Rosa, nero, bianco, indiano, gomasio… il sale è davvero tutto uguale?

La panoramica dei tipi differenti di sale che si trovano in commercio e i modi per evitare di esagerare col sodio per non mettere a rischio le nostre arterie. Sono questi i protagonisti dei miti alimentari di questa settimana

 

Sul sale ognuno di noi ha le sue convinzioni. Chi lo odia e gli attribusice ogni sorta di male, chi lo ama (e spesso ne abusa) e chi lo ignora (nel senso che lo considera tutto uguale). Vediamo di fare un po’ di chiarezza nella nostra puntata dei Miti Alimentari.

Soffro di ipertensione, ma comunque amo mangiare sapido perché proprio non riesco a farne a meno nei piatti…

FALSO Il sale da cucina è la fonte principale del sodio che è a sua volta, se in eccesso, causa l’aumento delle pressione circolatoria con danni a breve e lungo termine. Nel passato il sale, per la sua difficoltà di ottenimento, era talmente prezioso da diventare moneta di scambio e oggi come vestigia letterale, il termine “salario” rappresenta un ricordo di questo ruolo non alimentare che ricopriva. Come la storia insegna, le persone dei ceti più ricchi dimostravano la loro ricchezza usando spesso più sale del dovuto e quando il sale è diventato più semplice ed economico averlo anche i ceti meno ricchi hanno aggiunto sale nella dieta a emulare i ricchi senza la giusta misura. A questo aspetto, va aggiunto anche il ruolo del sale nella conservazione degli alimenti perché impedisce la crescita di alcuni microrganismi o perché ne evita l’ammuffimento. Questa serie di circostanze ha condotto ad avere troppo sale negli alimenti e di conseguenza sono aumentati i rischi cardiocircolatori o la semplice ritenzione idrica. Oggi conoscendo il rischio che comporta il suo abuso si tende a diminuirne il suo uso e infatti, i panificatori hanno ridotto il sale nella panificazione, le nuove tecnologie di conservazione hanno fatto accantonare la salatura. Eppure si può fare di più. C’è chi adduce come motivo per non ridurre il sale nei suoi piatti il fatto che non riesce ad abituare il proprio palato; ebbene è in errore. I dati riportano che una dieta iposodica, per quanto possa sembrare poco attraente nell’immediato, nel giro di 15-30 gg risetta il nostro gusto che si abitua e si adatta per cui la sensazione di minore sapidità scompare. In conclusione, si tratta di scambiare un mese di sacrifici sensoriali in cambio un futuro più roseo per le nostre arterie e il nostro sistema circolatorio; direi un buon affare.

Ho eliminato gran parte del sale dai miei piatti, addirittura cuocio la pasta in acqua dolce, ma non vedo troppi miglioramenti…

VERO Un passo importante che dipende solo da noi è quello di decidere di salare meno le insalate, le carni, le salse, etc. ma non dobbiamo dimenticare che il sale è un ingrediente “che ha sale in zucca” per cui si nasconde o meglio ancora si mimetizza in alimenti del tutto insospettabili. Ad esempio biscotti dolci come i frollini possono contenere del sale, molti pensano che solo gli insaccati o il pesce siano salati, ma gli stessi cereali della prima colazione o la tanto di moda salsa di soia sono ricchi di sale. Se  pensiamo a un semplice tramezzino che contiene del sale sia nel pane che nelle salse e nella carne oppure nel tonno ecco che possiamo introdurre fino a 1,5 g di sale in pochi minuti. La quantità giornaliera concessaci dall’OMS è di circa 5 g di sale da cucina per gli adulti, pari 2 g di solo sodio, ed è facile superare questo limite. Alcuni snack introducono oltre 0,3 grammi di sale, ma anche delle bevande gasate in modo del tutto inaspettato contengono del sodio. Occorre ricordare che il sodio fa parte anche di alcuni additivi lo sono come i nitriti e i nitrati di sodio oppure è parte del glutammato sodico che come tanti sanno arricchisce in sapidità i dadi e i vari concentrati che ci fanno guadagnare tempo per la preparazione di alcuni piatti, ma ci regalano del sale. Se decidete per la vostra salute e per ridurre lo stress del sistema circolatorio, di diminuire il sodio in tavola, non basta salare di meno ma la battaglia contro l’ipertensione è da condurre su vari campi e verso nemici nascosti e solo in questo modo i benefici per la nostra salute saranno evidenti e solidi.

Voglio usare delle alternative al sale da cucina, credo che ce siano molte…

VERO Un primo passo per ridurre il sale che mangiamo è sostituirlo con delle spezie, con il limone o anche dell’aceto di mele che ad esempio forniscono una buona sapidità al piatto senza nascondere del sodio e farci poi del male. Possiamo scegliere, in funzione del gusto personale o del piatto in preparazione, del timo, della menta o anche del semplice basilico, ma funzionano altrettanto bene anche il prezzemolo o l’origano seccato. L’importante è fornire al nostro palato una seria alternativa al sale, dove talvolta nel passato, e raramente oggi, salare era un modo per nascondere dei difetti. Il sale è stato usato come fosse una cortina di fumogena che serviva a impedire al nostro gusto di apprezzare il reale valore sensoriale. Spesso è anche un modo per indurre nel consumatore un inutile consumo di bibite e, ancora peggio, di bevande zuccherate. Le spezie hanno anche un vantaggio rispetto al semplice sale,  migliorare un piatto aggiungendo freschezza, sapori mediterranei o esaltare il gusto di un pesce povero sensorialmente. In pratica sono come degli “sparring partners” che allenano la nostra lingua a essere in piena forma per apprezzare un filetto o un piatto non troppo ricco di sapori.

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Tutti i sali sono uguali, rosa, nero, bianco, non vedo differenza e l’uno vale l’altro

FALSO La quantità eccessiva di sale crea dei problemi che possono in parte risolversi con la riduzione, ma anche la qualità del sale che scegliamo può dare dei risultati sul nostro stato di benessere. Il sale bianco che è presente sulla nostra tavola viene più volte raffinato per renderlo candido ma questo porta alla perdita di molti minerali arricchendo ulteriormente la quota di sodio che è proprio il nostro nemico più importante. Allora usiamo del sale integrale che è meno raffinato, forse è meno bello da vedersi, ma è più ricco di altri sali minerali che riducono l’apporto del sodio. Il sale nero o delle Hawaii non è altro sale marino essiccato in presenza di carbone vegetale, ciò le rende nero ma non differisce certo per il sodio presente. Nel sale nero indiano non c’è carbone vegetale aggiunto, ma ci sono sostanze di origine vulcanica che danno un colore scuro e tanti altri oligoelementi. Lo stesso sale rosa contiene meno sodio, proviene da aree incontaminate, e contiene molti microelementi fra cui il ferro che è colpevole del colore rosato. Rispetto al sale normale non è raffinato in maniera spinta per cui il livello di sodio è più basso perché è in compagnia di tanti altri elementi. Da un certo punto di vista ricorda il sale integrale ma possiede caratteristiche diverse e anche elementi differenti.

Molti amici mi parlano di gomasio, tutti in modo positivo, ma è solo un sale giapponese nulla di diverso dai nostri sali da cucina

FALSO In realtà il gomasio è un tipico condimento di origine giapponese che contiene del sale da cucina a cui sono aggiunti dei semi di sesamo tostati. Il tutto è ben pestato e omogenizzato, e si ottiene un prodotto sapido a basso contenuto di sodio. In poche parole è “l’anello mancante tra sale da cucina e spezie”, ovvero è un ibrido dove il sodio è minore in quantità perché sostituito in parte dal sesamo che ci dona la sapidità che vogliamo avere nei piatti. Per una parte di sale si usano da sette fino a venti parti di sesamo tritato e poi tostato, si pesta il tutto in mortaio fino alla grana che preferiamo e si conserva bene anche per un paio di settimane. Il sale da scegliere a questo punto sarebbe ben fosse integrale così da ridurre ancora di più il sodio e da arricchire il gomasio di altri elementi utili per la nostra salute. In giapponese, per un raro fenomeno di convergenza semantica delle lingue, il termine gomasio significa “capelli color sale e pepe”.