La crociata (anche di Coldiretti) per i nuovi Ogm dimentica ancora il principio di precauzione

NUOVI OGM CRISPR

Si torna a parlare di nuovi Ogm dopo le aperture ai Crispr da parte di organizzazioni di agricoltori, in prima fila Coldiretti. Gianni Tamino, docente emerito di Biologia generale all’Università di Padova, oggi membro dei Comitati Scientifici dell’Associazione medici per l’ambiente- ISDE, ci spiega perché i problemi siano tutt’altro che superati come qualcuno afferma.

 

Da qualche anno si discute molto di nuove biotecnologie genetiche (New Breeding Techniques o NBT), cioè di tecnologie di modificazione genetica, ovvero di nuovi OGM, simili agli organismi transgenici (ottenuti per trasferimento di geni di specie differenti); in particolare l’attenzione è rivolta a tecniche chiamate cisgenesi e genome editing.

A differenza della transgenesi, che con la tecnica del DNA ricombinante introduce nelle piante geni provenienti da specie diverse, la cisgenesi, facendo uso della medesima tecnica, permette di ottenere piante geneticamente modificate che sono simili a quelle di partenza, perché il gene o i geni derivano da una pianta donatrice dello stesso genere o specie.

Affidarsi al caso?

La tecnica della cisgenesi vuole dunque ovviare al problema dell’introduzione di un gene proveniente da specie differenti, ma l’inserimento del cisgene nel genoma avviene in modo casuale come nella transgenesi, per cui nell’espressione genica potrebbero sorgere comunque imprevisti. Ecco cosa dichiarava a questo proposito il premio Nobel Dulbecco in un articolo, apparso su Repubblica, del 22/11/2002: “Ci sono molti esempi che dimostrano una connessione tra le funzioni di geni apparentemente indipendenti. Per esempio, coi metodi oggi a disposizione è possibile determinare il grado di attività di tutti i geni in una cellula; ed è stato dimostrato che introducendo un nuovo gene in una cellula, la funzione di un gran numero di altri geni viene alterata: non è sufficiente introdurre un gene nell’organismo per determinarne l’effetto, che invece dipende da quali altri geni sono già presenti.”      

Le forbici molecolari

Ma l’attenzione dei biotecnologi molecolari è rivolta soprattutto ad una tecnica molto più precisa e promettente: l’editing genomico. La nuova metodica si avvale di “forbici molecolari” appositamente progettate (nucleasi), che sono enzimi che tagliano il DNA in punti specifici e che possono essere programmati per tagliare in siti target predeterminati. Si tratta dunque di un metodo più preciso della vecchia transgenesi, in quanto consente di inserire il frammento di DNA in un punto specifico del genoma, ma comunque il gene inserito è di fatto in condizione “trans”, cioè può derivare da qualsiasi genoma, così come avviene nella tradizionale ingegneria genetica. Per queste ragioni le modificazioni introdotte possono causare ancora effetti fuori bersaglio e effetti “sul bersaglio” imprevedibili, oltre a mutazioni legate al processo.

Non conosci il Salvagente? Scarica GRATIS il numero con l'inchiesta sull'olio extravergine cliccando sul pulsante qui in basso e scopri cosa significa avere accesso a un’informazione davvero libera e indipendente

Sì! Voglio scaricare gratis il numero di giugno 2023

Il genome editing

Questo problema sussiste anche con l’ultimo strumento di genome editing, chiamato CRISPR/Cas9, che è facile da usare, economico e ha un alto tasso di efficienza nel modificare il DNA sul sito target. Ma l’idea di “precisione” si focalizza erroneamente solo sul livello del DNA e dei suoi nucleotidi. Manca la contestualizzazione nei livelli successivi, vale a dire l’intero genoma (e le relazioni tra geni, come spiegato da Dulbecco), il livello epigenetico (cioè le possibili modifiche nella lettura dei geni, senza modificarne la composizione nucleotidica) e quello dell’intero organismo.

Dubbi sono emersi proprio sulla tecnica del taglia-incolla del Dna con il metodo Crispr. Come afferma la pubblicazione “New Techniques in Agricultural Biotechnology- Brussels, 28 April 2017,  Directorate-General for Research and Innovation “, quando un nuovo gene viene introdotto sia con metodi di NBT come di vecchia transgenesi, questo gene può interagire con l’intera serie di geni endogeni dell’organismo ricevente, come già aveva evidenziato Dulbecco. I potenziali effetti desiderati e indesiderati non possono sempre essere previsti.

Alla luce di queste considerazioni anche eventuali organismi modificati con tali tecniche devono essere considerati OGM, cioè non equivalenti a quelli ottenuti con gli incroci convenzionali e come tali devono essere soggetti alla normativa vigente sugli OGM. In tal senso si è espressa, nel luglio del 2018, la Corte di Giustizia Europea (causa C-528/16), che ha stabilito che gli organismi ottenuti mediante le nuove tecniche devono essere considerati organismi geneticamente modificati, ai sensi della direttiva 2001/181.

Presunta sicurezza e vecchi ricordi

Le affermazioni, non documentate, di sicurezza, derivate dalla presunta precisione di questi metodi ricordano, così come le promesse, le dichiarazioni della prima ora sui vantaggi dei primi OGM.

Ma varie ricerche documentano una storia diversa; ecco alcuni esempi:

  1. Nell’articolo pubblicato il 16/07/2018 su Nature Biotechnology “Repair of double-strand breaks induced by CRISPR–Cas9 leads to large deletions and complex rearrangements” di Michael Kosicki, Kärt Tomberg & Allan Bradley, si afferma: “Utilizzando un sequenziamento a lunga lettura e genotipizzazione PCR a lungo raggio, mostriamo che le rotture del DNA introdotte da RNA / Cas9 a guida singola spesso si risolvono in delezioni che si estendono su molte kilobasi. Inoltre sono state identificate  lesioni distali al sito di taglio e eventi di crossover. Il danno genomico osservato nelle cellule mitoticamente attive causato da CRISPR-Cas9  editing può avere conseguenze patogene.

2.             Nel 2016 ricercatori della ditta Recombinetics avevano modificato con tecniche di genome editing bovini per renderli privi di corna e affermarono su Nature Biotechnology che “nel DNA degli animali modificati non sono rilevabili alterazioni molecolari impreviste di alcun tipo”.  Al contrario un’indagine della FDA (“Template plasmid integration in germline genome-edited cattle”, Alexis L. Norris, Stella S. Lee, Kevin J. Greenlees, Daniel A. Tadesse, Mayumi F. Miller & Heather A. Lombardi  – Nature Biotechnology-volume 38 ,  pages 163–164, 2020) ha fatto emergere che il DNA di bovini ingegnerizzati impiegando le procedure di gene-editing, conteneva due geni batterici per la resistenza agli antibiotici (neomicina/kanamicina e ampicillina), con problemi di ordine sanitario.  I ricercatori della FDA affermarono:  ”La nostra analisi ha scoperto l’integrazione eterozigote involontaria del plasmide e una seconda copia della sequenza del modello di riparazione, nel sito di destinazione. La nostra scoperta sottolinea l’importanza di utilizzare metodi di screening adatti a rilevare in modo affidabile l’integrazione involontaria di plasmidi e copie multiple di modelli.

  1. Secondo quanto riportato da due studi differenti, uno del Karolinska Institutet e l’altro dell’università di Helsinki, pubblicati su Nature Medicine 24 del 2018la tecnica Crispr potrebbe aumentare il rischio di sviluppare tumori, se applicata a cellule umane.

Le ‘forbici’ molecolari della Crispr, usate per correggere le parti ‘difettose’ del Dna, sono attualmente oggetto di sperimentazioni sull’immunoterapia e le malattie ereditarie del sangue. Però si è visto che le cellule ‘tagliate’ e ‘modificate’ dalla Crispr sono percepite dalla proteina p53 come ‘danneggiate’, che quindi cerca di eliminarle.

Inoltre va considerato che ciascuna sequenza di un gene, presente sul DNA, può dare origine a diversi RNA messaggeri (splicing alternativo) che produrranno proteine differenti. Qualunque inserimento di sequenze estranee, attraverso il meccanismo di splicing, può dare origine a risultati indesiderati.

Il problema del brevetto

Le nuove tecnologie permettono a chi ottiene una nuova pianta o animale di poterli brevettare, ma in tal modo si renderanno sempre più dipendenti i piccoli agricoltori (come la maggior parte dei soci di Coldiretti) da multinazionali in grado di realizzare organismi con tecniche NBT e poi di brevettarli.

In conclusione, precauzione

Nonostante un’ampia mole di pubblicazioni indichino rischi e pericoli per l’ambiente e per la salute, nonché una scarsa convenienza economica, almeno in Europa, gli OGM vecchi e nuovi sono periodicamente indicati, da pubblicazioni sia scientifiche che divulgative, come la soluzione dei problemi agroalimentari del futuro, sfruttando anche la particolare situazione di incertezza determinata dalla pandemia e dalla recente guerra russo-ucraina.

Questi studi hanno lo scopo di dimostrare che gli Ogm hanno rese più elevate e che non rappresentano pericoli per i consumatori. Ma il famoso affare «Monsanto Papers» ha dimostrato come molte ricerche su Ogm e glifosato siano state condizionate dalla multinazionale ed è anche emerso che l’Agenzia Americana per la Protezione dell’Ambiente (EPA) ha coperto per anni la Monsanto sugli effetti del glifosato.

I rischi ipotizzabili per l’utilizzo di prodotti derivati dalle moderne biotecnologie richiedono un’attenta valutazione e, fino a quando non saranno pienamente valutabili alla luce di nuovi studi e conoscenze, si dovrà applicare il principio di precauzione, un principio previsto dalla Convenzione sulla biodiversità, approvata nel 1992 a Rio de Janeiro e sottoscritta da molti paesi (tra cui tutti quelli europei, ma non dagli Stati Uniti), che prevede come affrontare tra gli altri, i rischi degli OGM. In base a tale principio, fatto proprio dall’Unione Europea con il Trattato di Maastricht, una sostanza chimica, un processo produttivo o un OGM non vanno considerati, come si faceva finora, innocui finché non è stata determinata la loro pericolosità sulla base di danni, malattie e morti, ma vanno considerati sicuri solo quando, al di là di ogni ragionevole dubbio, non presentano rischi rilevanti e irreversibili per l’ambiente o per la salute.

Un esempio di applicazione di tale principio nel diritto internazionale si trova nel Protocollo sulla Biosicurezza, approvato a Cartagena, in cui si prevede l’adozione del principio di precauzione nella gestione del problema degli OGM, riconosciuti come potenzialmente portatori di rischi e pertanto da manipolare, utilizzare e trasferire in condizioni di sicurezza. Il Protocollo all’art.10.6 chiarisce:

“la mancanza di certezze scientifiche dovute a insufficienti informazioni e conoscenze riguardanti la portata dei potenziali effetti negativi di un organismo vivente modificato sulla conservazione e l’utilizzazione sostenibile della diversità biologica nella Parte d’importazione, tenendo conto anche dei rischi per la salute umana, non dovrà impedire a tale Parte di adottare decisioni adeguate rispetto all’introduzione di OGM, al fine di evitare o limitare tali effetti potenzialmente negativi.”