Non solo glifosato. Che si registri un nuovo principio attivo o si chieda il rinnovo di una sostanza, gli unici studi presi in esame sono proprio quelli dei big dell’agrofarma. E sulle molecole da sostituire gli Stati membri latitano. Il dossier completo nel nuovo numero in edicola
Nocivo per la riproduzione, interferente endocrino, sostanza persistente, bioaccumulante e tossica. Sono solo una parte delle motivazioni per le quali 55 principi attivi di pesticidi devono essere vietati in Europa. Tecnicamente sono candidati alla sostituzione, da anni inseriti in una sorta di lista nera, che però, in attesa di un pronunciamento della Ue, continuano a essere, di proroga in proroga, usati in agricoltura e quindi rimangono una minaccia per la salute dei consumatori.
Pan Europe, il Pesticide action network, partendo dalle 55 sostanze da bandire, ha stilato una lista, la “Tossica dozzina”, delle 12 molecole più pericolose che andrebbero vietate il prima possibile.
Tra queste (l’elenco completo lo pubblichiamo nel nuovo numero in edicola all’interno di un dossier più ampio) ci sono principi attivi che spesso il Salvagente ritrova negli alimenti che porta in laboratorio, tra questi il Tebuconazole (fungicida, considerato interferente endocrino, usato nei trattamenti delle pere), la Cipermetrina (insetticida, possibile cancerogeno per l’Epa statunitense, sospettato di essere un perturbatore endocrino, viene impiegato nei cereali, grano in particolare), il Pirimicarb (tossico per la riproduzione, è un insetticida, usato in molte colture tra le quali il melo), il Lambda-Cyhalothrin (considerato pericoloso per la salute umana è un insetticida, impiegato nei pomodori, pere e arance).
Salomé Roynel, il responsabile della valutazione del rischio pesticidi di Pan Europe, commenta: “Queste sostanze chimiche dovrebbero scomparire dal nostro cibo. Ma invece, osserviamo un drammatico aumento dell’esposizione: negli ultimi dieci anni la presenza dei principali principi attivi candidati alla sostituzione è aumentata nei campioni di frutta e verdura analizzati. Ciò dimostra chiaramente che le regole di sostituzione non sono mai state attuate dagli Stati membri e che sono venuti meno alla loro responsabilità di tutelare i consumatori”.
Le alternative ci sono
Il problema sembra essere più politico che pratico perché le alternative ci sono. È la stessa Ong a indicarle. Prendiamo ad esempio la Cipermetrina, autorizzata anche in Italia: secondo gli esperti consultati da Pan Europe in sostituzione di questo insetticida basterebbe favorire una migliore rotazione delle colture, monitorare il terreno con trappole a feromoni (sostanze biochimiche che attirano insetti), o nel caso ricorrere all’uso di Spinosad meno dannoso per la salute del consumatore.
Stesso discorso per Chlorotoluron, erbicida usato nella coltivazione del grano, probabile cancerogeno e tossico per la riproduzione: esistono prodotti fitosanitari con profili di rischio decisamente più bassi.
Se esistono alternative agronomiche non si capisce perché la Commissione europea continui a tenere “in vita” questi principi attivi. “Gli Stati membri – spiegano ancora da Pan – non hanno rispettato l’obbligo legale di vietare questi pesticidi. Al contrario, hanno costantemente privilegiato gli interessi dell’agrobusiness rispetto alla protezione della nostra salute e dell’ambiente”.
Bisogna a questo punto capire come funziona e quali sono le responsabilità a livello comunitario e nazionale. Secondo il Regolamento 1107/2009 è la Commissione europea che, in base a nuovi studi tossicologici o di impatto ambientale oppure a seguito di segnalazioni da parte di Stati membri, candida una sostanza alla sostituzione. Tuttavia il governo di un singolo paese in presenza di un principio attivo che deve essere sostituito può nel proprio territorio esaminare e favorire alternative chimiche meno impattanti e non chimiche (comprese le pratiche di biocontrollo) all’utilizzo della sostanza che deve essere sostituita. Tutto questo però, in base all’esperienza di Pan, avviene di rado per non dire che gli Stati membri non promuovono mai alternative con un impatto decisamente inferiore.
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Gli studi? Solo quelli dell’industria
In questa inerzia generale i big dell’agrofarma hanno gioco facile. A cominciare dalle “prove” che vengono fornite nell’ambito del processo di autorizzazione o di rinnovo dell’uso di un formulato: “La letteratura indipendente non è sufficientemente presa in considerazione nella valutazione del rischio – conclude Salomé Roynel – e fare affidamento su studi dell’industria non è sufficiente per garantire la protezione della salute umana e dell’ambiente”.
Il caso emblematico del glifosato
Il caso del glifosato è emblematico. La presunta cancerogenicità del glifosato non è dimostrata solo da studi indipendenti ma anche dalle ricerche presentate dall’industria agrochimica. È la conclusione cui giunge un nuovo rapporto di HEAL secondo cui la valutazione scientifica dell’Ue – che al momento è orientata verso l’assoluzione dell’erbicida – presenta gravi carenze scientifiche: “Il mancato riconoscimento del potenziale cancerogeno della sostanza segnerebbe un passo indietro nella lotta europea contro il cancro” avverte l’organizzazione.
HEAL ha esaminato da vicino gli 11 studi sugli animali forniti dalle aziende di pesticidi nel 2019 come parte del dossier di domanda. Insieme a due rinomati esperti, HEAL ha riscontrato la presenza di tumori statisticamente significativi, il che supporta chiaramente la classificazione del glifosato dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) come “probabile cancerogeno” .
Christopher Portier, un esperto indipendente nella progettazione, analisi e interpretazione dei dati sulla salute ambientale con particolare attenzione alla cancerogenicità, ha affermato: “Linfomi maligni, tumori del rene e del fegato, cheratoacantomi della pelle. Non ci sono dubbi sul fatto che il glifosato alimenta il cancro e l’elenco potrebbe continuare. In dieci degli 11 studi sugli animali che facevano parte del dossier di riapprovazione del glifosato, vediamo che gli animali hanno sviluppato tumori. Non importa come la si guardi, ci sono prove più che sufficienti di cancerogenicità e queste prove soddisfano i criteri per classificare il glifosato come una sostanza che si presume abbia un potenziale cancerogeno per l’uomo”.