Come andare in pensione con pochi contributi

PENSIONE POCHI CONTRIBUTI

Quali sono le vie di uscita per chi ha pochi contributi previdenziali e vuole andare in pensione: le strade percorribili e tutte le opzioni previste dalle legge

Il sistema pensionistico italiano prevede che i lavoratori possano andare in pensione al raggiungimento dell’età prevista dalla legge, attualmente 67 anni, e dopo aver versato un numero sufficiente di contributi nel corso della loro carriera lavorativa. A tale condizione generale sono state applicare negli ultimi anni alcune deroghe, come ad esempio Quota 100 e le successive evoluzioni, misure che hanno il principale obiettivo di anticipare i tempi della pensione, scontando però una riduzione dell’ammontare dell’assegno mensile, proprio in virtù della mancata contribuzione del lavoratore per gli anni di lavoro scontati dal regime ordinario. Non sono pochi poi i casi di lavoratori che, malgrado abbiano l’età giusta per la pensione, si trovano con pochi contributi versati per via del fatto di aver lavorato poco e saltuariamente o non aver mai o quasi avuto un regolare contratto. Non mancano i casi di vera e propria evasione contribuita da parte dei datori di lavoro. In queste situazioni l’ordinamento prevede che i lavoratori possano comunque andare in pensione ricevendo un assegno minimo.

In pensione con pochi contributi

Come in parte già accennato, in Italia i lavoratori possono andare in pensione nel momento in cui hanno raggiunto 67 anni di età, la cosiddetta pensione di anzianità, e hanno una storia contributiva di almeno 42 anni e 10 mesi. Per le donne tale soglia scende a 41 e 10 mesi e, in entrambi i casi, il requisito anagrafico può venire meno se c’è stata la richiesta contribuzione. Ci sono, però, delle deroghe a questo sistema, che permettono anche a chi ha versato pochi contributi di poter comunque andare in pensione. Le strade che possono essere percorse in questi casi sono diverse, ad esempio:

  • l’assegno sociale, ovvero il contributo che viene riconosciuto in caso di disagio economico del nucleo familiare;
  • l’iscrizione e il versamento autonomo negli anni al Fondo casalinghe;
  • la fruizione di una pensione di reversibilità se se ne ha il diritto.

L’assegno sociale

Come detto, una strada percorribile per chi vuole andare in pensione e non ha mai lavorato o lo ha fatto senza un regolare contratto di lavoro è quella di richiedere l’assegno sociale. Questo può essere richiesto, a prescindere dai contributi effettivamente versati, da tutti i cittadini, coniugati e non coniugati, che hanno compiuto i 67 anni e hanno redditi che non superano la soglia annualmente prevista dalla legge. Quanto alle somme concesse, nel 2022 l’assegno sociale è stato pari a 468,10 euro per 13 mensilità. E ancora, chi ha un reddito Isee non superiore a 9.360 euro annui – ed è in possesso degli altri requisiti previsti dal decreto – legge n.4 del 2019 – può fare domanda per ricevere l’integrazione dell’assegno sociale con la cosiddetta pensione di cittadinanza. L’importo massimo raggiungibile è di 780 euro. Vi è poi l’assegno ordinario di invalidità, richiedibile da chi risulta aver versato contributi per almeno 5 anni, gli ultimi tre dei quali nel quinquennio precedente alla domanda. Altro requisito per ricevere questo assegno è che si sia verificata una riscontrabile riduzione della capacità lavorativa a meno di un terzo. Anche in questo caso l’importo dell’assegno di invalidità viene deciso anno per anno sulla base dell’indice dei prezzi al consumo: nel 2022 è stato pari a 291,80 euro per tredici mensilità.

Il Fondo casalinghe

Un’altra strada percorribile per chi non ha versato pochi contributi ed intende andare in pensione è quella di sfruttare il Fondo casalinghe. Per farlo è necessario essere iscritti con almeno 5 anni di contributi e accedere alla pensione di inabilità lavorativa o alla pensione di vecchiaia al compimento di 57 anni. Si sottolinea su quest’ultimo punto che nel momento in cui i versamenti effettuati non dovessero risultare sufficienti a maturare un assegno previdenziale pari all’importo dell’assegno sociale maggiorato del 20%, la pensione sarà erogata a partire dai 65 anni di età del richiedente. Quanto ai contributi da pagare in autonomia al Fondo casalinghe, questi devono avere un valore mensile di almeno di 25,83 euro al mese, cioè 309,84 euro all’anno e 1.549,20 euro per cinque anni. È opportuno ricordare che nel momento in cui non si dovesse raggiungere il minimo contributivo di 5 anni, tutte le rate già pagate dal contribuente verranno perse e non potranno essere utilizzate per la ricongiunzione o la totalizzazione dei contributi con altre casse previdenziali.

Il Fondo mutualità

Un meccanismo simile a quello del Fondo casalinghe è rappresentato dal Fondo mutualità rivolto agli uomini e le donne che svolgono lavori di cura non retribuiti derivanti da responsabilità familiari. Dal 1° gennaio 1997, il Fondo mutualità, previsto dalla legge 386 del 1963, è stato convertito nel Fondo di previdenza. L’iscrizione è volontaria e viene concessa nel rispetto di determinati requisiti, tra cui il più importante è quello per cui gli interessati non siano titolari di pensione o forme di lavoro retribuito. Inoltre, al Fondo di previdenza possono accedere anche i lavoratori part time.

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Il versamento autonomo dei contributi

Tutte le opzioni descritte rappresentano delle soluzioni al caso in esame che, però, risultano attivabili solo nel momento in cui si verifica la presenza di altre condizioni determinanti, come problematiche economiche o condizioni fisiche riconosciute che rendono impossibile il lavoro. In assenza di queste, il lavoratore che intende andare in pensione senza aver versato contributi per 20 anni può sfruttare le deroghe previste dal sistema. Entrando più nello specifico, il soggetto può aspirare ad avere una pensione minima versando autonomamente dei contributi volontari, ma sarà necessaria l’autorizzazione da parte dell’Inps. Per versare in autonomia i contributi, l’Inps ha previsto che l’accettazione passi da una serie di parametri sintetizzabili nei seguenti punti:

  • il richiedente abbia una storia contributiva di almeno 5 anni. Si tratta, più nello specifico, di 260 settimanali per i lavoratori dipendenti e domestici, di 60 mensili per gli autonomi, di 465 giornalieri per i lavoratori agricoli e di 310 per le lavoratrici agricole;
  • è poi necessario che vi siano almeno 3 anni di contribuzione nei 5 anni che precedono la presentazione della domanda all’Inps. Questo requisito si perfeziona nel momento in cui sussistono 36 contributi mensili per gli autonomi, 279 giornalieri per i lavoratori agricoli e 186 giornalieri per le lavoratrici.

Altre opzioni di pensione senza o con pochi contributi

Ci sono anche altre opzioni per poter andare in pensione anche avendo versato pochi contributi. La prima di cui ci occupiamo è la cosiddetta opzione contributiva Dini che prevede che possano andare in pensione coloro che hanno effettuato 15 anni di versamenti e fino ad un massimo di 18, con almeno un contributo pagato entro il 31 dicembre 1995 e 5 anni dopo il 1° gennaio 1996. C’è poi quanto previsto dalla legge Amato, decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503), e dalla Circolare Inps n. 16/2013, in virtù delle quali è possibile ottenere la pensione pagando solo i contributi per 15 anni. Entrando più nello specifico, possono beneficiare della misura:

  • coloro che hanno contributi versati integralmente prima del 31 dicembre 1992, sommando tutti i contributi, volontari o obbligatori, figurativi o da riscatto e ricongiunzione. In questo caso è richiesta l’iscrizione al Fondo pensioni lavoratori dipendenti o alle gestioni speciali Inps dei lavoratori autonomi;
  • coloro che hanno avuto, prima del 26 dicembre 1992, l’autorizzazione al versamento di contributi volontari, anche senza averli materialmente pagati entro questa data. Sono esclusi da questo beneficio i lavoratori pubblici e gli ex-Ipost;
  • i lavoratori con almeno 25 anni di anzianità assicurativa, che hanno cioè pagato almeno un contributo 25 anni prima della data di presentazione della domanda di pensione. In questo caso servono 15 anni complessivi di contribuzione e almeno 10 anni di lavoro per periodi inferiori alle 52 settimane.

Ci sono poi dei casi in cui il numero di anni di contribuzione viene abbassato a cinque. Più nello specifico, i lavoratori che non hanno contributi versati prima del 31 dicembre 1995 e sono iscritti a casse previdenziali gestite da Inps possono richiedere la pensione di vecchiaia contributiva, purché però abbiano almeno 71 anni di età e cinque anni di contributi pagati integralmente dopo il 31 dicembre 1995. Per chi, invece, risulta avere contributi pagati, anche in parte, prima del 1° gennaio 1996 è possibile scegliere il computo, ovvero il trasferimento dei contributi nella gestione separata Inps. In tale scenario è possibile andare in pensione con l’opzione contributiva soltanto nel momento in cui si sono accumulati un minimo di 15 anni di contributi – non cinque – e almeno uno di questi riguarda il periodo precedente al 31 dicembre 1995.