FaceApp: come tutelare la propria privacy

FACEAPP

Immaginare come potremmo essere da anziani o se cambiassimo sesso: a tutto questo ci pensa FaceApp, ma per quanto riguarda la privacy, cosa succede?

 

Con la realtà “filtrata” è possibile modificare il proprio aspetto, decorare il viso, immaginarsi come potremmo essere da anziani o se cambiassimo sesso. A tutto questo ci pensa FaceApp, l’applicazione che ha spopolato soprattutto nel 2020 e che ha letteralmente abbattuto i confini tra mondo reale e mondo virtuale, preparandoci di fatto all’attuale mondo del metaverso.

In realtà, la prima versione di Face App è stata rilasciata già nel gennaio 2017. Si tratta di un’applicazione mobile per dispositivi iOS e Android sviluppata dalla società russa Wireless Lab, che utilizza un algoritmo e l’intelligenza artificiale per generare automaticamente trasformazioni altamente realistiche dei volti di persone nelle fotografie e nei selfie. La trasfigurazione ottenuta viene poi solitamente condivisa sui social network, bella e pronta per essere esibita, o commentata, anche in chiave satirica. Memorabili sono i meme diffusi con la foto modificata dell’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte in versione donna. L’app, infatti, tra le varie funzioni, consente di “cambiare sesso”, trasformare un volto per farlo sorridere, o sembrare più giovane o più vecchio.

FaceApp e la privacy

Ma dove vanno a finire questi dati e queste immagini modificate? Cosa accade alla nostra privacy? Come separare la realtà dalla finzione? Sono questi alcuni dei tanti interrogativi che suscitano le tecnologie evolute della virtualità.

Una prima risposta è arrivata subito dopo la diffusione di questa app. Alcune funzioni, infatti, hanno subito ricevuto varie critiche e accuse di “razzismo” in seguito a un filtro che cambiava il colore della pelle con persone di colore, per renderle più europee. A seguito di ciò, tale funzione è stata rimossa. Il 9 agosto 2017, Face App ha ricevuto nuove critiche a causa della presenza di “filtri etnici” che venivano catalogati come “Bianco”, “Nero”, “Asiatico” e “Indiano”.

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FaceApp: cosa c’entra la Russia?

Con l’attuale scenario bellico alle porte dell’Europa, in Ucraina, è tornato d’attualità il ruolo dei russi, spesso protagonisti di veri e propri casi di spy story. La Russia era stata già accusata di aver in qualche modo condizionato l’esito delle elezioni americane che nel 2016 consegnarono la vittoria a Donald Trump. Profili fake si sarebbero insinuati nei gruppi social per esercitare un potere di influenza sul voto e sull’esposizione social di politici più filorussi e vicini al regime di Putin. È accaduto anche in Italia dove l’inchiesta della trasmissione Report (in onda su Rai3) dal titolo “La fabbrica social della paura” ha provato a svelare i collegamenti tra il regime russo e alcuni esponenti politici italiani e stranieri. Proprio in quel periodo scoppiano le polemiche attorno alla figura controversa di Steve Bannon. Di sicuro le inchieste di “ingerenze” o interferenze russe nelle democrazie e durante le elezioni in Occidente, non sono mancate, con tanto di movimenti sospetti di denaro inviato da Mosca.

Tuttavia, il caso della Russia sembra apparentemente risolto. Almeno dal punto di vista formale e tecnico. Le foto modificate tramite FaceApp (applicazione sviluppata da una società russa) in realtà non dovrebbero essere caricate su server russi, ma su quelli americani, in particolare su Amazon AWS. L’esperta Jane Manchun Wong ha chiarito di non aver trovato niente di sospetto analizzando i file contenuti nel pacchetto delle app.

FaceApp: il problema della privacy e policy

I chiarimenti non sono bastati, perché questa app nasce dalla mente di una società della Russia, un paese dove i social e le aziende tecnologiche sono sotto il controllo governativo, per non dire manipolati dal regime.

La pagina della policy che agli utenti viene chiesto di accettare non è molto chiara, perché se da un lato viene chiesto di accettare una possibile archiviazione delle immagini scattate, d’altro canto si legge che: “Le fotografie rimangono nel cloud per un periodo limitato di 24-48 ore dopo l’ultima modifica della foto, in modo da poter tornare all’immagine e apportare ulteriori modifiche se lo si desidera”.

Il problema più grande che ha dovuto affrontare il team russo con a capo Yaroslav Goncharov, fondatore e direttore di Wireless Lab, è legato perciò alla privacy, ossia alla sicurezza dei dati personali dei propri utenti e delle policy da accettare, quasi alla cieca ma che andrebbero lette e analizzate meglio prima di “divertirsi” a filtrare la realtà. Perché a volte, la fantasia supera la realtà. Che FaceApp sia stato, in quegli anni, il Cavallo di Troia russo lanciato nel tanto vituperata società dell’immagine quale è quella occidentale?