Molto spesso gli esseri umani hanno cercato disperatamente di arrivare a determinati standard di razza per gli animali tramite quello che si può definire come vero e proprio maltrattamento genetico.
Da tempo immemore l’uomo ha cercato, tramite l’accoppiamento di razze anche diverse fra loro, di arrivare alla selezione di determinate caratteristiche fisiche per alcuni animali, cani e gatti in primis. In un primo momento, questo processo è avvenuto per la necessità di avere a disposizione un valido supporto per il lavoro, mentre a partire dal XIX° secolo tale fenomeno è servito per ottenere degli animali esteticamente più belli. Tuttavia, può facilmente capitare che questo mix risulti molto pericoloso o addirittura letale: ecco dunque i casi in cui si può parlare di vero e proprio maltrattamento genetico degli animali.
Ecco quali sono le caratteristiche di questa pratica crudele e tutte le conseguenze che essa può comportare.
Che cos’è il maltrattamento genetico degli animali
Si tratta di un termine piuttosto generico che non ha un corrispettivo in inglese o in altre lingue, e fa riferimento alla precisa selezione di alcuni elementi negli animali che, se non ininfluenti, potrebbero essere persino peggiorativi per la salute del cane o del gatto in questione.
Si tratta di un problema da non sottovalutare perché causa sofferenze da un lato e dall’altro: chi possiede un animale frutto di una selezione genetica particolare dovrà infatti farsi carico della sofferenza emotiva legata ai problemi di salute del proprio animale, che sarà a questo punto più predisposto a sviluppare patologie di varia natura. L’animale stesso, in parallelo, soffrirà per sempre di una serie di malattie e condizioni che comprometteranno molto la sua qualità della vita. Trattandosi poi di una selezione genetica, è importante ricordare che questo tipo di gravi problematiche potranno facilmente trasmettersi da una generazione all’altra.
Generalmente, sta alla selezione naturale la responsabilità di eliminare esemplari di cucciolate che presentano malformazioni. In linea teorica, dunque, le loro caratteristiche difettose non si dovrebbero trasmettere alla progenie, visto che questi esemplari non dovrebbero avere la possibilità di riprodursi. Questo però non avviene quando a metterci lo zampino sono gli esseri umani, che per secoli sono andati alla ricerca proprio di certi difetti, spesso per un semplice vezzo.
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Quando la selezione è innocua e quando invece può causare problemi
È importante ricordare che il processo di selezione non è sempre necessariamente deleterio per la salute dell’animale. Si pensi ad esempio alle modalità di scelta del colore della pelle, della resistenza, della forza fisica o alla velocità delle varie specie. Non è la stessa cosa, invece, quando selezioniamo geneticamente le specie facendole accoppiare per riuscire a riprodurre, se non addirittura accentuare, dettagli fisici che in realtà costituiscono fattori di rischio per la salute di cani, gatti o di altre specie.
Quella del maltrattamento genetico è una tendenza sempre più ricercata, non tanto da parte degli allevatori (che cercano, al contrario, di elevare sempre di più gli standard di razza) quanto piuttosto da una clientela molto esigente e da un mercato che invece che guardare al benessere animale mira alla soddisfazione di capricci personali. A volte la selezione può ad esempio generare un naso particolarmente schiacciato, altre all’emergere di uno specifico taglio degli occhi o della coda: caratteristiche, queste, sovente fonte di grandi sofferenze per la razza in questione.
La ricerca di una presunta perfezione estetica può fare danni. Fortunatamente, qualcosa si sta muovendo in questo senso e determinati tipi di abitudini stanno iniziando a scomparire, o perlomeno ad essere oggetto di un serio dibattito.
Non è un caso da questo punto di vista che negli ultimi anni anche nel nostro Paese abbiano iniziato a svilupparsi dei movimenti di sensibilizzazione sul tema.
Si ricordi ad esempio la fondazione nel 2018 del Cbv (Comitato bioetico per la Veterinaria) o ancora la nascita di associazioni come Asetra (Associazione di studi etologici e tutela della relazione con gli animali).
Gli aspetti legali
Forse non tutti sanno che gli elementi fino a questo punto presentati possono determinare anche una responsabilità legale da parte dei soggetti che portano a termine questo tipo di manipolazioni genetiche.
L’inbreeding forzato potrebbe dunque essere normato dall’articolo 544 del Codice penale, che riporta testualmente:
Chiunque, per crudeltà o senza necessità , cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione (da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro).
In un simile contesto legale, è fondamentale sottolineare che il maltrattamento genetico non è soltanto fonte di reale sofferenza per il singolo animale, ma è anche (come anticipato) un elemento di rischio per intere generazioni. Ecco perché in questo caso è possibile citare almeno altri due articoli del Codice penale. Il primo è l’art. 727, che recita:
Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze.
Questo articolo potrebbe a questo punto coinvolgere anche il responsabile sanitario di un determinato allevamento, e non soltanto l’allevatore (nel contesto di quella che viene definita “pena in esigendo”).
La responsabilità legale di cui effettua incroci non autorizzati o causa di sofferenze per l’animale potrebbe configurarsi anche in base all’art. 500 del Codice penale, che riporta:
Chiunque cagiona la diffusione di una malattia alle piante o agli animali, pericolosa all’economia rurale o forestale, ovvero al patrimonio zootecnico della nazione, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
In quest’ultimo caso, come riporta Futuravet, nonostante con “malattie” si pensi solitamente a patologie di tipo infettivo, non c’è dubbio che il principio possa valere anche per quelle di natura genetica.
Come intervenire
Posto che per questo tipo di attività sconsiderata può certamente prefigurarsi il rischio di una responsabilità legale, è possibile che in questo scenario il proprietario del cane o del gatto volutamente malformato si possa rivalere sull’allevatore dove è stato acquistato: si potrà dunque chiedere la sostituzione dell’animale o il rimborso della somma pagata.
Attenzione perché in questi casi cambiano le condizioni per il diritto di recesso. Secondo il Codice civile, infatti, in condizioni normali questa procedura dovrebbe essere effettuata entro 8 giorni dall’acquisto del cucciolo presso il relativo allevamento. In presenza di malformazioni genetiche evidenti, tuttavia, entra in gioco il Codice del consumatore, che permette al cliente di rivalersi entro due anni dall’acquisto. Il motivo è semplice: in un simile contesto è infatti evidente come la problematica fosse non soltanto precedente alla vendita ma richiedesse anche molto tempo per manifestarsi. Alcuni sintomi possono infatti presentarsi solo dopo molti anni.
Di che tipo di responsabilità si parla? La parola al veterinario
Prima di poter procedere per vie legali sarà fondamentale affidarsi a un esperto veterinario, che sarà in grado di fornire al suo assistito tutte le informazioni utili solo dopo aver svolto un’approfondita visita all’animale.
La procedura civile nei confronti dell’allevatore potrebbe dunque essere avviata per quanto riguarda il risarcimento (almeno per il momento si tratta della casistica più frequente). La procedura penale, per contro, sarà necessaria nel caso in cui venga accertato un vero e proprio maltrattamento verso l’animale.
Quali sono le patologie più comuni che emergono a causa della selezione genetica
Esiste una caratteristica in modo particolare che può essere presa d’esempio come risultato di una selezione spinta e forzata dagli effetti negativi: stiamo parlando dei brachicefali, cioè delle specie di cani e gatti che non presentano il naso.
La brachicefalia, ad onore del vero, non comporta soltanto l’assenza di un organo fondamentale per questi animali (soprattutto per il loro orientamento). I suoi effetti deleteri infatti si esprimono anche nella presenza di una lingua grande a tal punto che potrebbe causare loro problemi respiratori (si parla di macroglossia); inoltre, questi esemplari possono facilmente presentare un palato molto lungo e ispessito, tanto da impedire il passaggio dell’aria a livello dell’epiglottide; infine, possono soffrire di ipoplasia della trachea, una condizione nella quale l’organo addetto alla respirazione è troppo sottile.
I problemi respiratori, purtroppo, sono soltanto alcuni dei difetti che queste specie geneticamente modificate possono presentare. Tra le patologie più frequenti troviamo ad esempio la stenosi pilorica (che porta a frequenti rigurgiti), le malformazioni alle articolazioni, i problemi cutanei eccetera.
Le razze più a rischio
Nel corso del tempo, alcune di queste razze sono diventate molto ambite per i proprietari di cani, proprio alla luce dei loro tratti fisici considerati, per qualche motivo, alla moda.
Alcune razze sono in qualche modo un triste simbolo del maltrattamento genetico, come il bouledogue francese, il bulldog inglese o ancora il carlino. Molto spesso problemi di salute causati da una selezione estetica possono inoltre emergere nei pechinesi, nei shih tzu e nei boxer. Dal punto di vista dei felini, una particolare occhio di riguardo andrebbe posto sul gatto persiano o sul celebre gatto sphynx, che com’è noto è completamente privo di pelo.