La legge non prevede permessi retribuiti in caso di malattia del cane o del gatto. Tuttavia una recente sentenza della Cassazione ha aperto la strada a questa possibilità. Ecco come
La normativa italiana, purtroppo, non contempla la casisitica dei permessi retribuiti specifici nel caso di assenza dedicata per la cura degli animali, ma ciò non significa che non si possano ottenere.
Per farlo occorre fare riferimento alla normativa sui permessi retribuiti generici, che prevedono l’assenza dal posto di lavoro nei casi che ora andremo ad analizzare. Si tratta di permessi riconosciuti dalla legge, ma previsti solo in talune situazioni quali esami e concorsi; matrimonio; lutto o malattia di un familiare o di un coniuge e infine allattamento.
Come potete notare, non viene fatto alcun cenno al permesso retruibuito nel caso di cura degli animali domestici. A fare da possibile apripista per un cambio della normativa, è una recente sentenza della Cassazione, che richiama la possibilità di permesso retribuito per “gravi motivi personali e familiari“, ma entriamo nel dettaglio.
Permessi retribuiti per la cura degli animali domestici: la sentenza della Cassazione
A fare da possibile spartiacque per un futuro cambio del quadro normativo relativo ai permessi potrebbe essere una recente sentenza della Cassazione. Prima però è opportuno fare un premessa: in Italia è attualmente possibile chiedere un permesso retribuito per “gravi motivi personali e familiari” in riferimento a un parente o un coniuge (oltre ai motivi sopra esplicitati).
Di recente però una sentenza della Corte di Cassazione – la n. 15076/2018 – ha riconosciuto che gli animali domestici possono essere assistiti grazie alle cure dei destinatari di un permesso retribuito. Attenzione alla sussitenza di alcuni criteri imprescindibili.
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La cura dell’animale non dovrà essere procrastinabile, inoltre occorrerà dimostrare che non sono presenti terze persone a cui affidare l’animale e, ultimo, occorrerà fornire regolare certificato veterinario comprovante la malattia e la conseguente esigenze di cura.
Un precedente che fa ben sperare
Una sentenza “storica” con la quale la Corta di Cassazione potrebbe aver creato un precedente da cui è improbabile tornare indietro. L’alternativa alla cura dell’animale, nel caso in esame, avrebbe condotto alla configurazione di un reato. Quale? Ebbene, il reato di abbandono, che viene punito dal codice penale sia con l’arresto fino a un anno, che con una multa che può partire da mille euro per arrivare fino a diecimila euro. Da qui la considerazione che ha condotto al riconoscimento del permesso retribuito, ossia la necessità di non trascurare l’animale domestico, determinando disinteresse o mancanza di attenzione.
La persona deputata alla cura dell’animale non può esimersi dalla sua cura, ecco perché, seppur non siamo davanti all’introduzione di nuova legge o una modifica definitiva di quella già esistente, siamo comunque di fronte a una svolta. Coloro che si troveranno nella medesima condizione di non affidare a nessun altro l’assistenza del proprio animale domestico, potranno fare riferimento alla recente sentenza.