Il decreto che il ministero di Lollobrigida si appresta a varare sulle contaminazioni accidentali blocca gli alimenti biologici con tracce di pesticidi, salvo essere più tolleranti se la presenza è più evidente. Ma una norma di marzo contraddice tutto. Un cortocircuito che penalizza il settore
Una logica simile al gioco dell’Oca. Per tentare di capire la ratio degli ultimi provvedimenti sul biologico messi in cantiere dal ministero dell’Agricoltura diretto da Francesco Lollobrigida dobbiamo essere pronti a percorrere delle caselle per poi dover tornare al punto di partenza e ricominciare da capo. Così, all’infinito. Con il risultato però che oltre a penalizzare un settore in forte crescita (anche di fiducia parte dei consumatori) si rischia di allontanare tante aziende dall’agricoltura biologica, invece di accrescerla come richiede la Ue con il Farm to fork.
All’origine di tutto c’è quello che abbiamo ribattezzato “decreto ammazza bio”, il provvedimento al quale lavorano i tecnici del ministero di Lollobrigida e con il quale da un lato si invoca la tolleranza zero per i pesticidi nei cibi biologici anche quando la concentrazione è al di sotto della quantificazione analitica (0,01 mg/kg), ovvero sotto lo “zero tecnico”, in parole povere anche quando è chiara la contaminazione accidentale (in presenza di due tracce poi scatta subito la decertificazione e quindi l’alimento non può più essere venduto come biologico). Queste tracce invece sono tollerate nei cibi a residuo zero e in quelli coltivati con l’agricoltura integrata sovvenzionata dalla Ue.
Dall’altra parte (articolo 5 del decreto ministeriale in gestazione, atteso al parere della Conferenza Stato-Regioni e che dovrebbe entrare in vigore il 1° gennaio prossimo) invece si aprono le maglie – finore ben strette – e si concede una tolleranza su quelle che sono contaminazioni accidentali più marcate (maggiori di 0,01 mg/kg) che farebbe pericolosamente assomigliare il bio al convenzionale più evoluto.
Questa contraddizione contenuta nello stesso decreto tuttavia non è l’unico cortocircuito che rischia di mandare in tilt il settore. Un altro decreto ministeriale varato il 21 marzo scorso (“Designazione del laboratorio nazionale di riferimento nonche’ definizione dei requisiti dei laboratori che intendono proporsi come laboratori ufficiali per l’effettuazione di prove di laboratorio nell’ambito dei controlli ufficiali effettuati dagli organismi di controllo, intesi a verificare il rispetto della normativa in materia di produzione biologica ed etichettatura dei prodotti biologici”) contiene una norma che vanifica il nuovo decreto che vuole introdurre la nuova “punizione” per le tracce di sostanze non ammesse.
Il provvidemento di marzo, noto nell’ambiente con il nome di Decreto Laboratorio, infatti contraddice l’impostazione del nuovo decreto perché di fatto indica che l’organismo di controllo è tenuto ad avviare una “indagine ufficiale” in caso di “presenza” (0,01 mg/kg) e non di “tracce” di sostanze non ammesse.
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Cioè le tracce vanno bandite (sotto lo 0,01) in base alla base al nuovo decreto ma il laboratorio le accerta solo se hanno una concetrazione sopra lo zero tecnico, secondo il decreto di marzo 2024. Tanto è vero che all’articolo 8 del Decreto Laboratorio si legge: “I laboratori ufficiali… dichiarano non conforme il campione sul quale riscontrano un tenore dell’analita maggiore del limite di quantificazione prefissato a 0,010 mg/kg“.
Quindi sotto il prodotto è conforme. Ma non per il prossimo decreto. E si torna alla casella di partenza in attesa che il ministero di Lollobrigida tiri di nuovo i dadi.