Rabbia: una malattia che non riguarda solo i cani

RABBIA

La rabbia è una malattia che colpisce il sistema nervoso dei mammiferi, cani in primis, è causata da un virus e, se non tempestivamente trattata, può avere esito letale. In quanto zoonosi, la malattia può essere trasmessa dall’animale all’uomo

Tra i mammiferi più colpiti dalla rabbia si annoverano volpi, tassi, erbivori selvatici, cani, gatti, bovini ed equini. Senza dimenticare che, in quanto zoonosi, la malattia può essere trasmessa dall’animale all’uomo.

La rabbia, quindi, colpisce praticamente tutti i vertebrati omeotermi (“a sangue caldo“), anche se generalmente sono gli animali con un apparato dentario ben sviluppato (cani, volpi) ad essere più a rischio, dal momento che la malattia si trasmette principalmente attraverso il morso.

In questa circostanza (in caso di contatto) è necessario intervenire il più rapidamente possibile al fine di evitare il contagio e, quindi, l’insorgenza della malattia. Non esiste, infatti, una cura per la rabbia e quando compaiono i sintomi, il soggetto è destinato a perire, in quanto i danni al sistema nervoso sono irreversibili.

Eziologia della rabbia 

Il virus che provoca la rabbia è un virus a RNA, che fa parte dell’ordine dei Mononegavirales; appartiene alla famiglia dei Rhabdoviridae e al genere Lyssavirus. Sono noti, attualmente, 7 genotipi e 4 sierotipi del genere Lyssavirus. Nonostante la sua aggressività, il virus responsabile della rabbia resiste poco al di fuori dall’ospite. Ci sono diversi disinfettanti che possono inattivarlo e che, se applicati sulle ferite come primo intervento dopo un morso di un animale sospetto, possono ridurre il rischio di contagio.

Come si trasmette la rabbia: il morso resta la prima fonte di contagio

Come accennato, la trasmissione del virus avviene principalmente attraverso il morso dell’animale infetto a quello sano, in quanto il patogeno si localizza nelle ghiandole salivari.

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Altre modalità di trasmissione della malattia, sebbene più rare, possono essere rappresentate dal contagio mediante aerosol (possibile in ambienti chiusi), o attraverso la via orale (in questo caso sono necessarie delle microlesioni nella bocca in quanto il virus, se giunge nello stomaco, viene inattivato dal pH acido).

Potenzialmente il virus può colpire tutti gli animali a sangue caldo (mammiferi e uccelli), ma, a seconda della specie animale coinvolta, vengono distinti due diversi cicli epidemiologici della rabbia: ciclo urbano e ciclo silvestre.

  • Il ciclo urbano si identifica tra gli animali domestici (quali gatto, ma in particolar modo il cane) e trova nel fenomeno del randagismo la principale fonte di conservazione e trasmissione del virus;
  • Il ciclo silvestre, invece, vede coinvolte nella trasmissione del virus diverse specie animali, a seconda dell’area geografica interessata: in Europa è interessata principalmente la volpe (seguono roditori e pipistrelli), che mantiene attivo il ciclo della rabbia silvestre perché trasmette il virus prima che compaiano i sintomi. La malattia ha, infatti, un lungo periodo d’incubazione.

Generalmente, il punto di penetrazione del virus, cioè il punto in cui si viene morsi, è un arto, o comunque una zona ricca di muscoli dove c’è, per breve tempo, un’iniziale replicazione del patogeno.

In seguito il virus della rabbia migra attraverso i neuroni per raggiungere il midollo spinale. Da qui, dopo essersi ulteriormente replicato, raggiunge l’encefalo. Questa fase dell’infezione è definita migrazione centripeta del virus, perché dalla periferia (punto di penetrazione), giunge a livello del sistema nervoso centrale (cervello). A questo punto inizia la cosiddetta migrazione centrifuga: il virus della rabbia, che si è localizzato nell’encefalo, tramite il nervo che termina sulle ghiandole salivari, le raggiunge, replicandosi massivamente. Giunti a questa fase, l’animale, anche se non mostra sintomi evidenti, può già eliminare il virus della rabbia con la saliva. Per concludere, il virus si diffonde poi a tutto il sistema nervoso centrale, determinando fenomeni paralitici che porteranno a morte per asfissia, conseguente a paralisi respiratoria.

Sintomi della rabbia

Un animale affetto da rabbia presenta, in primo luogo, un evidente cambiamento del comportamento che può manifestarsi con:

difficoltà nella deambulazione;

paralisi progressiva sino alla morte;

-perdita della naturale diffidenza nei confronti dell’uomo negli animali selvatici;

-manifestazione di fenomeni di aggressività in animali di solito mansueti.

In considerazione della differente sintomatologia ascritta a periodi diversi della malattia, si suole distinguere alcune fasi.

Fase di incubazione

La rabbia presenta sempre una prima fase d’incubazione, con periodo assai variabile: in media dalle 3 alle 6 settimane nell’uomo, dalle 2 alle 8 settimane nel cane, mentre nel gatto la media varia dalle 2 alle 6 settimane.

In genere questa fase è asintomatica.

Fase prodromica

All’incubazione segue poi una fase prodromica in cui possono verificarsi sintomi generici, non necessariamente neurologici, quali:

  • nell’uomo: cefalea, febbricola, gola secca, ansia, apprensione e vomito;
  • nel cane e nel gatto: cambiamento del comportamento/abitudini, fotofobia, allucinazioni e febbre.

È bene riconoscere precocemente questa fase, dato che l’animale può già trasmettere il virus.

Malattia clinica conclamata

È la sintomatologia vera e propria che, a seconda dell’animale, si può declinare in forme differenti:

  • nell’uomo si presenta in tre forme principali:
  1. una forma spastica, caratterizzata da alterazioni del movimento, particolare eccitazione, idrofobia (paura dell’acqua);
  2. una forma furiosa che si manifesta con delirio, fotofobia e/o idrofobia, aritmie, furia distruttiva e febbre;
  3. una forma paralitica, che può manifestarsi da sola o essere preceduta dalle altre due, che porta il soggetto prima al coma e poi alla morte;
  • nel cane, viceversa, si ha:
  1. una forma furiosa, che solitamente dura 3-4 giorni, in cui l’animale presenta aggressività continua, ha difficoltà ad abbaiare (alterazione della fonesi), perde saliva dalla bocca, è disorientato e può vagabondare per chilometri;
  2. una forma paralitica che determina paralisi progressiva della mandibola, incoordinazione dei movimenti, anoressia (mancanza dell’appetito), dimagrimento e morte per asfissia (sospensione della funzione respiratoria);
  • il gatto, anche se meno colpito, è estremamente pericoloso, in quanto la sua potenzialità di morsicatura è estremamente notevole; le fasi possono essere così riassunte:
  1. una fase furiosa con crescente eccitabilità e aggressività, che può durare fino a 14 giorni;
  2. una fase paralitica che determina paralisi del faringe, della mandibola, della terza palpebra e del diaframma;
  3. una fase finale con paralisi generale, coma e morte.

Trattamento e prevenzione 

Benché non esista una cura per la rabbia, possono essere messe in atto svariate misure preventive al fine di evitare il contagio.

Per l’uomo, la prevenzione si basa sulla vaccinazione pre-esposizione e sul trattamento antirabbico post-esposizione da iniziarsi al più presto dopo il presunto contagio, per esempio in caso di morso da parte di un animale sospetto. La vaccinazione pre-esposizione si applica a chi svolge attività professionali “a rischio specifico” (veterinari, guardie forestali, guardie venatorie, ecc.).

Il trattamento pre-contagio si effettua solo quando c’è un rischio reale di contrarre la rabbia, e consta nella somministrazione di un vaccino inattivato, un richiamo dopo tre settimane e successive vaccinazioni annuali.

Per gli animali domestici, la vaccinazione preventiva è in genere facoltativa, mentre è assolutamente obbligatoria nei comuni a rischio di rabbia silvestre, cioè nei casi in cui la malattia è circolante nella popolazione animale selvatica (volpi).

La vaccinazione antirabbica pre-contagio si configura, in tal senso, come il metodo più efficace per proteggere gli animali da compagnia.

La vaccinazione post-contagio (vaccinoterapia) si rivolge ad individui che siano stati morsi da animali sospetti, o con rabbia conclamata, eseguendo – dopo aver pulito e disinfettato la zona in cui è avvenuto il morso – una somministrazione di siero immune (gammaglobuline anti rabbia) in aggiunta al vaccino nei giorni 0 (ovvero il giorno del contagio), tre, sette, quattordici e trenta. Questa “vaccinoterapia” risulta essere molto utile in quanto, nella rabbia, l’immunità artificiale (protezione) del soggetto può essere stimolata efficacemente nel corso del periodo d’incubazione della malattia.

Nell’animale colpito da rabbia non si esegue nessuna “vaccinoterapia” post-contagio, in quanto è vietato qualsiasi trattamento in grado di modificare o alterare l’evoluzione della malattia trasmessa al momento dell’aggressione. In questo caso, il Regolamento di polizia veterinaria stabilisce che cani e gatti morsi da un animale sospetto devono essere tenuti in osservazione (presso il canile municipale o, sotto la responsabilità del proprietario, presso il domicilio) per sei mesi, mentre l’animale morsicatore sospetto, deve essere catturato e tenuto in osservazione per 10 giorni. Nel caso in cui, dopo le opportune verifiche, risultino affetti da rabbia conclamata, si esegue l’abbattimento (salvo alcune deroghe presenti nel Regolamento).

Sono molte, inoltre, le precauzioni che possono essere presi per evitare l’esposizione al contagio nelle zone a rischio. Basta seguire semplici regole di comportamento: nella lista delle azioni da evitare, si trovano:

– evitare qualsiasi contatto con animali sconosciuti, anche se si mostrano socievoli;

– condurre il cane sempre al guinzaglio o utilizzare, per le altre specie, l’apposito trasportino, al fine di impedire agli animali domestici ogni possibile contatto con animali selvatici, soprattutto le volpi;

– segnalare al veterinario eventuali cambiamenti del comportamento abituale o atteggiamenti insoliti in un animale domestico;

non adottare animali selvatici come animali da compagnia;

– qualora si noti un animale selvatico che si comporta in modo strano, è utile segnalarlo alle autorità locali, ai veterinari delle Aziende sanitarie locali, alla polizia locale o provinciale, oppure ai carabinieri forestali.