
Il centro di controllo pubblico tedesco lo scorso anno ha analizzato più di 2mila campioni di frutta e verdura e in troppi casi, anche nel bio, ha trovato tracce di Tfa, un Pfas. Ecco cos’è e perché preoccupa
Negli ultimi anni, l’acido trifluoroacetico (TFA), un composto chimico appartenente alla famiglia delle sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS), sta destando crescente attenzione tra ricercatori e autorità sanitarie. Questa sostanza, difficile da degradare, è ormai diffusa nell’ambiente, presente nelle acque superficiali, sotterranee e potabili, e recentemente è stata rinvenuta anche in frutta e verdura consumate quotidianamente.
Uno studio dettagliato condotto nel 2024 dal CVUA di Stoccarda, in Germania, ha portato alla luce dati significativi riguardo la presenza di questa sostanza in 2.075 campioni alimentari provenienti da diversi paesi, analizzando in modo approfondito prodotti di agricoltura sia biologica che convenzionale. Dai risultati emerge un quadro preoccupante: il 19% dei campioni analizzati ha mostrato livelli rilevabili di TFA superiori al limite minimo di quantificazione fissato a 0,02 mg/kg. Un dato rilevante è che questa contaminazione non differisce in modo significativo tra prodotti biologici e convenzionali, suggerendo che la presenza di TFA sia generalizzata e indipendente dalle tecniche agricole utilizzate.
Di seguito è presentata una tabella riassuntiva dei risultati ottenuti, che mostra chiaramente le categorie alimentari maggiormente coinvolte:
Categoria di alimento | % campioni positivi (Bio) | % campioni positivi (Convenzionali) |
---|---|---|
Frutta esotica | 36,0% | 39,7% |
Agrumi | 5,0% | 4,6% |
Frutta a nocciolo | 6,3% | 3,2% |
Frutta a semi | 5,0% | 0,0% |
Frutti di bosco | 21,4% | 13,9% |
Ortaggi a radice | 3,4% | 0,0% |
Germogli | 16,3% | 16,3% |
Ortaggi da frutto | 14,7% | 12,5% |
Ortaggi a foglia | 32,7% | 39,7% |
La tabella mette in luce che i livelli più alti di contaminazione da TFA si trovano nella frutta esotica e negli ortaggi a foglia. Sorprendentemente, il campione con il valore più elevato in assoluto è stato un kiwi biologico, che conteneva 0,76 mg/kg di TFA. Sebbene tale valore sia il più alto registrato nello studio, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) considera questa concentrazione ancora al di sotto della soglia di rischio immediato per la salute, dato che sarebbe necessario consumare quantità di kiwi significativamente superiori alla porzione media giornaliera per raggiungere livelli potenzialmente pericolosi.
Nonostante ciò, è essenziale non sottovalutare la questione. L’acido trifluoroacetico è una sostanza estremamente persistente, che si accumula nell’ambiente e, di conseguenza, potrebbe accumularsi anche nell’organismo umano attraverso il consumo prolungato di alimenti contaminati. Gli effetti a lungo termine di una esposizione cronica alla TFA non sono ancora pienamente conosciuti, ma gli esperti avvertono che non si possono escludere rischi per la salute, soprattutto considerando la capacità di questa sostanza di diffondersi rapidamente nell’ambiente tramite il ciclo dell’acqua.
È pertanto fondamentale attuare misure preventive e di monitoraggio continuo, spiegano i controllori tedeschi, sia da parte delle istituzioni sia attraverso pratiche agricole più attente e sostenibili. Secondo il CVUA, è fondamentale monitorare costantemente i livelli di TFA negli alimenti e nell’ambiente, così da poter intervenire tempestivamente nel caso emergessero rischi concreti per la salute pubblica. Inoltre, studi futuri dovrebbero essere indirizzati a identificare con maggiore chiarezza le fonti principali di contaminazione e a stabilire eventuali correlazioni tra specifiche pratiche agricole o industriali e l’aumento della concentrazione di TFA negli alimenti.