Che cos’è la nutraceutica

NUTRACEUTICA

La nutraceutica studia i componenti attivi degli alimenti con effetti positivi per la salute. Si occupa di prodotti nutraceutici, che appartengono alla categoria degli integratori alimentari

A differenza degli integratori, i nutraceutici si differenziano per il fatto che non hanno funzione preventiva o curativa, ma solo di “ottimizzazione” delle funzioni fisiologiche. A livello europeo, la procedura di approvazione dei nutraceutici è abbastanza complessa: prevede infatti che le richieste da parte delle aziende produttrici siano raccolte dalle istituzioni nazionali responsabili nei diversi paesi membri (nel caso dell’Italia, il ministero della Salute) e inviate alla Commissione europea. Le decisioni della Commissione europea, a loro volta, si basano sulle opinioni espresse dall’Efsa, autorità in materia di sicurezza alimentare, che organizza periodicamente riunioni con panel di esperti che stilano opinioni scritte.

Già dal 20 dicembre 2006, infatti, il regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle indicazioni nutrizionali dei prodotti, impone la presentazione di un adeguato supporto scientifico in materia di salute degli alimenti. Ciò vale, ovviamente, anche per i nutraceutici.

Cosa sono i nutraceutici: una definizione

Il termine nutraceutico è stato coniato nel 1989 da Stephen De Felice e deriva dalla combinazione dei due termini nutrienti e farmaceutico. L’etimologia del termine indica quindi la potenziale capacità del nutraceutico in ambito preventivo/curativo. Attualmente, il termine nutraceutico viene spesso utilizzato in maniera impropria per indicare integratori, alimenti funzionali, probiotici e prodotti botanici. Dall’89 le definizioni sono state molte, ma quelle accettate dalle Società Scientifiche sono primariamente la definizione di Zeisel del 1999 e quella del Webster Online Dictionary (2014). La prima definisce i nutraceutici come supplementi dietetici, che rilasciano elevate concentrazioni di sostanze biologicamente attive di natura alimentare con effetti benefici sulla salute. La seconda, invece, definisce i nutraceutici come supplementi dietetici che arrecano beneficio alla salute in addizione al regime dietetico standard.

Al di là delle categorizzazioni, vi è un sostanziale accordo nel collocare i nutraceutici “oltre la dieta e prima dei farmaci: ciò sta ad indicare la loro valenza nella prevenzione delle malattie.

Condizioni cliniche e trattamento preventivo con nutraceutici

Sono numerose le condizioni cliniche in cui i nutraceutici possono trovare una specifica collocazione. Tra queste, possono essere elencate:

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  • patologie metaboliche, come eccesso ponderale, iperglicemia e ipercolesterolemia
  • patologie cardiovascolari, come ipertensione e scompenso cardiaco
  • patologie degenerative, come osteoporosi, degenerazione maculare senile e degenerazione osteo-articolare
  • patologie oncologiche, come carcinoma della mammella, carcinoma della prostata e carcinoma del colon
  • disturbi funzionali, quali dispepsia e disturbi dell’umore

In ogni caso, è bene precisare che la scelta del nutraceutico dovrebbe essere dettata da comprovati risultati scientifici. Ad oggi, nella maggior parte dei casi, gli studi hanno indagato obiettivi intermedi (alleviamento di sintomi, riduzione dei valori del colesterolo, miglior controllo glicemico o dei valori pressori).

Risultati degni di nota: le dislipidemie

I risultati più convincenti nell’ambito della nutraceutica si sono ottenuti rispetto all’effetto favorevole nell’ambito delle dislipidemie. A tal proposito, le linee guida redatte congiuntamente dalla Società Europea di Cardiologia e dalla Società Europea di Aterosclerosi suggeriscono l’utilizzo di nutraceutici per raggiungere il target terapeutico. Le classi di nutrienti maggiormente indicate per la riduzione del colesterolo sarebbero berberina, monacolina K e policosanoli. In particolare, la combinazione dei tre principi determina un effetto sinergico sulla riduzione del colesterolo: studi controllati hanno dimostrato che trattamenti basati sulla somministrazione dei 3 nutrienti riducono i livelli di LDL di circa il 22%. Sulla base di ciò, sembra ragionevole porre indicazione all’utilizzo di nutraceutici in soggetti con iperlipemia di grado lieve e in assenza di altre comorbilità condizionanti il rischio cardiovascolare. Tra le molecole annoverate nella categoria dei nutraceutici e documentata azione ipolipemizzante si indicano:

  • riso rosso fermentato
  • berberina
  • steroli vegetali
  • fibre animali: si ritiene che la loro azione ipocolesterolemizzante sia primariamente imputabile alla loro capacità di inibire l’assorbimento intestinale del colesterolo. Diverse meta-analisi hanno dimostrato che un consumo di fibra di 3 g al giorno si accompagna ad una riduzione dei livelli di LDL del 5-6%.
  • policosanoli
  • proteine di soia
  • polifenoli: si tratta di una famiglia molto ampia di sostanze la cui caratteristica peculiare è la presenza di molteplici gruppi fenolici. La loro azione principale sembrerebbe essere quella antiossidante, nonché un effetto di inibizione dell’HMG-CoA reduttasi che sembrerebbe giustificarne le capacità ipocolesterolemizzanti.
  • probiotici
  • guggul
  • aglio

In virtù di tali funzioni, è possibile quindi indicare i nutraceutici per la prevenzione cardiovascolare.

Il test del Salvagente su 15 integratori a base di riso rosso fermentato

Il riso rosso fermentato contiene monacolina K una statina “naturale” capace di controllare il colesterolo cattivo nel sangue. Tuttavia bisogna sempre valuta il “vettore”, la compressa che lo contiene. Come ha svelato il test del Salvagente su 15 integratori a base di riso rosso fermentato (qui tutti i materiali) infatti non sempre questi prodotti superano le prove di disaggregazione, che per quanto non siano obbligatorie per gli integratori, sono assolutamente indispensabili visto anche il grande utilizzo e business che ruota attorno a questi integratori.

Ipertensione, dieta e nutraceutici

Come accennato, altra condizione clinica in cui i nutraceutici trovano indicazione è l’ipertensione. Diversi studi controllati, negli ultimi anni, hanno documentato l’azione antipertensiva di numerosi nutrienti, tra cui i flavonoidi del cacao, il licopene, il succo di barbabietola da zucchero, il tè verde e gli acidi grassi polinsaturi. Tali nutrienti svolgono la loro azione antipertensiva attraverso un effetto antiossidante, essendo in grado di diminuire la pressione sistolica e diastolica di circa 4-5 mmHg e 2-3 mmHg. Nonostante non vi siano studi controllati sul ruolo dei nutraceutici nel controllo dell’ipertensione, possono essere certamente utilizzati come agenti coadiuvanti delle norme dietetico-comportamentali nella pre-ipertensione. Vari sono i meccanismi tramite cui i nutraceutici possono ridurre i valori pressori, alcuni dei quali assimilabili a quelli di farmaci antipertensivi. Ad esempio, pare che alcuni peptidi di origine ittica abbiano un’azione Ace inibitoria (con conseguente effettivo ipotensivo). Una lista (non esaustiva) di cui sono stati documentati effetti nella riduzione dei livelli pressori è la seguente:

  • succo di barbabietola
  • acidi grassi polinsaturi ad alti dosaggi
  • isoflavoni
  • lactotripeptidi
  • peptidi del pesce
  • L-arginina
  • potassio
  • magnesio chelato
  • tè verde, tè nero e karkadè
  • succo di melograno
  • semi si sesamo

Diabete e nutraceutici

Da un punto di vista patogenetico, il diabete mellito è caratterizzato da una ridotta sensibilità dei recettori insulinici all’ormone. Esistono dimostrazioni del fatto che alcuni nutraceutici possiedono un’azione protettiva nei confronti delle complicanze del diabete. Ad esempio, per l’acido lipoico è stata documentata un’azione di prevenzione della polineuropatia diabetica. Chiaramente, anche in questo caso, l’uso dei nutraceutici va pensato accanto a complementari modifiche nello stile di vita. Sulla base dei risultati di alcuni studi, l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare ha approvato dei “claim” per la riduzione della glicemia post-prandiale da parte dei beta-glucani, dell’idrossipropilmetilcellulosa e delle pectine.

Altri nutraceutici di cui è stato valutato l’effetto ipoglicemizzante è la berberina: gli studi, effettuati su pazienti con diabete di tipo 2, hanno dimostrato che una dose di berberina compresa tra 0.5/1.5 g al giorno per 8-12 settimane riduce la glicemia a digiuno e postprandiale, sia quando è utilizzata da sola che in combinazione con altri ipoglicemizzanti orali.

Nutraceutici e ginecologia

Molte sono le condizioni ginecologiche per cui è stato proposto l’impiego di nutraceutici; due tra le più importanti sono la sindrome dell’ovaio policistico e la sintomatologia vasomotoria in post-menopausa.

La sindrome dell’ovaio policistico (Pcos) ha una prevalenza di circa il 20% nella popolazione femminile, ed è caratterizzata da iperandrogenismo, irregolarità mestruali e morfologia ecografica ovarica policistica. Nell’eziopatogenesi della Pcos gioca un ruolo cruciale l’insulino-resistenza, motivo per il quale un possibile approccio nutraceutico è rappresentato dagli inositoli. Si tratta di piccoli polioli carbociclici con proprietà insulino-sensibilizzanti; gli inositoli introdotti con il cibo vengono prima defosforilati e trasformati in myo-inositolo, per poi essere convertiti in d-chiro-inositolo (Dci).

Ciò che è stato dimostrato è che un trattamento di 6-8 settimane con somministrazione di 1200 mg al giorno di Dci riduceva significativamente l’insulinemia, con un dimezzamento della concentrazione di testosterone libero. Altri studi condotti in seguito, anche in Italia, hanno dimostrato l’efficacia del Dci e del suo precursore (Myo) nel trattamento della Pcos.

In quanto alla post-menopausa, invece, la terapia sostitutiva ormonale, con estrogeni e progestinici, è in grado di contrastare gli effetti del deficit estrogenico ma, come suggeriscono alcuni studi, può accompagnarsi ad un aumento del rischio di tumore della mammella e di eventi trombotici. Queste considerazioni hanno condotto all’utilizzo di una serie di trattamenti nutraceutici per la terapia dei sintomi e degli effetti a lungo termine della menopausa. Fra questi prodotti, quelli maggiormente studiati in letteratura sono i fitoestrogeni e gli estratti della Cimicifuga Racemosa. Tra i fitoestrogeni si annoverano principalmente tre classi: isoflavoni, cumestani e lignani. Benché numerosi studi supportino l’efficacia degli isoflavoni di soia nel trattamento della sintomatologia vasomotoria della menopausa, una importante meta-analisi del 2013 confermava l’efficacia di questi composti solo per gli studi in cui veniva impiegata la genisteina a dosi comprese fra i 30 e i 60 mg/die. Del tutto recentemente, infine, si è osservato come l’associazione di genisteina con estratto secco di Angelica Sinensis e di Morus Alba con aggiunta di magnesio e di un particolare probiotico, sia in grado non solo di ridurre la sintomatologia climaterica ma anche di migliorare il profilo di rischio cardiovascolare.

Interessante è anche, come detto, l’impiego della Cimicifuga Racemosa. Si tratta di una pianta appartenente al genere delle ranuncolacee i cui due più comuni estratti sono l’estratto isopropanolico (iCR) e l’estratto etanolico (BNO). Una recente meta-analisi ha evidenziato che, allorché vengono presi in considerazione solo gli studi effettuati utilizzando l’estratto iCR, la Cimicifuga Racemosa risulta in grado di ridurre l’entità della sintomatologia vasomotoria in donne in postmenopausa. Il meccanismo d’azione è probabilmente riferibile all’interferenza con i sistemi neurotrasmettitoriali implicati nella genesi delle vampate di calore. Infatti, l’estratto risulta privo di attività estrogenica. L’estratto iCR soddisfa inoltre i requisiti normativi per i trattamenti a lungo termine, dal momento che è sicuro sui tessuti estrogeno-sensibili quali mammella ed endometrio uterino, oltre ad essere risultato privo di epatotossicità. L’European Medicines Agency (EMA) suggerisce una supplementazione quotidiana con 40 mg di iCR suddiviso in 1 o 2 dosi.

Nutraceutici e stimolazione intellettiva

Il potenziamento farmacologico delle funzioni cognitive (pharmacological cognitive enhancement, Pce) è una pratica assai comune: come documentato nel Global Drug Survey del 2016, l’utilizzo di sostanze volte a tale scopo è assai diffuso e in aumento progressivo nel tempo, con prevalenze vicine al 50% in Canada e USA per quanto riguarda l’utilizzo di cannabis come Pce, e, negli USA dal 5% al 35% per ogni uso non medico dei Pce. In considerazione di ciò, molto è stato l’interesse mostrato per valutare l’eventuale impatto di integratori e nutraceutici sulle performance intellettive.

Un’analisi di ventuno studi di intervento ha evidenziato come la supplementazione con antiossidanti (flavonoidi) può associarsi a benefici in termini di attenzione, memoria operativa e velocità dei processi psicomotori in una popolazione generale. Tuttavia, tali evidenze non sono ancora conclusive e altri studi sono necessari a tale riguardo. Si può perciò ritenere che, ad oggi, non vi siano dimostrazioni convincenti circa l’utilità dell’utilizzo di nutraceutici come stimolanti intellettuali in soggetti normali. È pertanto verosimile che i benefici soggettivi riportati dai soggetti intervistati siano in gran parte attribuibili ad un effetto placebo.

Nutraceutici e prevenzione cerebrovascolare

Rispetto alla degenerazione cerebrovascolare che interessa, ad esempio, patologie come il morbo di Alzheimer, studi epidemiologici ed evidenze sperimentali nell’animale hanno suggerito la presenza di effetti protettivi sulle funzioni cognitive da parte degli acidi grassi omega-3, in virtù della loro azione membrano protettiva e sul “signalling” cellulare. Gli studi sulle vitamine hanno fornito risultati controversi. In una meta-analisi eseguita su pazienti con demenza di Alzheimer non è stato osservato alcun effetto positivo con la supplementazione con vitamine del gruppo B, mentre i pazienti con deficit cognitivo moderato presentavano un modesto beneficio sulle funzioni mnemoniche ma non su quelle cognitive. Il mancato effetto protettivo di una supplementazione di vitamina 9 è stato confermato in una popolazione di anziani senza ancora deficit cognitivi. In particolare, in tali soggetti le funzioni mnemoniche non hanno presentato miglioramenti significativi rispetto ai controlli. Studi sui livelli plasmatici di Vitamina E sembrerebbero confermare effetti protettivi sulle performance cognitive in virtù dei suoi effetti antiossidanti e antinfiammatori.