Antidolorifici e ibuprofene possono ridurre i ricoveri da Covid e l’aggressività dell’infezione. L’importante è assumerli entro 72 ore dalla comparsa dei sintomi. Tuttavia manca uno studio definitivo e molto atteso. E le scorte in farmacia scarseggiano
Sarebbero 350mila gli italiani dipendenti da oppioidi, antidolorifici e anti infiammatori. Una dipendenza che, nel lungo termine, può amplificare i dolori cronici.
L’ibuprofene risulta tra i farmaci non steroidei più venduti durante la pandemia causata dal Covid-19. Si tratta di un farmaco dall’effetto antipiretico, che in generale riduce il dolore e il gonfiore provocati dall’infiammazione. Questa classe di medicinali rappresenta la categoria di più largo impiego nel trattamento delle malattie reumatiche.
L’Agenzia del farmaco (Aifa) consiglia una dose giornaliera di 1200 mg – 1800 mg divisa in 2 o 3 dosi (una bustina da 600 mg 2 o 3 volte al giorno) a intervalli di otto ore. In alcuni pazienti possono essere sufficienti da 600 mg a 1200 mg al giorno.
Ibuprofene e antinfiammatori durante il Covid-19
L’ibuprofene è indicato in caso di dolori muscolari, febbre, mal di testa; tutti i sintomi più lievi della variante Omicron del Covid-19. Infatti, nel gennaio del 2022, il direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs, Giuseppe Remuzzi, aveva presentato due studi che dimostrerebbero la capacità degli antinfiammatori di fermare la malattia Covid-19 ai primi sintomi.
“Noi abbiamo prodotto due studi al riguardo – dichiarava Remuzzi all’Agenzia Adnkronos – e anche altri lavori condotti altrove nel mondo confermano i nostri risultati: indicano cioè che si può ottenere una riduzione molto importante della severità della malattia e dell’ospedalizzazione. Il problema è che non c’è uno studio definitivo come quelli fatti dall’industria, che hanno tutte le caratteristiche degli studi controllati. E allora non si può pretendere che qualcosa di non definitivo venga suggerito dalle autorità regolatorie. Proprio per questo adesso siamo in contatto con L’Aifa per adottare uno studio molto grande”.
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“Noi utilizziamo nimesulide e ibuprofene, e aspirina per chi è intollerante ai primi due – spiega Remuzzi – Poi c’è un altro studio pubblicato su ‘The Lancet’ su uno spray nasale, o un preparato anti-asma, che ottiene gli stessi risultati dei nostri lavori: una riduzione molto importante della severità della malattia e dell’ospedalizzazione. E, ancora, abbiamo studi indiani confermati anche da ricerche fatte in Italia, sull’indometacina, che è un altro antinfiammatorio”.
Un altro studio, a riguardo, è arrivato mesi dopo. Ne ha dato notizia l’Agenzia Ansa nell’aprile 2022. Si tratta di una ricerca dei medici del Comitato Cura Domiciliare Covid-19 i cui risultati sono stati diffusi dalla rivista American Journal of Biomedical Science and Research.
Lo studio confermerebbe che un intervento terapeutico precoce a domicilio in pazienti con il Covid-19 (entro 72 ore dall’inizio dei sintomi), con i farmaci anti-infiammatori non steroidei come l’ibuprofene, determinerebbe una significativa riduzione del numero di ricoveri e della durata dei sintomi rispetto a un trattamento tardivo (oltre le 72 ore).
Da febbraio a dicembre 2021, l’analisi dei medici del Consiglio Scientifico del Comitato ha preso in esame i dati di 966 pazienti non vaccinati (selezionati appositamente per valutare l’impatto della cura in assenza di supporto vaccinale), trattati con ibuprofene, aspirina, nimesulide, indometacina, ketoprofene. Isolando i dati di un sottogruppo di 339 pazienti più anziani (over 50) con età media di 60 anni, si è scoperto che nessuno di loro è stato ricoverato dopo trattamento con anti infiammatori somministrato entro le 72 ore dall’inizio dei sintomi.
“Questa ulteriore pubblicazione, su un numero consistente di pazienti, conferma la necessità di intervenire in fase precoce, come ribadito da oltre due anni dai nostri medici, e avvalorato da uno studio randomizzato indiano”, ha dichiarato l’avvocato Erich Grimaldi, presidente del Comitato.
Ibuprofene introvabile? Ci sono molte alternative con farmaci generici
Dalle notizie su questi studi, e con l’arrivo della variante Omicron, ne è derivato un aumento del consumo di questi farmaci tanto che alcuni giorni fa è stata segnalata la carenza di antidolorifici e antinfiammatori. L’ibuprofene sembra introvabile. Anche l’Aifa lo ha inserito tra l’elenco dei farmaci attualmente carenti.
Andrea Mandelli, presidente della Federazione Ordini Farmacisti Italiani (Fofi), ha comunque rassicurato: “È una carenza che ovviamente crea disagio ai pazienti ma non c’è nessun allarme perché fortunatamente i farmacisti possono tamponare questa mancanza allestendo loro stessi il preparato”.
Anche Federfarma stempera l’allarme, poiché esistono molte alternative all’ibuprofene. “La situazione non è preoccupante e viene costantemente monitorata da Aifa”, ha commentato la Federazione nazionale dei titolari di farmacia. Domenico Di Giorgio, dirigente dell’area ispezioni e certificazioni di Aifa, osserva che ci sono almeno 106 alternative con farmaci generici.