Quali sono i nostri diritti in spiaggia? E sono leciti i divieti che spesso troviamo negli stabilimenti? Facciamo il punto su un tema sul quale continuano a esserci molti problemi lungo la nostra Penisola
L’estate 2022 si preannuncia rovente e il mare, quest’anno, sarà più “salato”, in tutti i sensi. Al netto dei casi estremi in Puglia, nelle Maldive del Salento, dove a Pescoluse un lido ha raggiunto i 1.500 euro al giorno, stare sotto l’ombrellone in spiaggia con due lettini, durante il fine settimana, costerà fino al 13% in più. In uno stabilimento medio le tariffe oscillano tra i 25 e i 30 euro al giorno. Una spiaggia pubblica, magari con meno servizi ma più fascino e avventura, potrebbe essere la soluzione per rendere meno stressanti le vacanze. Per citare William Shakespeare: a mari inesplorati, spiagge insperate. Ed è proprio nello spirito di avventurieri, unito a un’ottima ricerca in rete, che spesso si scovano veri e propri paradisi: cale e lidi pubblici, anche attrezzati, con mare limpido, dai riverberi azzurro e verde smeraldo. Ma come funziona questa tipologia di balneazione?
Cosa è una spiaggia pubblica?
Partiamo da un dato di fatto sancito dal diritto: la spiaggia è un bene pubblico e appartiene al demanio, anche quando è data in concessione agli stabilimenti balneari, alle iniziative dei privati in generale, o quando è segnalata come spiaggia pubblica attrezzata.
Il demanio è il complesso dei beni immobili, pertinenti a soggetti della pubblica amministrazione, destinati all’uso gratuito e diretto della generalità dei cittadini, ovvero, per loro natura, ad altra funzione pubblica e, per questa specifica destinazione, soggetti a un potere giuridico che rientra nel campo del diritto pubblico.
Secondo il diritto pubblico, la spiaggia non è costituita solo da quei tratti di terra prossimi al mare, ma anche da tutta la zona alluviata sorta per effetto del movimento geologico di retrocessione del mare, il cosiddetto arenile. Questo spazio pubblico (spiaggia pubblica) è regolamentato ai sensi dell’articolo 822 del codice civile e dell’articolo 28 del Codice della navigazione, e ricade in territorio di proprietà del demanio marittimo dello Stato.
Inoltre, l’accesso alla battigia (fascia di 5 metri dal limitare del mare) è sempre consentito, ed è libero e gratuito, anche in presenza di uno stabilimento balneare, come stabilisce la legge 27 dicembre 2006, n. 296, articolo 1, comma 251, in cui viene fatto “obbligo per i titolari delle concessioni di consentire il libero e gratuito accesso e transito, per il raggiungimento della battigia antistante l’area ricompresa nella concessione, anche al fine di balneazione”. Mentre la legge 15 dicembre 2011, n. 217, articolo 11, comma 2, sancisce “in assoluto, il diritto libero e gratuito di accesso e di fruizione della battigia, anche ai fini di balneazione”.
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Gli accessi liberi al mare, dunque, non possono essere ostacolati, neppure da iniziative illecite, come spesso avviene lungo alcuni tratti che attraversano terreni privati o stabilimenti balneari. Iniziative sanzionabili.
Quali sono le spiagge libere?
L’ultimo report spiagge di Legambiente disponibile risale al 2021. L’associazione ambientalista osserva che “oltre il 50% delle aree costiere sabbiose è sottratto alla libera e gratuita fruizione. A pesare su ciò, in prima battuta, è l’aumento esponenziale in tutte le Regioni delle concessioni balneari che nel 2021 arrivano a quota 12.166 (contro le 10.812 degli ultimi dati del Demanio relativi al 2018) registrando un incremento del +12,5%. Tra le regioni record ci sono Liguria, Emilia-Romagna e Campania con quasi il 70% dei lidi occupati da stabilimenti balneari”.
Dunque, non sappiamo quante siano effettivamente le spiagge pubbliche libere in Italia, ma sappiamo che sono numericamente inferiori al 50% delle coste sabbiose. Spesso, denuncia Legambiente, “libere” perché di serie B, vicine a foci di fiumi, fossi o fognature dove vi è il divieto di balneazione.
Sappiamo invece a quanto ammontavano le concessioni demaniali e il numero di stabilimenti balneari fino al 2019. Il Sistema informativo demanio del ministero delle Infrastrutture segnala 103.620 concessioni demaniali marittime in Italia (79.577 delle quali di tipo turistico ricreativo). Gli stabilimenti balneari sarebbero 6.318 (Secondo l’indagine elaborata dal Sindacato italiano balneari), ossia meno di un’impresa per chilometro di costa e un miliardo di fatturato annuo complessivo, che significa una media di 159.000 euro per azienda.
Da questi numeri non sembra un grande affare. “A pesare sulle poche spiagge italiane – secondo Legambiente – è anche il problema dell’erosione costiera che riguarda circa il 46% delle coste sabbiose e che si sta accentuando a causa della crisi climatica. La spesa per combatterla – con interventi finanziati dallo Stato e, in parte, da Regioni e Comuni – è di circa 100 milioni di euro l’anno ed è maggiore rispetto a quanto lo Stato incassa effettivamente dalle concessioni balneari (83 milioni gli incassi effettivi su 115 milioni nel 2019, unici dati disponibili)”.
Cosa si può fare sulla battigia?
Come dicevamo prima, la battigia è quella striscia di sabbia o costa su cui l’onda del mare si infrange, comunemente nota come bagnasciuga, o battima e riva. La battigia è lo spazio pubblico per eccellenza, nel senso che le regole valgono per tutti, sia che siamo in presenza di una spiaggia pubblica, sia in presenza di uno stabilimento balneare o spiaggia privata a pagamento. Sulla battigia è possibile transitare, spostandosi da una spiaggia all’altra. È possibile fermarsi per tuffarsi in mare, portando asciugamani per poggiare i vestiti sulla riva, giusto però il tempo necessario a fare un bagno e asciugarsi, dato che non è consentito sostare sulla riva, montare ombrelloni e sdraio propri. Queste norme valgono affinché non sia ostacolato il diritto di passaggio degli altri bagnanti e il corretto svolgimento delle operazioni di salvataggio.
Quante spiagge si possono dare in concessione?
Non esiste una norma nazionale per stabilire una percentuale massima di spiagge che si possono dare in concessione. Questo potere è delegato alle Regioni. Sempre stando all’ultimo rapporto Legambiente del 2019, le singole leggi regionali prevedono in media il 30% circa di spiagge libere o libere attrezzate con i soli servizi extra a pagamento. In altre regioni non ci sono norme. Poi ci sono esempi virtuosi come la Puglia dove l’ex assessore regionale Guglielmo Minervini nel 2006 si è fatto promotore di una legge che porta il suo nome e che fissa a 60 la percentuale di spiagge libere.
La situazione è in alto mare
A Roma, è ancora in corso la discussione sulle modalità di concessione e sulla durata delle stesse in termini temporali. Recentemente, il viceministro dello Sviluppo Economico, Gilberto Pichetto Fratin, ha assicurato che a ottobre 2022 saranno attuati i decreti del disegno di legge Concorrenza del governo Draghi. Ciò significa che a breve i Comuni devono essere pronti per preparare le gare d’appalto.
Il testo della legge Concorrenza, infatti, prevede che le concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per l’esercizio delle attività turistico-ricreative e quelle per la realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto, inclusi i punti d’ormeggio, in essere, continuano ad avere efficacia fino al 31 dicembre 2023 (oppure fino alla naturale scadenza se sono state assegnate tramite gara). Dal 2024 si dovrà procedere con gare ad evidenza pubblica, sulla base di regole che il governo, tenendo in considerazione le peculiarità del settore, definirà, al fine di assicurare un più razionale e sostenibile utilizzo del demanio marittimo, favorirne la pubblica fruizione e promuovere un maggiore dinamismo concorrenziale, in coerenza con la normativa europea.
Bisognerà inoltre definire dei criteri omogenei per l’individuazione delle aree idonee all’affidamento in concessione, assicurando l’equilibrio tra aree demaniali in concessione e aree libere o libere attrezzate e la presenza di varchi per raggiungere la battigia.
Le bacchettate dell’Unione Europea
Allo stato attuale la situazione delle spiagge e stabilimenti balneari in concessione è in altomare. A fare da bussola ci pensano i tribunali a colpi di sentenze, per colmare un vuoto legislativo che è come un buco nell’acqua.
Il problema delle concessioni demaniali è stato segnalato più volte dalla Corte Costituzionale e dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM). Inoltre, l’Italia è incappata in una procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea.
I nodi da sciogliere, in particolare, sono due:
- L’articolo 37, secondo comma, del codice della navigazione, il quale prevede che in presenza di più domande per il rilascio di una concessione demaniale marittima, venga riconosciuta preferenza al soggetto già titolare della concessione stessa (c.d. diritto di insistenza);
- L’articolo 01, comma 2, del D.L. n. 400/1993, il quale prevede che le concessioni demaniali marittime abbiano una durata di sei anni e siano automaticamente rinnovate ad ogni scadenza per ulteriori sei anni, a semplice richiesta del concessionario, fatto salvo il diritto di revoca di cui all’articolo 42 del codice della navigazione.
Il sistema italiano è andato in crisi con la prima sentenza del Consiglio di Stato del 2005 in merito a una concessione a Lignano Sabbiadoro. L’altra “picconata” arrivò in seguito a una direttiva europea sui Servizi del 2006, nota come direttiva Bolkestein, dal nome dell’allora eurocommissario al Mercato interno. La Bolkestein stabiliva che sia il rilascio di nuove concessioni, sia il rinnovo di quelle in scadenza, devono seguire procedure pubbliche, trasparenti e imparziali che consentano a nuovi operatori di concorrere su un piano paritario. A quella direttiva, che scatenò un polverone tra interessi pubblici e privati italiani, seguirono le lettere in mora della Commissione Ue del gennaio 2009 e del maggio 2010. La prima contestava all’Italia l’incompatibilità del “principio di insistenza” e del rinnovo automatico con i principi europei e la Bolkestein. La seconda è una replica al tentativo italiano di motivare le inadempienze. Da quelle bacchettate di Bruxelles è passato oltre un decennio, con una pandemia di mezzo.
I canoni “troppo bassi”
Ai due nodi da sciogliere, con gli aumenti dei costi dei servizi per quest’estate ai danni soprattutto dei consumatori, si sommano le critiche di chi sostiene da tempo che i canoni a carico delle imprese che pagano per ottenere la concessione demaniale siano troppo bassi. Il canone annuo minimo attualmente fissato per legge è inferiore a 2.500 euro, poco più di 200 euro al mese. L’AGCM sostiene che “a causa dei ridotti canoni che essi versano all’amministrazione cedente” ricavano “un prezzo più elevato rispetto al canone concessorio, che rifletterà il reale valore economico e l’effettiva valenza turistica del bene”. Non si innescherebbe in tal senso un libero mercato, quindi una vera concorrenza.
GLI ESEMPI VIRTUOSI – Nel rapporto emergono, però, anche esempi virtuosi come quello della Puglia che da tredici anni, grazie alla Legge Regionale 17/2006 (la cosiddetta Legge ‘Minervini’), ha stabilito il principio del diritto di accesso al mare per tutti e fissa una percentuale di spiagge libere del 60%. La Sardegna ha disciplinato l’esercizio delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo destinato ad uso turistico-ricreativo, attraverso le ‘Linee guida per la predisposizione del Piano di utilizzo dei litorali’. Legambiente ricorda che diverse sentenze della magistratura hanno ribadito i poteri dei Comuni nel garantire i diritti dei cittadini di fronte a concessioni balneari che impediscono il libero accesso al mare.
I diritti dei bagnanti e alcuni consigli per scegliere la vostra migliore spiaggia pubblica
Ricapitolando, e in attesa di leggi più chiare, i consumatori devono rivendicare i loro diritti, in particolare nell’attività balneare e nell’accesso alle spiagge. Lo stabilimento balneare a pagamento può solo interdire la sosta sullo spazio della spiaggia ottenuto in concessione, a meno che non si paghi il noleggio di un ombrellone. Ogni forma di divieto o richiesta di somme di denaro per l’accesso al mare rappresentano un abuso che va segnalato alle autorità.
Gli stabilimenti devono essere intervallati da spiagge libere, ma questo dipende dal “buongusto” e dalle scelte etiche delle singole Regioni.
Una via di mezzo può essere determinata dalla scelta di una spiaggia libera attrezzata, un’area demaniale marittima in concessione a un ente pubblico o soggetto privato che eroga servizi legati alla balneazione direttamente o con affidamento a terzi. La spiaggia libera attrezzata è caratterizzata da accesso libero e gratuito. I servizi sono a pagamento il cui costo spesso è proporzionato alla qualità dello stesso.
Per scegliere una spiaggia libera secondo i propri gusti e criteri, sappiate che il mondo delle app sta facendo notevoli progressi in tal senso. Diversi Comuni e località balneari si sono dotati di applicazioni gratuite e fruibili da tutti con mappe aggiornate con l’elenco di spiagge e insenature che spesso fanno da sfondo alle cartoline e riviste di tutto il mondo. Le spiagge simbolo in Italia sono solitamente pubbliche, ma anche affollate, a seconda dei periodi e delle condizioni meteorologiche e della ventilazione. Queste app per smartphone aggiornano gli utenti rispetto alle presenze nelle varie spiagge e, non a caso, si sono sviluppate durante la crisi sanitaria da covid-19 per evitare assembramenti al mare. Forniscono informazioni aggiornate e condividono recensioni.