Chi aveva detto sì ai lavori, certo che fossero interamente pagati dal superbonus, potrebbe essere tentato di tornare sui suoi passi, senza la convenienza originaria. Come far ridiscutere l’assemblea e non essere costretti a pagare migliaia di euro
Riuscire a ristrutturare casa a costo zero, come promesso dal Superbonus 110% è oramai un miraggio. Tra i primi provvedimenti approvati dall’esecutivo di Giorgia Meloni c’è, infatti, il decreto Aiuti quater che è intervenuto – modificandola – sull’agevolazione introdotta nel 2020 che fissava al 110% l’aliquota di detrazione delle spese sostenute per specifici interventi in ambito di efficienza energetica, di interventi antisismici, di installazione di impianti fotovoltaici o delle infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici negli edifici. Senza contare le numerose circolari esplicative pubblicate dall’Agenzia delle Entrate e non solo, il Superbonus 110% può vantare – dal giorno della sua entrata in vigore – almeno 21 provvedimenti di conversione che hanno corretto e modificato la misura fino a snaturarla del tutto. E i nuovi vincoli introdotti con l’ultimo decreto legge (che sarà convertito in legge entro il 19 gennaio con un iter parlamentare che si annuncia tutt’altro che in discesa) non sono da meno, nonostante le buone intenzioni espresse dal primo ministro. Un solo articolo, il 9, per modificare diversi aspetti del bonus e della cessione del credito: nessuno, tuttavia, teso a rendere il beneficio più accessibile alle fasce economiche più deboli che fino ad oggi hanno potuto beneficiare pochissimo del Superbonus.
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Chi inizierà i lavori nel corso del 2023, avrà diritto a un’agevolazione del 90%: una riduzione dell’aliquota che comporta per i lavori in condominio differenze di spesa di decine di migliaia di euro e mette in forse addirittura l’inizio delle opere, per gli edifici dove i condomini non sarebbero in grado di far fronte alle spese non preventivabili prima che il decreto Aiuti quater cambiasse i termini del deposito delle domande.
Le novità avranno senza dubbio un impatto importante sui condomini, soprattutto su quelli che non hanno fatto in tempo a presentare la Cilas entro i tempi stabiliti: questi potrebbero trovarsi, infatti, costretti a pagare i lavori più di quanto avevano preventivato venendo a mancare l’agevolazione al 110%. Che succede in questi casi? Ne abbiamo parlato con Cristian Angeli, ingegnere esperto di detrazioni fiscali applicate all’edilizia.
Ingegnere, in generale, il Superbonus è stato solo un costo per lo Stato?
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Assolutamente no. Tramite il Superbonus è stato possibile eseguire lavori di ristrutturazione di un numero enorme di edifici, che sono stati migliorati sia dal punto di vista energetico e sia dal punto di vista antisismico. Quest’ultimo aspetto, ancor più del primo, è importante perché si traduce in maggiore sicurezza per la vita e l’incolumità delle persone in caso di terremoti.
Confermo che, secondo alcuni, il Superbonus ha appiattito il concetto di “costo di costruzione” e, di conseguenza, ha rappresentato uno dei più grandi sperperi di denaro pubblico della storia italiana. In realtà esiste un recente studio dell’ANCE che dimostra come, per ogni miliardo speso in Superbonus, il costo effettivo che rimane a carico del bilancio dello Stato è pari al 530mln, poiché i restanti 470 rientrano all’erario come nuove tasse, IVA e contributi vari. Più nello specifico, sempre secondo lo studio ANCE, a fine giugno 2022, su 35,2mld di lavori già avviati si sarebbero generati 38,7mld di detrazioni fiscali (costo), di cui si è stimato che 18,2 rientreranno nelle casse dello Stato.
Ma c’è anche un altro merito che va riconosciuto al Superbonus. Infatti, grazie all’eco mediatico che si è portato dietro, esso ha aperto gli occhi a molti italiani sull’esistenza degli incentivi fiscali che, in forma ordinaria, esistevano ormai da un decennio ma che erano pressoché sconosciuti. Ora non esiste più un intervento edilizio che non li prenda in considerazione, grazie anche al meccanismo della cessione dei crediti.
Che cosa ha determinato ad un tratto il blocco della cessione dei crediti?
Inizialmente lo “scambio”, ovvero la cessione dei crediti fiscali era libero e illimitato.
Ciò ha consentito ad alcune organizzazioni malavitose di mettere in piedi un sistema truffaldino che, a fronte di lavori non fatti, consentiva di maturare crediti fiscali inesistenti o non spettanti.
Lo Stato, resosene conto, è immediatamente corso ai ripari pensando bene di cambiare le regole del gioco, rendendo cioè le modalità di cessione dei crediti molto più restrittive.
Ma non lo ha fatto in una volta sola, bensì mediante numerosi interventi correttivi (il cosiddetto decreto antifrodi in primis) che, oltre a complicare le cose a discapito dei cittadini e degli operatori onesti (la maggior parte), hanno creato una confusione normativa senza precedenti.
A ciò si sono aggiunte alcune recenti sentenze della Corte di Cassazione che hanno confermato la possibilità di sequestro preventivo dei crediti fiscali derivanti da operazioni illecite, anche se acquistati da istituti bancari in totale buona fede. L’ultima di queste sentenze è la n.44647 del 23 novembre 2022, che ha condannato Poste Italiane spa, contribuendo probabilmente alla chiusura della relativa piattaforma di cessione.
Cosa cambia con i crediti spalmati per 10 anni e non più a 4? Quali sono i vantaggi e gli svantaggi?
Tra le motivazioni addotte dalle banche relativamente alla chiusura dei canali di cessione dei crediti vi è l’esaurimento della loro capienza fiscale. In altre parole la maggioranza degli istituti, se acquistassero altri crediti, non riuscirebbero a “spalmarli” nell’orizzonte di 4/5 anni previsto inizialmente dal Decreto Rilancio.
Proprio per questo motivo, è stato introdotto un nuovo comma nel decreto prevede “Per gli interventi di cui all’articolo 119 del decreto-legge n. 34 del 2020, le somme corrispondenti alla cessione del credito… possono essere ripartite in quote annuali, di pari importo, fino a dieci anni”.
In questo modo, diluendo la detrazione fiscale su più anni (non più 4 ma 10), gli istituti di credito dovrebbero riacquisire parte della capienza che era andata in esaurimento e quindi dovrebbero riuscire a riaprire le piattaforme di cessione.
Il rovescio della medaglia è però legato al fatto che l’orizzonte temporale maggiore di recupero delle somme riduce la convenienza delle operazioni di cessione, determinando prezzi di acquisto più bassi.
I condomìni che hanno deliberato i lavori ma non sono riusciti a presentare la Cila entro il 25 novembre a cosa vanno incontro?
L’articolo 119, comma 13-ter, del decreto-legge n. 34 del 2020, modificato dall’art. 9 del Decreto Legge n. 176/2022 (Decreto Aiuti quater), ha stabilito una rimodulazione dell’incentivo fiscale connesso al Superbonus. In particolare il testo recita “Le disposizioni di cui al comma 1, lettera a), numero 1), non si applicano: a) agli interventi per i quali, alla data del 25 novembre 2022, risulti effettuata, ai sensi dell’articolo 119, comma 13-ter, del citato decreto-legge n. 34 del 2020, la comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) e, in caso di interventi su edifici condominiali, all’ulteriore condizione che la delibera assembleare che abbia approvato l’esecuzione dei lavori risulti adottata in data antecedente al 25 novembre 2022“.
È evidente quindi che per i condomìni che alla data del 25 novembre non hanno presentato la CILAS, sfuma la possibilità di beneficiare del 110%, e passano automaticamente alla detrazione del 90% per le spese sostenute nel 2023.
Che diritti hanno i condòmini che pur avendo votato i lavori si trovano in condizione di non volerli più eseguire visto la riduzione delle aliquote?
Tutto dipende da come è stata scritta la delibera assembleare. È evidente che se si tratta di una delibera “sintetica”, ovvero che non riporta riferimenti espliciti alla percentuale di detrazione fiscale (110 o 90%), parlando magari genericamente di accesso al Superbonus, i condòmini che cambiano idea, se in minoranza, hanno pochi strumenti per far valere le loro ragioni.
Possono però richiedere la convocazione di una nuova assemblea e rimettere ai voti la decisione di effettuare, oppure no, i lavori con la nuova percentuale di detrazione.
Diverso il caso in cui la delibera è completa di tutti gli elementi che servono per identificare il lavoro, e quindi l’importo di spesa e le quote di ripartizione in funzione dei millesimi.
In tal caso, entro 30 giorni dalla data della delibera, potranno richiederne l’annullamento.
Se invece sono trascorsi più di 30 giorni le cose si complicano, poiché non potranno essere più invocate le tutele previste dall’art. 1137 CC (azione di annullamento), bensì occorrerà valutare se vi siano o meno i presupposti per contestarne la nullità, ai sensi dell’art. 1418 CC.
Quali devono essere i contenuti minimi di una delibera assembleare che autorizza i lavori di Superbonus?
Non è esplicitato in nessun documento di prassi fiscale quali siano i contenuti minimi di un verbale condominiale con cui si autorizza l’accesso al Superbonus.
Ciò che è importante, secondo l’Agenzia delle Entrate, è che i lavori “siano validamente deliberati”, come indicato nell’interpello 23/E/2022 che recita “Ai fini dell’applicazione del Superbonus è, infatti, necessario che i lavori astrattamente rientranti nel perimetro dell’agevolazione siano validamente deliberati dall’assemblea condominiale”.