Che cosa può fare un lavoratore che non riceve lo stipendio: gli strumenti a sua disposizione e come richiedere il risarcimento.Â
Nel momento in cui una persona sottoscrive un contratto di lavoro ha diritto, per legge, a ricevere una retribuzione concordata in fase di sottoscrizione dell’accordo. Questa, di norma, viene corrisposta dal datore dopo che la prestazione è stata eseguita al fine di poter calcolare correttamente eventuali ore aggiuntive di straordinari, giorni di ferie utilizzati, festività lavorative e altri elementi che possono incidere sulla retribuzione mensile totale. Il datore di lavoro è tenuto, per legge, a rispettare le scadenze previste per i pagamenti e, se non lo fa, si instaura una situazione per la quale il lavoratore vanta un credito nei suoi confronti. Il mancato pagamento può derivare da svariate motivazioni, quali negligenza, scarsità di risorse o mera furbizia dell’imprenditore, con il lavoratore che ha comunque diversi strumenti a sua disposizione per far valere le proprie ragioni. Più nello specifico il dipendente potrà muoversi con la conciliazione monocratica o con la diffida, fino ad arrivare, nei casi più estremi, ad un’azione giudiziaria in tribunale o alle dimissioni per giusta causa. A sostegno del lavoratore che non percepisce lo stipendio è stato anche creato dall’Inps un apposito Fondo di garanzia, cui si può ricorrere al verificarsi di determinate condizioni.
Gli strumenti a disposizione del lavoratore per il mancato stipendio
Prima di arrivare agli strumenti su cui il lavoratore che non percepisce lo stipendio può contare, è bene avere ben chiaro il concetto di crediti retributivi. Si tratta, nello specifico, del totale delle somme a titolo di retribuzione che il dipendente ha maturato in anni o mesi di lavoro e che non gli sono state ancora corrisposte dal datore. Per risolvere tale spiacevole situazione, il dipendente può scegliere di muoversi in diversi modi, alcuni più veloci, altri meno. Chi ha necessità di ottenere il prima possibile i propri crediti retributivi può, ad esempio, scegliere la strada della conciliazione monocratica o della diffida per crediti patrimoniali, mentre chi crede che sia meglio rivolgersi ad un avvocato e proporre un’azione giudiziaria, va incontro a dei tempi decisamente più lunghi. Inoltre, se uno o più stipendi non vengono pagati, il lavoratore può avviare un percorso a step che prevede, nella fase iniziale, la semplice richiesta di chiarimenti al proprio datore o responsabile. Qualora questo passaggio dovesse rivelarsi infruttuoso, potrà inviare una richiesta scritta di chiarimenti all’azienda tramite Ped, raccomandata a/r o consegnata a mano e firmata dal destinatario per ricevuta e presa visione. Se questo primo step non dovesse portare alla risoluzione della controversia, il lavoratore potrà rivolgersi ad un sindacato o ad un legale. Quest’ultimi avranno il compito di contattare a livello informale l’azienda e cercare di risolvere la situazione. Il terzo step, invece, è quello che vede l’applicazione dei suddetti strumenti che, di fatto, si attivano nel momento in cui le comunicazioni informali e le richieste di spiegazioni non hanno condotto al risultato sperato.
La conciliazione monocratica
Il primo strumento a disposizione del lavoratore che intende recuperare lo stipendio non corrisposto è la conciliazione monocratica. Si tratta, in sostanza, di un accordo che può essere raggiunto dalle parti, datore e lavoratore, per recuperare le somme che non sono state corrisposte. Se si decide di percorrere questa strada è necessario presentare una domanda di conciliazione all’Ispettorato territoriale del lavoro il quale, a sua volta, dovrà valutare la possibilità di avviare la procedura. Le parti verranno dunque convocate nel più breve tempo possibile, con datore e lavoratore che potranno comparire personalmente anche, se lo desiderano, con un’assistenza sindacale o professionale, oppure essere rappresentate da un delegato. Si sottolinea inoltre che la procedura conciliativa può svolgersi anche ricorrendo a strumenti di comunicazione da remoto che, tuttavia, devono rendano possibile l’identificazione delle parti o dei soggetti delegati e l’acquisizione della volontà espressa. Qualora al termine del dibattimento le parti riescano a raggiungere un accordo, il procedimento ispettivo verrà immediatamente estinto con il versamento dei mancati stipendi e dei contributi previdenziali e assicurativi riferiti alle somme concordate in relazione al periodo lavorativo riconosciuto dalle parti. Il verbale, in queste condizioni, diventa immediatamente esecutivo con decreto del giudice competente, su istanza della parte interessata. Se, invece, le parti non riescono a raggiungere un accordo, ne andranno valutati i motivi:
- se l’intesa manca per colpa del lavoratore, non vi è necessariamente l’attivazione dell’accertamento ispettivo, specie se non vi sono degli elementi utili ad un possibile riscontro dei fatti denunciati;
- se non si raggiunge un compromesso per colpa del datore di lavoro o di entrambe le parti, si avvierà sempre un accertamento ispettivo;
- se una o entrambe le parti convocate, così come i loro eventuali delegati, non si presentano, si attiva sempre l’accertamento ispettivo.
Entrando più nello specifico, l’accertamento ispettivo è un procedimento con cui si vuole verificare ed emanare dei provvedimenti sanzionatori per i reati in materia lavoro.
Diffida per crediti patrimoniali
Un altro strumento che consente di evitare un’azione giudiziaria è la diffida per crediti patrimoniali. Nel momento in cui l’Ispettorato del lavoro accerta la presenza di crediti retributivi, ha la possibilità di diffidare il datore a corrispondere le somme dovute direttamente al lavoratore. L’imprenditore, una volta ricevuta la diffida, ha 30 giorni dalla notifica dell’atto per promuovere un tentativo di conciliazione presso l’Ispettorato del lavoro. Le modalità procedurali, in questo caso, saranno le stesse di quelle in precedenza descritte per la conciliazione monocratica. Al verificarsi di tale situazione, la diffida resta congelata fino alla conclusione del provvedimento. Altra possibilità per il datore di lavoro è quella di promuovere, sempre entro 30 giorni dalla notifica, un ricorso al direttore dell’ufficio che ha adottato la diffida. In questo modo viene sospesa l’esecutività della diffida nel termine di 60 giorni dalla presentazione del ricorso. La diffida perde invece efficacia se le parti riescono, nei tempi previsti, a trovare un accordo, mentre diventa esecutiva se continua a mancare l’intesa, non viene neanche provata la conciliazione o il ricorso viene respinto. In quest’ultimo caso, il lavoratore per soddisfare i propri crediti retributivi potrà agire con un atto di precetto. Si sottolinea inoltre che la diffida non può essere considerata valida, per difetto del requisito della esigibilità del credito, in presenza di:
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- fallimento dell’azienda;
- presentazione di un accordo di ristrutturazione del debito nell’ambito di una procedura da sovraindebitamento;
- amministrazione giudiziaria a seguito di sequestro.
E ancora, qualora il lavoratore decidesse di avviare un’azione giudiziaria contro il datore e quest’ultimo venisse condannato, il primo avrà diritto a ricevere le somme non versate con l’aggiunta degli interessi legali e la rivalutazione monetaria.
L’insolvenza del datore e il Fondo di garanzia
In caso di mancato pagamento degli stipendi ci si trova spesso di fronte ad una situazione di insolvenza del datore di lavoro che ha portato ad una procedura fallimentare. Per agevolare i lavoratori che restano vittime di questa situazione, è stato istituito presso l’Inps il Fondo di garanzia con il quale potranno essere liquidati i crediti retributivi comprensivi di Tfr ai dipendenti. Il Fondo, come detto, opera principalmente nei casi di fallimento, ma viene esteso anche ad altri casi, quali:
- il concordato preventivo;
- la liquidazione coatta amministrativa;
- l’amministrazione straordinaria;
- la procedura di liquidazione del patrimonio.
In assenza di una di queste procedure, il lavoratore può tentare preventivamente l’esecuzione forzata. Non potrà farlo solo nei casi un cui:
- vengano superati i limiti dell’ordinaria diligenza;
- le mancate o insufficienti garanzie patrimoniali del datore siano state ritenute provate in relazione al caso concreto.
La domanda per l’esecuzione forzata deve essere presenta ricorrendo ai seguenti canali:
- i servizi telematici dell’Inps, dove sarà necessario accedere tramite Spid;
- i servizi telematici offerti dai patronati;
- il numero verde del contact center Inps che è 803 164 per chi chiama da fisso (gratuito) e 06 164 164 per chiama da cellulare (il costo della chiamata varia in base alla tariffa di ogni utente).
Il lavoratore potrà ottenere l’accesso al Fondo di garanzia se l’esecuzione forzata non si rivela efficace e, dunque, non faccia emergere delle circostanze che dimostrino l’esistenza di altri beni del datore di lavoro aggredibili con l’azione esecutiva.
Dimissioni per giusta causa
Chi non riceve lo stipendio per il proprio lavoro ha diritto, per la giurisprudenza di merito e per diverse pronunce della Cassazione, alle dimissioni per giusta causa senza l’obbligo di dover rispettare il periodo di preavviso previsto dal contratto. Si palesa infatti un grave inadempimento del datore di lavoro che non consente la prosecuzione del rapporto di lavoro. Al dipendente è chiesto solo di presentare le proprie dimissioni nel più breve tempo possibile in quanto, l’eventuale ritardo, potrebbe essere interpretato, in sede di controversia giudiziale, come un’accettazione tacita della condotta del datore di lavoro. Il rischio, in questo caso, è quello di compromettere la validità delle dimissioni per giusta causa. In merito alla procedure per la presentazione delle dimissioni, queste seguono l’iter classico previsto per quelle ordinarie.