiarato Cristina Malcher, presidente della Commissione delle Donne nell’Agribusiness.
L’indagine, inoltre, ha messo in luce anche pratiche ancora diffuse, come il ricorso a intermediari per “ripulire” la provenienza degli animali — una tecnica nota come “riciclaggio di bestiame”. I fornitori indiretti, infatti, possono aggirare i controlli vendendo gli animali attraverso terzi o, in futuro, vendendo direttamente la carne già macellata per eludere la tracciabilità. Diversi produttori hanno previsto che un nuovo sistema di tracciabilità porterà a nuove scappatoie, come la macellazione dei capi altrove per poi vendere la carne – anziché gli animali vivi – a basso prezzo a JBS.
JBS, dal canto suo, respinge le critiche e difende i propri progressi. L’azienda afferma di aver già registrato oltre l’80% dei suoi acquisti annuali su una piattaforma trasparente basata su tecnologia blockchain. E ribadisce la propria “tolleranza zero” verso la deforestazione, citando anche il proprio fondo per lo sviluppo sostenibile dell’Amazzonia.
Un passato pesante che non si cancella
Ma il passato di JBS pesa come un macigno. La multinazionale è stata più volte associata alla deforestazione illegale e nel 2023 è finita sotto accusa negli Stati Uniti per pratiche pubblicitarie ingannevoli legate agli impegni ambientali. Una coalizione bipartisan di 15 senatori ha persino chiesto alla SEC di bloccarne la quotazione in Borsa.
“Nemmeno loro sanno come verrà implementata questa tracciabilità”, ha commentato con amarezza Ticão, del Sindacato dei Produttori Rurali di Tucumaã-Ourilândia.
La trasformazione del settore zootecnico in Amazzonia è in corso, ma secondo molti non può gravare solo sulle spalle degli allevatori più piccoli. Se l’obiettivo di una carne “zero deforestazione” appare oggi ancora una chimera, il rischio è che le promesse si rivelino l’ennesima operazione di greenwashing, con la foresta amazzonica a pagare, ancora una volta, il conto più salato.