
Nelle officine italiane si accumulano montagne di pneumatici usati. Nonostante il contributo pagato dai produttori, le falle del sistema permettono la circolazione di prodotti non registrati e di smaltimenti illegali
Il piazzale davanti all’officina di Massimo, gommista di Roma Est, straripa di pneumatici, accatastati in pile che gareggiano tra loro in altezza. L’inverno è appena iniziato e il cambio stagionale ha aggravato una situazione già di per sé esplosiva. Le gomme in attesa di ritiro, i Pfu, Pneumatici fuori uso, sono centinaia. Al problema di dove stipare questo ammasso di materiali se ne aggiunge uno di sicurezza. I copertoni sono infatti l’ambiente ideale per la nidificazione di insetti come le vespe oltre a essere composti di sostanze particolarmente infiammabili.
Proteste e sanzioni
La situazione in cui si trova l’officina romana non rappresenta affatto un unicum nel panorama nazionale. Il problema dell’accumulo di pneumatici riguarda gli operatori del
settore in tutta Italia, con picchi stagionali e regioni in maggiore sofferenza. Chi abita nei pressi di questi esercizi teme per la propria incolumità e sono all’ordine del giorno le chiamate dei vicini alla polizia locale. Che, se interviene, sanziona il gommista di turno con multe salatissime. Una vera e propria beffa, visto che il ritiro e lo smaltimento di questi materiali non tocca alle officine ma a consorzi che non producono né vendono pneumatici, visto che il loro compito è recuperare quanto è stato immesso nel mercato, ma che per motivi che andremo ad analizzare, non riescono a recuperare tutto ciò che viene immesso nel mercato.
I consorzi e le tonnellate di “nero”
I produttori e gli importatori di pneumatici pagano a monte ai consorzi, a cui devono obbligatoriamente iscriversi, un contributo per la raccolta e smaltimento dei Pfu, costo che normalmente è poi scaricato sul consumatore al momento dell’acquisto. Ma l’intero sistema è dopato dall’arrivo di tonnellate di copertoni acquistate on line, o in nero, e non conteggiate dal ministero dell’Ambiente che stabilisce annualmente le quote di recupero, sulla base di quanto immesso da produttori e importatori nel paese nell’anno precedente. Un sistema che non tiene conto, ovviamente, di quanto non viene tracciato. A gennaio 2024, la guardia di finanza ha oscurato sei dei più noti siti di vendita di pneumatici on line, sequestrando 40 milioni di euro. Gli acquirenti pagavano una cifra inferiore del 20% a fronte di una fattura dalle Isole Canarie senza addebito dell’Iva né contributo obbligatorio. Località, le Canarie, dove ancora oggi risultano le sedi di alcuni portali dediti alla vendita di gomme ancora accessibili sul web.
Le quote di pneumatici
Ecco perché, al momento del ritiro, non c’è modo di sapere quali siano i copertoni regolarmente acquistati. Il risultato è che i gommisti, onesti o meno – non lo sono quelli che immettono e vendono pneumatici senza pagare la tassa di smaltimento – si trovano sempre con una certa quantità di pneumatici in deposito, frutto della stortura di un sistema di raccolta che lavora su quote, stabilite dal ministero, non corrispondenti all’effettivo. Il problema si aggrava in particolari momenti, come ai cambi di stagione o alla fine dell’anno quando i consorzi hanno già raggiunto le quote prestabilite. Ma le segnalazioni non mancano mai, anche perché ogni anno si riparte con l’accumulo non prelevato nell’anno precedente, dovuto a volte anche a una mancata programmazione da parte dei gommisti. Ogni camion che ritira può fare infatti un carico di circa quattrocento gomme, per cui è necessario prevedere in quale momento si arriva a quella cifra nella propria attività.
La tentazione della discarica
“Ci sono gommisti che ricevono multe da 400/500 euro ogni giorno per il mancato ritiro”, spiega Massimo. “Per evitare le sanzioni l’alternativa è far sparire in fretta quanto resta nei piazzali. In che modo? O provvedendo autonomamente allo smaltimento e affrontando ulteriori spese o scaricando ciò che resta in discariche abusive, quelle che capita di incontrare nelle nostre campagne”. Secondo quanto riportato dalla Confederazione nazionale dell’artigianato (Cna), il 45% dei gommisti dichiara una giacenza di 400 gomme e oltre presso la propria attività. L’attesa del ritiro determina un’ulteriore problematica: gli pneumatici sono infatti ritirati a peso (con quote costanti nonostante l’aumento delle dimensioni degli stessi negli ultimi anni) e con il passare del tempo e l’esposizione all’umidità finiscono per pesare ancora di più. Legambiente ha stimato, attraverso la sua piattaforma Cambio Pulito, quanti erano nel 2020 gli pneumatici inseriti nel mercato senza che fosse stata pagata alcuna tassa per il loro smaltimento. A fronte di circa 400mila tonnellate di pneumatici a fine vita raccolti ogni anno in Italia, sarebbero tra le 30 e le 40mila quelle immesse ogni anno illegalmente nel mercato e per le quali dunque il ritiro non sarebbe previsto. Secondo l’associazione oltre al danno ambientale ce ne sarebbe uno economico: l’ammanco in termini di evasione del contributo ambientale sarebbe di circa dodici milioni di euro, quello per il mancato versamento dell’Iva si aggirerebbe intorno agli 80 milioni di euro.
La montagna partorisce il topolino
Per tamponare l’emergenza il ministero ha chiesto a settembre 2024 di realizzare un extra target del 10% ai consorzi e alle ditte individuali che si occupano del ritiro. Questi sono infatti obbligati per legge a raccogliere una quantità di copertoni ormai inutilizzabili pari al 95% in peso del totale immesso da produttori e importatori nel mercato l’anno precedente (il 5% si dà per perso nel corso dell’utilizzo per usura). L’intera filiera è infatti sottoposta alla responsabilità estesa del produttore, introdotta con decreto 82 del 2011, una modalità che dovrebbe contribuire a responsabilizzare tutti gli attori di un determinato comparto sulla sostenibilità e il riciclo dei rifiuti prodotti. Per questo i gommisti, che precedentemente dovevano occuparsi autonomamente dello smaltimento, pagano una tassa che ammonta a circa tre euro per uno pneumatico di valore cento e che finisce per gravare sull’utilizzatore finale che, come abbiamo visto, vi contribuisce con una specifica voce in fattura al momento dell’acquisto. L’invito di settembre del ministro si sarebbe tradotto a fine anno in uno scarso 2% in più, secondo quanto denunciato dalla Cna di Savona. Troppo poco per abbattere le montagne di gomme accumulate nelle officine.