“Siri non vi ascolta”, ma Apple paga 95 milioni per una class action

SIRI

Apple ha accettato di pagare 95 milioni di dollari per chiudere una class action avviata cinque anni fa negli Stati Uniti. L’accusa? Siri avrebbe ascoltato conversazioni private anche quando non attivata intenzionalmente dagli utenti.

La causa, presentata da un gruppo di utenti nel 2020, sosteneva che Siri fosse stata responsabile di registrazioni involontarie di conversazioni personali, catturate da dispositivi come iPhone, iPad e HomePod. Queste registrazioni, secondo quanto sostenuto dagli attori della causa, sarebbero state trasmesse ad Apple e, possibilmente, condivise con terze parti.

Secondo il documento legale, il problema derivava dall’attivazione involontaria di Siri, fenomeno che può verificarsi quando l’assistente vocale interpreta erroneamente suoni o parole simili al comando “Ehi Siri”. Questa attivazione accidentale avrebbe portato alla raccolta di conversazioni che non erano destinate a essere ascoltate o registrate.

La posizione di Apple

Pur accettando di pagare una somma consistente per chiudere il contenzioso, Apple ha ribadito la propria innocenza. “Apple ha sempre negato e continua a negare qualsiasi presunto illecito e responsabilità”, si legge nella proposta di accordo. Il pagamento dei 95 milioni di dollari rappresenta dunque una soluzione pragmatica per evitare ulteriori battaglie legali e danni reputazionali.

Oltre al risarcimento economico, l’accordo prevede che Apple confermi di aver eliminato qualsiasi registrazione ottenuta in modo accidentale e implementi misure volte a prevenire futuri episodi di attivazione involontaria.

Un problema non solo di Apple

Il caso di Apple non è isolato nel panorama delle grandi aziende tecnologiche. Già nel 2023, Amazon aveva accettato di pagare oltre 30 milioni di dollari alla Federal Trade Commission (FTC) statunitense per risolvere accuse simili. In quell’occasione, le contestazioni riguardavano la violazione della privacy tramite i dispositivi Ring Doorbell e l’assistente digitale Alexa.

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La vicenda solleva ancora una volta interrogativi sul livello di trasparenza delle aziende tech nella gestione dei dati raccolti dai loro dispositivi intelligenti. Nonostante le dichiarazioni rassicuranti dei colossi tecnologici, il timore che gli assistenti vocali possano ascoltare più di quanto dovrebbero continua a preoccupare milioni di utenti.

Una vittoria parziale per gli utenti?

Il risarcimento concordato potrebbe essere visto come una vittoria per gli utenti che hanno portato avanti la class action. Tuttavia, il fatto che Apple non abbia ammesso alcuna responsabilità lascia aperte molte domande. Resta da capire se l’episodio contribuirà a migliorare le pratiche di raccolta e gestione dei dati o se simili controversie continueranno a emergere in futuro.

Per il momento, ciò che appare certo è che il tema della privacy digitale rimarrà centrale nel dibattito pubblico, spingendo aziende, legislatori e consumatori a confrontarsi su limiti e responsabilità nell’uso delle tecnologie intelligenti.