Al via Click Day per lavoratori stranieri, ma la legge italiana è una fabbrica di irregolari

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Partono il 18 marzo i clickday previsti dal decreto flussi che prevede di portare 151mila lavoratori stranieri in Italia. Ma quelli in nero che lavorano già qui, porterebbero 7 miliardi nelle casse dello Stato, se potessero contare sul permesso di soggiorno, che invece è reso una chimera da ritardi e norme illogiche. Come nel caso dell’ultima sanatoria

Partono il 18 marzo i clickday previsti dal decreto flussi che prevede di portare 151mila lavoratori stranieri in Italia nel 2024. Ma quelli in nero che lavorano già qui, porterebbero 7 miliardi nelle casse dello Stato, se potessero contare sul permesso di soggiorno, che invece è reso una chimera da ritardi e norme illogiche. Come nel caso dell’ultima sanatoria. Lo abbiamo raccontato nel numero di marzo del Salvagente, nel servizio di cui pubblichiamo un estratto qui.

Voglio leggere l'inchiesta sui lavoratori stranieri in Italia nel numero di marzo del Salvagente!

Quando si parla di migranti irregolari in Italia il rischio è di oscillare tra prese di posizioni ideologiche e aride statistiche: quanti sono, quanti ne arrivano. Ma dietro ogni numero c’è una storia difficile che spesso viene resa ancora più complicata dalle leggi italiane. In alcuni casi, infatti, come abbiamo potuto rilevare in questa inchiesta, le regole e i malfunzionamenti pubblici del nostro paese finiscono non solo con il creare irregolari invece che limitarne la presenza, ma anche con il far perdere miliardi di euro alle casse italiane.

I ritardi della sanatoria

Ne è un esempio lampante la gestione disastrosa delle richieste presentate per la sanatoria 2020. Circa 220mila migranti con un datore di lavoro pronto a firmare un regolare contratto di lavoro l’hanno presentata nel giugno di quell’anno, ma la maggior parte di essi sono ancora in attesa di una convocazione che li farebbe uscire da un limbo giuridico kafkiano. A raccontarci le storture del sistema è Marcello Buono, titolare di un ufficio che gestisce le pratiche per l’immigrazione a Roma: “A giugno 2020 il governo ha deciso una sanatoria per l’emersione dal lavoro nero di domestici e badanti. Una cosa che doveva essere rapidamente evasa, ma siamo a gennaio 2024 e solo a Roma ci sono 40mila pratiche ancora ferme, in attesa di giudizio”. Secondo Buono, tra le tante problematiche della sanatoria, la più assurda è che per le pratiche che hanno ottenuto tutti i pareri favorevoli, “attualmente le convocazioni sono per giugno 2025”. La sanatoria, infatti, prevedeva che la questura desse un parere positivo, dopo aver verificato l’assenza di pendenze con la giustizia. Dopodiché, l’ispettorato del lavoro doveva verificare la capacità reddituale del datore di lavoro e la prefettura doveva convocare i richiedenti.“Ma se ti tu trovi a dover aspettare tutto questo tempo, soprattutto per i badanti che lavorano con gente anziana, capita che il datore di lavoro nel frattempo muoia” spiega Marcello Buono, “e a questo punto il richiedente si trova solo con un foglio di carta in mano, che non è altro che la ricevuta della domanda”.

Un limbo di 5 anni

È vero che tecnicamente si potrebbe trovare un altro datore di lavoro e tentare comunque di ottenere il permesso di soggiorno, ma come spiega l’esperto, “innanzitutto il 90% dei datori di lavoro non si fida a fare un contratto a una persona che ha solo una ricevuta di una domanda in mano”, e poi, anche volendo, toccherebbe fare il subentro del nuovo datore di lavoro, il che richiede ulteriore tempo e non tutte le prefetture nella pratica lo consentono. E allora, cosa succede in questo periodo di limbo, che appunto può durare anche 5 anni? I più fortunati trovano un impiego in regola, arrendendosi all’idea che comunque dovrà essere nella categoria badanti o colf, ma la maggior parte si arrende a lavorare in nero.

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I soldi persi dalle casse dello Stato

“Questo significa aver perso una valanga di soldi, – spiega Buono – tu hai gente che lavora qui da quattro anni e non versa contributi perché è impossibilitata a essere assunta”. Dalla sanatoria del 2020, lo Stato prevedeva un introito di 360 milioni di euro sotto forma di tasse e contributi regolarizzati, ma oltre i 30 milioni di euro immediati, rappresentati dai contributi una tantum, gli obiettivi sono ben lungi dall’essere raggiunti.

Il danno e la beffa

A monte di questo, c’è un’altra questione legata al datore di lavoro: nel modulo di presentazione della sanatoria questi poteva dichiarare o di aver assunto contestualmente il lavoratore da regolarizzare o d’impegnarsi a farlo all’atto dell’accoglimento della domanda. Nel primo caso, “il datore di lavoro non solo paga i contributi ma anche una multa di 156 euro ogni mese, fino a quando la domanda non viene accettata, fate il calcolo – spiega Marcello Buono – cosa significhi per 4 anni. Così è normale che la maggior parte preferiscano limitarsi a impegnarsi, con la conseguenza che il lavoratore continuerà a lavorare in nero. In questi quasi 5 anni sono oltre 200mila le persone che hanno richiesto la sanatoria e molte di queste non hanno mai pagato contributi”.

Le maglie larghe per chi vuole fare il furbo

Fino a qui ci siamo occupati delle storture che toccano a chi in buona fede vuole regolarizzare la propria posizione. Ci sono poi gli altri. Quelli che vivono e lavorano in Italia da anni da irregolari, in altri settori, come la ristorazione o l’edilizia. Se l’unica occasione per prendere i documenti è fingersi colf, in tanto ci proveranno. “Vengono da te, potenziale datore di lavoro, e ti offrono 5-6mila euro per farsi assumere. In questi casi, il lavoratore si paga anche la multa prevista, e i contributi. Un dipendente non realmente colf, che non ha un datore di lavoro serio, spende tra i 7 e gli 8mila euro per il permesso di soggiorno”.

La scarsità di personale in questure e prefetture

Ritornando al quadro generale, è evidente che una delle questioni principali sia la lentezza scandalosa dell’iter delle pratiche. La ragione, secondo le autorità coinvolte, è che manca personale negli uffici. Il che è vero, anche se non è l’unica ragione di tanti ritardi. Innanzitutto spesso gli stessi reparti di prefetture e questure devono occuparsi della sanatoria, ma anche delle richieste legate ai tipi di permessi di soggiorno, inclusi quelli legati al decreto flussi, che riguarda i lavoratori stagionali. Si viene a creare così un rallentamento che penalizza tutti. A questo si aggiunge, se non bastasse, il fatto che in luoghi così nevralgici il ministero degli Interni per risparmiare spesso preferisce mettere lavoratori interinali per pochi mesi con una formazione basica, mandati da agenzie e cooperative, invece che assumere stabilmente persone con competenze consolidate.

La lotteria dei click day

Non va meglio con gli ingressi previsti dal decreto flussi. “Questi si basano su delle quote – spiega Marcello Buono – e quindi periodicamente c’è il famoso click day, con cui possono fare domanda solo i più veloci. Abbiamo avuto 9.500 quote per l’ultimo flusso per i domestici in tutta Italia, lo scorso 4 dicembre. Sono andate esaurite in un minuto e mezzo. A marzo ne è previsto un altro e i tanti che non hanno avuto risposta entro i 30 giorni previsti, ritenteranno. È una lotteria”. Per avere un lavoratore, nella migliore delle ipotesi passano 2 mesi. “Lo richiedo per raccogliere pere e quello arriva alla raccolta delle fragole. E finisce che il lavoratore non gli serve più”, commenta sarcastico Buono. E infatti nell’estate del 2023 anche le maggiori confederazioni del lavoro come Cia e Coldiretti hanno protestato per la lentezza degli ingressi stagionali. Il governo Meloni per velocizzare le pratiche per il decreto flussi, fondamentale per il comparto agricolo, ha tolto la competenza alla prefettura e agli ispettori del lavoro. I permessi li rilascia direttamente il ministero, sulla base dell’autocertificazione, e del solo parere della questura. Ma ciò non è bastato.

I permessi fasulli

“Lo scorso anno – sostiene Buono – sono stati dati diversi permessi fasulli. I lavoratori approfittavano per far entrare nel paese amici o familiari. Bastava trovare un datore di lavoro compiacente e indicare, come prevede la legge, le generalità della persona residente nel paese straniero da cui si voleva portare in Italia. Un’operazione che costa tra i 10 e i 15mila euro al migrante, il quale spesso, arrivato in Italia, si trova da solo, con l’intermediario che sparisce e senza aver mai incontrato il presunto datore di lavoro”. Quest’ultimo, se beccato dalla legge, rischia di finire in una black list per i futuri flussi, ma, secondo l’esperto, i controlli sono pochissimi, e dunque i rischi minimi. Il migrante, invece, anche se trovasse un vero lavoro, non potrebbe mettersi in regola perché il primo contratto lo deve comunque fare il datore di lavoro dichiarato nella domanda.

Il paradosso: vita impossibile per chi ha un lavoro, e porte aperte per chi bara

“Il paradosso – sottolinea l’esperto – è che da una parte mantieni irregolari i migranti con un lavoro che potresti regolarizzare, e dall’altra fai entrare persone irregolari nel paese, allentando i controlli solo perché sei sotto pressione. La legge funziona così male che alla fine chi aspetta l’esito della sanatoria preferisce andare nel suo paese di origine e fingere di vivere lì quando arriva la chiamata del decreto flussi”. Secondo Marcello Buono, “bisognerebbe smetterla con questo approccio sull’immigrazione esclusivamente politico. Bisogna essere pragmatici. Se mi servono dei lavoratori faccio in modo che le procedure funzionino, e prevedo i mezzi adeguati. Serve snellire le procedure, ma per farlo occorrono i controlli e un approccio razionale, a partire dal fatto che chi può godere di un lavoro regolare, deve avere accesso al permesso di soggiorno senza troppi ostacoli”.

L’intervista: “Che fatica! Da datore di lavoro non lo rifarei”

Mettiamoci nei panni di un italiano che vuole aiutare un migrante irregolare a emergere grazie a un contratto di lavoro. Quanto saremmo disposti a perdere in termini di soldi, tempo, stress, per far fede all’impegno?

È la stessa domanda che si è posta più volte Monica T., romana, che racconta al Salvagente l’odissea che ha dovuto affrontare per regolarizzare il suo domestico, tramite la sanatoria.

Monica, ci racconti com’è iniziata questa odissea?
Quando è uscita la sanatoria nel 2020 ho fatto una richiesta per assumere una persona, un domestico egiziano che lavorava da me part time. Abbiamo fatto la domanda tramite uno studio di commercialista, producendo i miei documenti di reddito, i documenti del lavoratore e tutto quello che c’era da fare. Dopo questa domanda, il nulla.

In che senso?
L’irraggiungibilità totale della prefettura per avere notizie. È passato più di un anno senza avere praticamente risposta a ogni sollecito via mail, pec, qualsiasi cosa. Fino a che mi arriva una mail con cui dicono che la domanda è stata rigettata.

Perché?
Perché io non avevo prodotto alcuni documenti che non mi erano stati in realtà richiesti. O forse erano stati richiesti, ma ti mandano una mail così vaga che non si capisce se tu i documenti li devi produrre subito o se li devi portare quando ti convocano. E poi non c’è una sorta di assistenza, non c’è mai nessuno che ci capisce niente, nemmeno il commercialista che me l’ha fatto.

Come si comporta ricevuta la notizia?
Cerco di fare ricorso, cerco di parlare con loro, mando pec. Hanno un servizio contatti con il pubblico alla prefettura al quale non risponde nessuno. Sono andata un miliardo di volte di presenza. All’epoca almeno, non ti facevano neanche entrare per chiedere un’informazione, ti dicevano che dovevi prendere un appuntamento. L’appuntamento si prendeva via pec, ma nessuno mi ha mai risposto.

Ma lei non si è abbattuta.
Sono riuscita tramite un Caf e un avvocato a farmi riaprire questa pratica e a presentare la documentazione e poi da lì è ricominciato il nulla.

Dopo quanto vi hanno ricontattati?
Dopo quasi due anni. Per arrivare alla fine di questa pratica ci sono voluti tre anni e mezzo.

Oltre allo stress, c’è una questione economica da non sottovalutare, giusto?
Già. Quando apri la pratica e fai la domanda paghi subito per sanare i contributi che tu non hai versato a questa persona in precedenza. La prima tranche era 500 euro. La seconda 900. In più devi continuare a pagare i contributi mensilmente, pur non sapendo se la pratica sarebbe andata buon fine. Ho continuato a versare 343 euro ogni 3 mesi per 3 anni e mezzo.

Complessivamente fanno oltre 6mila euro.
La cosa assurda è per la prefettura la pratica quasi non esisteva, ma l’Inps invece ha iniziato subito a mandarmi i bollettini a casa. Mi chiedo: se una volta chiusa la pratica il permesso di soggiorno non fosse arrivato, questi contributi già versati dove andavano a finire?

Bella domanda. Altre spese?
Siccome lui abitava qui da me, ho dovuto fare l’alloggiativa che si ottiene all’ufficio del comune. Ho dovuto pagare un ingegnere che facesse una relazione asseverata a casa mia per dimostrare che la stanza era abbastanza grande per dormirci. L’ingegnere viene, prende la misura, fa il disegno, lo presenti, al comune non sta bene, perché se non combacia un muro, bisogna controllare la piantina. Sono andata una decina di volte. L’ingegnere è stato pagato 300 euro, abbiamo diviso la spesa a metà con il lavoratore.

Ancora soldi…
Si spendono migliaia di euro tra contributi, ingegnere, eccetera e poi magari dopo 3 anni ti dicono ‘no guardi, non va bene’, e in quel caso, ti trovi con una persona del tutto irregolare a casa. A quel punto che fai? Lo mandi via?

Quando avete chiuso la pratica?
A luglio del 2023. La prima volta ci hanno ricevuto però a marzo, ponendoci un altro problema.

Quale?
Ci hanno detto che ci doveva essere una prova della sua presenza in Italia almeno da marzo 2020. Lui aveva comprato una tessera telefonica, ma dicevano che non bastava. ‘Non è mai stato al pronto soccorso?’ mi chiedono. Dico ‘No, mi dispiace’. Insistono: ‘Ma non ho avuto mai problemi? Non lo hanno mai fermato per strada…una denuncia della polizia?’ Dico ‘no, mi dispiace, non è un delinquente, quindi non è stato mai denunciato’.

E come avete fatto?
Un medico gli aveva fatto una prescrizione perché era stato poco bene, quindi gli ho dovuto far produrre il certificato. Loro hanno contattato il medico per controllare la veridicità. Certo è che se fosse stato un delinquente o se fosse stato molto male, si faceva prima.

Dal suo racconto emerge anche un enorme dispendio di tempo.
Atroce. Non può capire le file che ci siamo fatti fuori dalla prefettura, come le bestie. In tutti gli uffici dovevi andare la mattina presto per riuscire a parlare con qualcuno ma tanto non parlavi con nessuno, non c’era verso, erano impenetrabili.

Per quanti anni avete ottenuto il permesso di soggiorno?
Per due anni. Poi si dovrà rinnovare.

C’è anche la questione dell’assistenza medica…
Il lavoratore aveva un codice fiscale numerico provvisorio, ma se tu volevi avere l’assegnazione di un medico a questa persona, con il codice fiscale numerico non era possibile. Lui pagava i contributi ma non aveva diritto ad avere un medico di base.

E se aveva bisogno di una prescrizione come faceva?
È quello che ho chiesto io all’Asl. Ne ho girate tantissime e mi hanno detto che per assurdo era meglio che fosse stato irregolare. A loro viene assegnato un codice fiscale diverso. Lui che era in questa fase di transizione non poteva averlo. Dunque, ogni volta per andare da un medico, magari per una prescrizione, doveva pagarlo.
Com’è stato dal punto di vista umano questo rapporto nel limbo dell’irregolarità?

C’era il disagio nei confronti di questa persona, che viveva con l’aspettativa di avere un documento che non arriva mai. Chi fa i decreti poi non pensa alle conseguenze.

Se uscisse una nuova sanatoria, e si trovasse in una situazione simile, rifarebbe tutta questa fatica?
No. Direi al lavoratore ‘mi spiace ma prendo una persona che è già regolare’, perché per me significherebbe ore e ore perse, per anni. Sono stati tre anni e mezzo terribili. Una persona vorrebbe fare le cose come si deve, ma a volte lo rendono quasi impossibili.