La vertical farming è il modello di coltivazione in verticale che consente di ridurre il consumo di suolo e rappresenta una delle possibili soluzioni all’agricoltura intensiva
Secondo i dati delle Nazioni Unite entro il 2050 la popolazione mondiale raggiungerà i 9,7 miliardi e si avrà una riduzione, contestualmente, delle terre coltivabili. Ciò è dovuto all’espansione delle città e delle infrastrutture, cambiamenti demografici che obbligano allo studio di nuovi metodi di produzione alimentare. Il modello finora utilizzato è quello dell’agricoltura intensiva, che sacrifica foreste, zone umide ed ecosistemi naturali per lasciar posto a immense coltivazioni di una sola piantagione. Così facendo, l’agricoltura e l’allevamento sono arrivati ad emettere 9,3 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente nel 2018, contribuendo in modo determinante alla crisi climatica. La vertical farming potrebbe essere la soluzione: infatti, permetterebbe di ridurre la pressione sui terreni agricoli, grazie a sistemi di coltivazioni fuori suolo e tecnologicamente avanzati.
Cos’è il vertical farming
Ma cos’è? Il termine vertical farming fa riferimento al concetto di agricoltura o coltivazione verticale che, rispetto alle modalità agricole tradizionali, prevede la realizzazione di colture su strutture a strati sovrapposti. Ciò riduce l’estensione delle coltivazioni attraverso l’utilizzo dello spazio verticale. Questa rientra nell’ambito delle agricolture hi-tech, dato che non si consuma suolo e vengono impiegate tecniche come l’agricoltura idroponica. L’approccio è lo stesso dell’agricoltura biologica, che punta all’eliminazione degli inquinanti nocivi per la salute e l’ambiente, utilizzando al loro posto nutrienti naturali.
Un po’ di storia
La vertical farming nasce nel 1999 ad opera di un professore della Columbia University, Dickson Despommier. L’uomo aveva progettato, in collaborazione con i suoi studenti, una coltura che potesse soddisfare il fabbisogno alimentare di circa 50mila persone. Il progetto non venne mai realizzato ma fece emergere l’idea di vertical farming, successivamente ampliata grazie all’avvento delle nuove tecnologie. Il primo progetto fu realizzato nel 2009 nel Regno Unito: si trattava di una coltura urbana che mirava alla produzione di cibo per animali, al contempo sensibilizzando rispetto alla possibilità di risparmiare suolo e realizzare un’agricoltura attenta al mantenimento della biodiversità. Il paese in cui attualmente il modello è più sviluppato è l’Olanda, probabilmente anche in ragione del fatto che il clima è poco favorevole alle coltivazioni agricole tradizionali e che sono presenti diverse specie autoctone. In quanto all’Italia, la prima azienda nasce a Milano in occasione di Expo 2015, con il nome di “Skyland”. Secondo quanto stimato, la produzione di questa coltura riuscirebbe a soddisfare il fabbisogno di circa 25mila persone. Secondo il progetto, l’azienda dovrebbe riutilizzare un vecchio centro commerciale all’interno del quale verrà adibita un’area per la vendita dei prodotti, e un’altra per le colture in vertical farming. Quest’ultima dovrebbe occupare la porzione superiore dell’edificio, essere suddivisa in 30 piani e raggiungere una superficie totale di 10 ettari. Una vertical farm attualmente presente in Italia e simbolo di questo modello si trova a Sfera di Gavorrano, nei dintorni di Grosseto. Si tratta di una serra idroponica di 13 ettari che garantisce una riduzione del consumo idrico dell’80-90%, nonché una produttività 15 volte superiore rispetto alle coltivazioni convenzionali. Anche in Puglia si è iniziato a produrre pomodori tramite coltivazioni verticali: l’azienda Lapietra di Monopoli ha ottenuto, dopo 5 anni di lavoro, una produzione agricola a residui zero e senza nichel.
Le diverse tipologie
Esistono due categorie principali di vertical farming: quelli più diffusi sono realizzati su più livelli, mentre i secondi prevedono che le piante siano coltivate su una superficie verticale senza sviluppo orizzontale. Parliamo di:
- sistemi orizzontali sovrapposti, riferendoci a coltivazioni realizzate all’interno di strutture ad ambiente controllato, in cui parametri come umidità e temperatura sono costantemente monitorati. Spesso la luce viene fornita tramite fonti rinnovabili; molte di queste colture utilizzano sistemi di coltivazione idroponica, che fornisce una matrice per le radici delle piante alternativa al suolo;
- le pareti verdi sono piattaforme in crescita verticale o inclinate, situate in luoghi come le facciate degli edifici. I limiti principali riguardano il mantenimento di un costante e omogeneo approvvigionamento di acqua lungo tutta la parete, oltre che un’adeguata esposizione alla luce solare;
- deep farm, cioè strutture create all’interno di tunnel abbandonati sotterranei, in cui l’umidità è costante e adeguata alle colture. Sono utili per il risparmio dell’approvvigionamento di acqua, dato che spesso vengono costruite vicino a falde acquifere.
Tecniche
In quanto alle tecniche, queste sono invece principalmente tre: metodo aeroponico, idroponico e acquaponico:
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- l’aeroponica è un approccio alternativo al vertical farming, in cui le radici sono annaffiate con una soluzione nutritiva; spesso vengono utilizzate luci Led a basso consumo energetico per rendere possibile il processo di fotosintesi. Il vantaggio principale di questa tecnica è il ridotto consumo di acqua, accompagnato ad una crescita efficiente e veloce delle piante;
- il metodo idroponico: la terra viene sostituita con substrati di diverso genere, come fibra di cocco, lana di roccia o argilla. I nutrienti vengono forniti attraverso le radici, in cui viene somministrato vapore acqueo misto a minerali. Nel caso del vertical farming, probabilmente questo è il metodo più utilizzato per via dei bassi costi iniziali;
- il metodo acquaponico prevede che l’allevamento ittico si combini con la vertical farming. In particolare, per le colture viene utilizzata l’acqua di scarico degli allevamenti di pesci e crostacei.
I vantaggi
Un approccio di questo tipo presenta chiaramente diversi vantaggi, primo tra tutti quello di consentire un minore consumo di suolo. Ciò ha importanti conseguenze nella riduzione di fenomeni come la deforestazione e nell’utilizzo di ambienti non agricoli per le coltivazioni. Allo stesso tempo, l’approccio è in grado di preservare la biodiversità della biosfera, grazie al ridotto sfruttamento degli ecosistemi naturali (e con una conseguente maggior tutela della flora e della fauna locali). Dal momento che si tratta poi di una tecnica controllata, riduce fortemente la presenza di infestanti e agenti patogeni. Essendo inoltre in grado di produrre tutto l’anno, anche in ambienti urbani, impatta in modo positivo sull’ambiente riducendo le emissioni di gas serra, rendendo il sistema compatibile con i principi dell’agricoltura sostenibile. Ulteriori vantaggi riguardano il notevole risparmio idrico, dato che la stessa acqua può essere riutilizzata dopo opportuni trattamenti di depurazione, e l’innovazione tecnologica, che incentiva la ricerca e lo sviluppo di metodi di coltivazione innovativi ed efficienti. In sintesi, i benefici principali della vertical farming potrebbero essere così sintetizzati:
- minore sfruttamento del territorio, dato che utilizzano un’area di territorio di dimensioni inferiori rispetto alle classiche coltivazioni agricole;
- minore esposizione alle variazioni climatiche, infatti le colture risentono meno dell’azione distruttiva degli agenti esterni;
- sono coltivazioni a sistemi chiusi, in cui l’aria viene filtrata: ciò riduce di molto il rischio di contaminazione delle colture;
- non vengono usati pesticidi ed erbicidi, per cui i prodotti derivanti da questo tipo di colture possono essere considerati biologici;
- questo modello si integra perfettamente nel tessuto urbano: è un vantaggio non da poco, considerando che secondo l’Onu il 70% della popolazione globale, nel 2050, vivrà in città;
- possibilità di recuperare strutture abbandonate, sfruttando stabilimenti chiusi e uffici in disuso per avvicinare la produzione ai consumatori.
Svantaggi
Parallelamente ai vantaggi di questa tecnica esistono, però, alcuni svantaggi. Il primo è più importante riguarda sicuramente i costi, che sono più elevati rispetto ad un’azienda agricola tradizionale. Ciò è dovuto al costo dell’energia consumata, maggiore rispetto alle coltivazioni convenzionali, in cui non si utilizzano Led o altre fonti energetiche per la fotosintesi. La soluzione migliore, in questo caso, sarebbe usare fonti di energia rinnovabile per ridurre l’impatto delle vertical farm su ambiente e inquinamento. Non soltanto, quindi, una vertical farm richiede ingenti investimenti iniziali, ma anche spese significative per l’energia per il mantenimento della struttura, costi che in alcune zone potrebbero rendere l’agricoltura verticale poco conveniente. Su questo punto, è indispensabile fare un’analisi del rapporto costi/benefici. In zone in cui l’agricoltura convenzionale è fiorente e fornisce alimenti a costi accessibili, il modello non è sicuramente vantaggioso; viceversa, per regioni remote con clima rigidi, o nelle grandi metropoli urbane, questa potrebbe essere la soluzione ideale. Per abbattere i costi, l’idea è quella di puntare sull’autoproduzione di energia elettrica, ad esempio tramite impianti fotovoltaici o sistemi come il mini eolico, rendendo al contempo queste strutture più competitive ed ecologiche.
La più grande vertical farm del mondo
Stando a quanto annunciato dalla Jones Food Company, società del Regno Unito, pare che avrà sede nei pressi di Bristol la più grande vertical farm del mondo. Il quotidiano The Independent ha riportato le informazioni diffuse dall’azienda, sottolineando le caratteristiche del nuovo progetto. Si parla di una superficie coltivabile di quasi 14mila metri quadrati. L’intento del fondatore James Lloyd-Jones è quello di sopperire alla crisi della filiera produttiva, oltre che garantire la sicurezza alimentare della popolazione. Decisione ancora più incombente, specie se si considera il momento storico che l’Uk sta vivendo in seguito alla Brexit.