Quello che i genitori devono sapere per curare i piedi piatti nei bambini

piedi piatti

Uso dei plantari ma anche una sana alimentazione e una regolare attività fisica. I piedi piatti nei più piccoli sono molto comuni: aldilà di casi gravi che vanno risolti con l’intervento chirurgico (da eseguire in età adulta), si tratta di una condizione che evolve positivamente con qualche accorgimento

 

Almeno il 90% dei bambini al di sotto dei 2 anni ha i piedi piatti, una condizione che è naturale ma che diviene frequentemente oggetto di richieste negli studi pediatrici e stati d’ansia da parte dei genitori. Si tratta di una caratteristica che, tuttavia, si può correggere con l’ausilio di alcuni strumenti.

Il dottor Fabrizio Arensi, responsabile dell’Unità di Chirurgia di Piede e Caviglia all’Istituto Clinico San Siro, assicura che “durante i primi passi, quasi tutti i bimbi presentano una conformazione del piede con una volta plantare molto ridotta e dovuta, nella maggior parte dei casi, sia al grasso sottocutaneo che permane dalla nascita sia ad altri fattori che rientrano nella deambulazione”.

Difatti, esistono vari stadi legati a questa condizione, in relazione alla:

  • Caduta del piede all’interno (detta pronazione);
  • Età;
  • Scarsa correggibilità attiva;
  • Presenza o meno di dolore (che può amplificare o meno il fastidio).

 

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Nella maggior parte dei casi, il piede piatto nel bambino è asintomatico, invece, nell’adolescente può essere doloroso. È importante intervenire e correggere “la pianta” prima del sopravvento dell’adolescenza.

Inoltre, l’appoggio a terra del piede alterato e la diversa distribuzione del peso sulla pianta, possono essere iniziale causa di dolore ai piedi e nel proseguo della crescita causa di sviluppo di fascite plantare ed alluce valgo.

Il professor Pier Francesco Costici, dell’Unità operativa di Ortopedia presso l’Ospedale Bambino Gesù, rileva altre cause alla base di questo problema, alcune individuabili e più facili da risolvere.

Possono essere:

  • Congenite (fusione tra le ossa del piede che prende il nome di sinostosi, sindromi malformative complesse, tendine di Achille corto);
  • Neuromuscolari (dovute a malattie del sistema nervoso e muscolare come le Paralisi Cerebrali Infantili, Miopatie, Spina Bifida);
  • Post traumatiche da movimento (frattura di calcagno, frattura di astragalo);
  • Infiammatorie (artrite idiopatica giovanile);
  • Idiopatiche (cause sconosciute).

 

Certamente gli interventi correttivi, una equilibrata e sana alimentazione, e adeguata attività fisica, possono accompagnare le fasi correttive e facilitare il futuro benessere del bambino.

Inoltre, anche se la causa del piede piatto idiopatico è sostanzialmente ignota, possono giocare un ruolo la familiarità, un iper-allentamento dei legamenti e una riduzione di tono dei muscoli che mantengono in posizione l’arco plantare.

 

Come curare i piedi piatti nei bambini

“Il piattismo dei piedi nei bambini non richiede, solitamente, grosse preoccupazioni almeno fino ai 6-7 anni d’età – osserva l’esperto Arensi –. Un piede che ha un appoggio piatto non ha grosse difficoltà né a correre, né a praticare altre attività sportive: l’unico campanello d’allarme si ha nel momento in cui il piede comincia a essere dolorante, portando alla necessità di consultare uno specialista.

Anche il progredire di un piattismo fino ai 9-10 anni richiede il parere di un esperto, poiché un piede pronato potrebbe andare incontro a disturbi dolorosi, funzionali e di prestazione sportiva.

La sindrome pronatoria è un’anomalia parafisiologica e biomeccanica che, nella maggior parte dei casi, tende a correggersi autonomamente, soprattutto nei momenti in cui il soggetto comincia a camminare e a fare sport.

Il piattismo di un piede è, quindi, un difetto del movimento articolare tra l’astragalo e il calcagno per cui c’è una lassità dei legamenti”.

Il trattamento del piede piatto ancora oggi è motivo di discussione tra correnti di pensiero diverse. Ma possiamo agire in maniera concreta. Ecco come.

  • Utilizzare dei plantari

Il piede piatto inizialmente può essere considerato come una deformità estetica, tuttavia se non si corregge spontaneamente o con l’ausilio di plantari (si possono acquistare degli ortesi), può provocare affaticamento e dolore, dovuti alla cattiva distribuzione dei carichi al suolo, agli squilibri muscolari e alla alterata biomeccanica articolare.

  • La chinesiterapia

Il trattamento non chirurgico comprende anche la chinesiterapia (ginnastica rieducativa), oggetto di dibattiti e opinioni contrastanti.

  • Camminare sulla sabbia

Può anche essere utile fornire un supporto al piede attraverso il plantare e cercare di rinforzarne la muscolatura attraverso esercizi specifici di camminata sulle punte e sui talloni, nonché camminando sulla sabbia in estate.

  • L’intervento chirurgico

La questione qui è più complessa. Il trattamento chirurgico, infatti, viene di solito indicato nei piedi piatti flessibili non fisiologici, con dolore o aggravamento progressivo, e in quelli rigidi che provocano sintomi.

La chirurgia si esegue solo nei casi in cui non si ha una evoluzione positiva entro gli 8-14 anni di età e quando è ancora presente una inclinazione verso l’interno (la pronazione) anormale in tutte le fasi del passo quindi nei casi a rischio di malattie degenerative in età adolescenziale o adulta.

Questi casi selezionati, a prognosi sfavorevole, costituiscono comunque non più del 2-5% di tutti i quadri clinici di piattismo osservabili in età pediatrica.

  • Intervento con viti correttive

Nel caso idiopatico (ignoto) in età evolutiva l’intervento chirurgico previsto è quello dell’artrorisi dello spazio compreso tra astragalo e calcagno, sottoastragalica, eseguito in età compresa tra gli 8 e i 14 anni.

Per artrorisi si intende un’operazione che limita i movimenti di un’articolazione senza provocare una perdita definitiva del movimento. Si esegue applicando viti correttive (chiamate endortesi) che possono essere di materiale metallico (in titanio o acciaio) oppure di materiale riassorbibile (in acido poli-L-lattico).

Le endortesi non riassorbibili in genere si rimuovono a fine crescita, quelle riassorbibili hanno il vantaggio di non dover essere rimosse ma comportano un maggior rischio di recidiva della malformazione.

L’intervento inizia con una piccola incisione chirurgica di circa 2 centimetri. I tempi chirurgici e l’anestesia sono molto brevi, circa 15 minuti a piede. Attraverso un filo guida, sotto controllo radioscopico si inserisce la vite nello spazio tra astragalo e calcagno.

I tempi di recupero sono rapidi. Non si applicano gessi. Nella prima settimana postoperatoria il paziente non deve appoggiare il peso sul piede ed inizia ad eseguire esercizi attivi di mobilizzazione del piede.

Dopo una settimana dall’intervento si inizia a far appoggiare il piede con l’aiuto di sostegni chiamati bastoni canadesi, che verranno abbandonati dopo circa 2 settimane.

Questa soluzione non esercita solo un’azione meccanica correggendo i rapporti tra astragalo e calcagno, ma svolge anche una funzione neuromotoria essendo impiantata in una zona del piede ricca di terminazioni nervose capaci di attivare i muscoli che si oppongono all’inclinazione del piede verso l’interno, detti muscoli supinatori.

Nel bambino in crescita, la ricostituzione dei rapporti anatomici tra le ossa del piede ottenuta con l’intervento chirurgico determina nel tempo una ristrutturazione ossea e un adattamento delle parti molli con stabilizzazione della correzione, anche una volta rimosse o riassorbite le viti.

È importante osservare l’usura delle scarpe

Rimandare la questione può determinare complicazioni, con il rischio di dover intervenire chirurgicamente in età adolescenziale. Per questo è importante la diagnosi.

Un trucchetto per i genitori consiste nell’osservare l’usura delle scarpe. Se troppo consumate, e in maniera uniforme, dovrebbe accendersi un campanello d’allarme.

La forma più comune tramite la quale si manifesta il problema è il piede piatto valgo idiopatico dell’infanzia, più frequente nei bambini e negli adolescenti in sovrappeso.

Con la crescita, intorno ai 6-7 anni, il bambino può manifestare affaticamento e dolore alle gambe durante la deambulazione e nello svolgimento dell’attività sportiva. Per diagnosticare un piede piatto nei bambini bisogna inizialmente sottoporsi a esami clinici. Dopodiché si procede a seconda dei seguenti casi:

  • Quando il piede è libero di muoversi, i bambini dovranno essere seguiti e monitorati fino all’età di 9-10 anni. Solo a quel punto si valuta se la pronazione del piede piatto è marcata con, magari, qualche fastidio durante la corsa o altre attività fisiche;
  • Nella fase di osservazione è necessario monitorare la situazione dei piedi interrogando il bambino su eventuali sintomi di dolore e, in caso positivo, cercare di capire con quale frequenza.
  • Se la diagnosi prevede un periodo di attesa prima di intervenire, da parte dei genitori è molto importante osservare il bambino mentre cammina, sia con le scarpe, sia a piedi nudi e valutare lo stato di usura delle calzature. In questo caso, si potrebbe prospettare di correggerlo per mezzo di plantari conformati, o tramite intervento chirurgico poco invasivo. Ciò, però, deve essere fatto previa radiografia, soprattutto perché, molte volte, il dolore dell’articolazione sottoastragalica può essere ricondotto a infinite altre cause.
  • Altri esami più specifici per casi più sospetti sono la TC o la RMN. Queste analisi sono importanti per escludere altre patologie che potrebbero essere oncologiche, infettive, infiammatorie.