Quando la libera espressione sconfina in un reato d’opinione?

REATI D'OPINIONE

Qual è il confine tra libertà di opinione e reato d’opinione? Cosa sta accadendo con la libertà di opinione sui social? L’ordinamento italiano tutela anche l’individuo colpito da un reato di opinione? Analizziamo tutti questi e altri aspetti con casi pratici della recente attualità.

 

“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.

Comincia così l’articolo 21 della Costituzione Italiana, inserito nella Parte I dedicata ai diritti e doveri dei cittadini.

Peccato che troppo spesso rivendichiamo i diritti, ma ci dimentichiamo dei doveri. La libertà di opinione è un diritto sacrosanto, conquistato a fatica e che oggi trova (ri)scontro con la diffusione capillare e veloce dei mezzi di comunicazione di massa e dei social network (reti sociali). L’amplificazione degli spazi aperti alle opinioni (vetrine sui social o possibilità di commentare liberamente) ha rimesso in discussione questo diritto.

Qual è il confine tra libertà di opinione e reati di opinione?

Quando è possibile parlare di eccesso del politicamente corretto, strozzando la sacrosanta libertà di opinione?

Quando il politicamente scorretto sconfina del reato di opinione?

Non conosci il Salvagente? Scarica GRATIS il numero con l'inchiesta sull'olio extravergine cliccando sul pulsante qui in basso e scopri cosa significa avere accesso a un’informazione davvero libera e indipendente

Sì! Voglio scaricare gratis il numero di giugno 2023

Sono tutti interrogativi aperti che spesso trovano risposta nelle aule di tribunale a causa del vuoto normativo.

Il Giappone punisce le offese sui social

Il 7 luglio 2022 in Giappone sono entrare ufficialmente in vigore le nuove pene per chi usa i social come strumento di offesa altrui. La nuova legge prevede una pena detentiva fino a 1 anno e pesanti multe. Il governo nipponico è da tempo impegnato in prima linea nella lotta contro il fenomeno sempre più preoccupante del cyberbullismo e dell’hate speech, l’imbarbarimento del linguaggio in pubblico o sui canali digitali pubblici.

Le modifiche al codice penale prevedono l’aumento della multa per insulti fino a 2.200 dollari circa. Anche la prescrizione per gli insulti online è stata prorogata da 1 anno a 3 anni.

È bastato un caso eclatante a sensibilizzare l’opinione pubblica e politica di Tokyo. Il suicidio di Hana Kimura del maggio 2020, una wrestler professionista e personaggio popolare televisivo di 22 anni, ha sollevato numerose polemiche. Hana è entrata nel cast del popolare reality show Netflix “Terrace House”. Dopo una sfuriata contro i suoi coinquilini che le avevano rovinato l’attrezzatura da wrestling, è stata travolta dai messaggi di insulti sui suoi canali social. La vittima di cyberbullismo in realtà aveva sofferto sin da bambina a causa del bullismo. La madre, una star del ring, l’aveva avvicinata a questo sport per farle capire che tutti, su quel quadrato, lottiamo per degli ideali e per dei valori. E tutti possiamo farcela. Purtroppo la violenza verbale è stata devastante per lei, che non ce l’ha fatta. Così il Il Consiglio Legislativo del Ministero della Giustizia giapponese ha chiesto pene più severe.

Ma cos’è un reato di opinione?

Un reato d’opinione è una fattispecie penale che incrimina una determinata manifestazione di pensiero. Di fatto, una restrizione alla libertà di opinione, quando la stessa sconfina nell’insulto, nel razzismo e in altre forme di reato di opinione.

Negli ordinamenti democratici ciò avviene in deroga alla libertà d’opinione, riconosciuta dalle costituzioni, e pone il problema della legittimità di tali fattispecie, accettabili solo nei limiti in cui altri principi costituzionali si possano ritenere prevalenti sulla libertà di manifestazione del pensiero.

Per il principio di materialità che impedisce l’incriminazione delle condotte prive di manifestazione esteriore, i reati d’opinione non puniscono le semplici opinioni: queste possono infatti restare del tutto inespresse; al riguardo si è quindi proposta la denominazione di “reato d’espressione”, in cui a essere punita è appunto l’espressione di un pensiero in qualunque forma (orale, scritta, non verbale).

L’ambito delle opinioni sanzionate come reati va peraltro enormemente ristretto rispetto a quanto suggerito dal nome, escludendo dal novero le fattispecie (potenzialmente infinite) in cui la manifestazione di pensiero è repressa in ragione degli effetti che produce all’esterno (si pensi ai delitti di ingiuria e diffamazione, dove l’espressione del pensiero è incriminata perché lesiva dell’onore altrui). Tra l’altro, la diffamazione è stata depenalizzata.

Caratteristica dei reati d’opinione è la repressione dell’opinione in quanto tale, per il suo solo contenuto, che si assume offensivo di valori morali o sentimenti collettivi e condivisi.

Quali sono i reati d’opinione

I reati d’opinione includono ipotesi di vilipendio, propaganda, apologia. I reati d’opinione sono tutti quelli che presentano una carica offensiva tale da turbare valori morali, sociali, religiosi e politici super individuali, quindi collettivi e condivisi, e possono essere così catalogati:

  • apologia di fascismo (XII disposizione transitoria e finale della Costituzione italiana);
  • attentato contro l’integrità, l’indipendenza e l’Unità dello Stato (art. 241 c.p);
  • associazioni sovversive (art. 270 c.p);
  • attentato contro la Costituzione dello Stato (art. 283 c.p);
  • attentato contro organi costituzionali e contro le assemblee regionali (art. 289 c.p);
  • vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate (art. 290 c.p);
  • vilipendio o danneggiamento alla bandiera o ad altro emblema dello Stato (art. 292 c.p);
  • offesa alla bandiera o ad altro emblema di uno Stato estero (art. 299 c.p);
  • offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone (art. 403 c.p);
  • offese a una confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento di cose (art. 404 c.p);
  • turbamento di funzioni religiose del culto di una confessione religiosa (art. 405 c.p).

Il codice punisce severamente le offese collettive. E il singolo individuo?

Il codice penale censura dunque i valori universali e super individuali, collettivi o diffusi, capaci di turbare la morale pubblica.

Ma come la mettiamo con le offese personali? I reati di opinione che possano turbare il singolo individuo?

 

Il caso del Ddl Zan e la troppa libertà di opinione

Il caso del Giappone è d’insegnamento in tal senso. L’Italia invece plaude all’affossamento del Ddl Zan, come è accaduto nella ormai tristemente nota plenaria del Senato nel 2021. La soluzione normativa dell’attivista Alessandro Zan propone (come accaduto in Giappone) un inasprimento delle pene contro gli atti violenti di omofobia e violenza contro i “diversi” in generale. E per violenza si intende anche quella delle “libere” opinioni contro tutte le diversità in generale. L’ostracismo contro questo disegno di legge viene da chi, invece, teme che questo impianto normativo possa censurare la libertà di opinione.

 

Non tutti reagiamo individualmente allo stesso modo difronte alle offese o “libertà” di opinione. Allora, chi tutela l’individuo?

Quindi, è giusto essere liberi di manifestare sempre, e in qualsiasi forma, la libertà della propria opinione? Anche a costo di offendere il singolo individuo, e non solo la collettività, come riconosce il codice penale? Qual è il confine di questa libertà, quando colpisce il sentimento individuale e personale?

“La verità – come ben osserva lo Studio legale Cataldi – è che la legge penale non punisce indistintamente tutte le forme di pensiero, ma solo quelle ritenute talmente pericolose da richiedere l’applicazione di una sanzione penale come la reclusione e l’ammenda. Manifestare liberamente il proprio pensiero infatti non significa poterlo fare in modalità offensive, violente o irrispettose”.

 

Italia divisa anche sul reato di apologia del fascismo

Ai reati d’opinione del codice penale, si affiancano le fattispecie previste da leggi speciali. Ad esempio, la legge numero 962 del 1967 “Prevenzione e repressione del delitto di genocidio” memore dei reati commessi nel corso del secondo conflitto mondiale, punisce con la pena della reclusione chi, al solo scopo di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso commette atti diretti a cagionare la morte, lesioni personali gravi o sottoporre le persone appartenenti al gruppo a condizioni di vita tali da determinare la distruzione fisica, totale o parziale del gruppo stesso. Il dibattito sui crimini di guerra commessi dai russi in Ucraina risponde in tal senso a una fattispecie di reato simile.

In Italia, l’articolo 8 di questa legge punisce inoltre con la reclusione da 3 a 12 anni chi pubblicamente istiga o fa apologia di uno dei delitti contemplati dai seguenti articoli della medesima legge:

  • atti diretti a commettere genocidio;
  • deportazione a fini di genocidio;
  • morte di una o più persone cagionata dagli atti diretti a commettere genocidio o dalla deportazione;
  • atti diretti a commettere genocidio mediante limitazione delle nascite;
  • atti diretti a commettere genocidio mediante sottrazione di minori.

Un’altra fattispecie introdotta nell’ordinamento al fine di scongiurare il ripetersi delle dinamiche ideologiche che hanno caratterizzato il periodo della seconda guerra mondiale è quella prevista dall’articolo 4 della legge numero 645del 1952, che contempla il reato di “Apologia del fascismo“. La norma punisce con la reclusione da 6 mesi a 2 anni e con la multa da 206 a 516 euro chi fa propaganda al fine di costituire un’associazione, un movimento o un gruppo finalizzato alla ricostituzione del disciolto partito fascista.

Alla stessa pena soggiace anche “chi pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche.” Pene ancora più severe sono previste se il fatto riguarda idee o metodi razzisti e reclusione.

L’apologia del fascismo tutela non solo la morale pubblica, ma anche l’individuo

Sull’apologia del fascismo, ancora oggi, l’opinione pubblica e la classe politica si dividono. L’Italia non ha ancora fatto i conti con il suo passato. Chi si professa fedele ai valori fascisti invoca la libertà di opinione, senza però considerare che, in questo caso, si offende la collettività antifascista (la Costituzione è chiaramente antifascista). L’apologia del fascismo perciò, tutela non solo la collettività, ma anche l’individuo, ed è questo uno dei rari casi della giurisprudenza italiana. Perché, l’aspetto forse più grave è che, con l’apologia, si offende anche la memoria delle vittime del fascismo, quindi di chi, in nome di quei “valori”, è stato ucciso (o offeso). Altrimenti si rischia la deriva pericolosa del negazionismo.