Il consumo di cibi ultraprocessati – come piatti pronti, bevande gassate, patatine, corn flakes – è associato nel 14% degli adulti e nel 12% dei bambini a meccanismi biopsicologici di dipendenza e problemi clinicamente significativi. La meta-analisi è stata condotta da ricercatori Usa, brasiliani e spagnoli
Un adulto su sette e un bambino su otto potrebbero essere dipendenti da alimenti ultraprocessati, secondo una meta-analisi condotta su 281 studi scientifici condotta da ricercatori statunitensi, brasiliani e spagnoli.
Quando parliamo di cibi ultraprocessati ci riferiamo ad alimenti confezionati (piatti pronti, biscotti, patatine, corn flakes, etc) mediante processo industriale che contengono più di 5 ingredienti – come ad esempio coloranti, conservanti, aromi – o che hanno subito diversi trattamenti di trasformazione “come il riscaldamento ad alte temperature, la frittura, l’estrusione – che alterano in maniera sostanziale la struttura dell’ingrediente originale”.
“Si stima – scrivono i ricercatori – che la dipendenza da cibo ultraprocessato si verifichi nel 14% degli adulti e nel 12% dei bambini ed è associata a meccanismi biopsicologici di dipendenza e problemi clinicamente significativi. La comprensione del fatto che questi alimenti creano dipendenza potrebbe portare a nuovi approcci nel campo della giustizia sociale, dell’assistenza clinica e degli approcci politici”.
Oltre alle conseguenze sulla salute, questo tipo di alimenti produrrebbero un livello tale di assuefazione che ne favorirebbe lo stimolo a un consumo ricorrente. I comportamenti dei consumatori di questi cibi sarebbero molto simili a quelli della dipendenza: desiderio intenso, sintomi di astinenza, minore controllo sull’assunzione e uso continuato nonostante conseguenze come obesità, disturbo da alimentazione incontrollata, cattiva salute fisica e mentale e minore qualità della vita. “Esiste un supporto convergente e coerente a favore della validità e della rilevanza clinica della dipendenza da cibo”, ha affermato al Guardian Ashley Gearhardt, co-autrice dello studio e professoressa di psicologia presso l’Università del Michigan negli Stati Uniti. La coautrice Alexandra Di Feliceantonio, professoressa associata presso il Fralin Biomedical Research Institute negli Stati Uniti ha aggiunto: “Data la prevalenza di questi alimenti – costituiscono il 58% delle calorie consumate negli Stati Uniti – c’è così tanto che non sappiamo“.
Secondo i ricercatori, “i carboidrati raffianti o i grassi aggiunti evocano livelli simili di dopamina nello striato cerebrale come le sostanze che creano dipendenza come la nicotina e l’alcol“. “Sulla base di questi paralleli comportamentali e biologici, gli alimenti che forniscono alti livelli di carboidrati raffinati o grassi aggiunti sono un forte candidato per una sostanza che crea dipendenza”. Anche la velocità con cui questi alimenti forniscono carboidrati e grassi all’intestino potrebbe svolgere un ruolo nel loro “potenziale di dipendenza”, hanno aggiunto gli autori della meta-analisi. Gli additivi alimentari, infine, potrebbero “diventare potenti rinforzatori degli effetti delle calorie nell’intestino”.
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Pur concludendo che c’è bisogno di ulteriori studi, i ricercatori hanno affermato che “i comportamenti legati al cibo ultra-processato possono soddisfare i criteri per la diagnosi di disturbo da uso di sostanze in alcune persone“.