L’aumento dei consumi di cibi ultraprocessati incide sull’obesità, che è cresciuta del 36% negli ultimi 20 anni in Italia
L’aumento dei consumi di cibi ultraprocessati incide sull’obesità, che è cresciuta del 36% negli ultimi 20 anni in Italia, dove il 14% delle calorie consumate proviene proprio da cibi ultraprocessati. E’ quanto emerge da una ricerca condotta alla Fondazione Aletheia, il think tank scientifico sotto la guida del professor Antonio Gasbarrini, preside della Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica di Roma e direttore del Centro Malattie Apparato Digerente del Policlinico Gemelli.
Un consumo in aumento tra i giovani
Il consumo di alimenti altamente trasformati, come scrive l’Ansa che riporta la notizia, sta aumentando tra i giovani, in particolare nella fascia d’età compresa tra i 5 e i 30 anni. Si tratta di prodotti come merendine, bevande gassate, snack salati che contengono nella maggior parte dei casi una molteplicità di additivi chimici come coloranti, dolcificanti artificiali e molto altro. Questi additivi seppur considerati sicuri non sono di certo salubri per la salute, soprattutto a causa del cosiddetto effetto cocktail, ovvero la loro assimilazione ripetuta durante la giornata.
Dati sull’Italia preoccupanti
Anche per questo, il sovrappeso e l’obesità interessano il 46% della popolazione italiana, pari a 23 milioni di persone in maggiore età, ma la situazione non è rassicurante nemmeno per adolescenti e giovani. Le stime suggeriscono che una riduzione del 20% delle calorie provenienti da cibi ad alto contenuto di zuccheri e grassi potrebbe prevenire fino a 688.000 casi di malattie croniche entro il 2050. A beneficiarne, concludono gli esperti di Fondazione Aletheia, sarebbe anche l’economia del Paese, con un risparmio di 12 miliardi di euro per la cura di malattie evitabili.
La necessità di politiche pro dieta mediterranea
“È fondamentale proteggere le future generazioni da abitudini alimentari dannose e continuare a investire in politiche che promuovano la dieta mediterranea, non solo come modello nutrizionale, ma anche come cultura della consapevolezza alimentare”, afferma Esmeralda Capristo, professoressa di Scienza dell’Alimentazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
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