Una profumata e fumante tazza di caffè è un momento irrinunciabile per svegliarsi al mattino, per chiudere un pranzo o per fare qualche minuto di pausa con i colleghi o con gli amici al bar. Purtroppo per diverse problematiche correlate alla salute, non tutti possono permettersi di bere i classici 3 o 4 caffè al giorno e c’è chi ha fastidi anche bevendone soltanto uno. Dalla gastrite all’ipertensione, esistono molte condizioni in cui il caffè può far male. C’è poi chi soffre di ansia e il consumo anche di un solo caffè può comportare un aumento della frequenza cardiaca che, anche se temporaneo, è dannoso e infine chi evita il caffè perché segue un regime macrobiotico o ayurvedico.
Come fare in questi casi a non rinunciare a un effetto stimolante come quello della caffeina se non possiamo bere caffè? Esistono una miriade di alternative, tutte caratterizzate dal tipico gusto amaro che anticipa l’attività stimolante di altre molecole in un processo che in psicologia è definito “rinforzo positivo”: una sensazione di benessere sempre più forte in risposta al gusto amaro.
Impariamo a scegliere le giuste alternative al caffè, valutandone la qualità merceologica e salutistica.
Ginseng? Mica tanto
Al bar ma anche nelle ultratecnologiche macchinette a cialde e capsule a uso domestico, una delle alternative al caffè più in voga negli ultimi anni, è il caffè al ginseng, che contiene meno caffè e quindi meno caffeina.
Il ginseng in fitoterapia è un adattogeno, che permette a chi lo assume di resistere meglio allo stress (un po’ come la pausa caffè insomma), ma in quello del bar o per casa, è presente davvero in tracce. Se prendiamo un grande marchio come Nescafè con le sue capsule della linea Dolce Gusto, la percentuale di ginseng è dello 0,15%, come se fosse un aroma. Gli ingredienti principali sono: latte in polvere (55,2%), zucchero (21%) e caffè solubile (19,3%).
Un po’ di più (1,7%) è presente nelle capsule Note d’Espresso di Nespresso, dove però il primo ingrediente – quindi il più presente di tutti – non è nemmeno lo zucchero da cucina, ma il pessimo sciroppo di glucosio. Quelli del bar solitamente contengono l’1% di ginseng, un 8% di caffè, circa il 30% di latte e poi tutto il resto è zucchero. Non è certo un’alternativa salutare.
Un ritorno all’antica: la cicoria
Un prodotto migliore è invece il caffè di cicoria che (de gustibus) si avvicina molto più del ginseng al sapore del caffè e non contiene caffeina. In Europa l’abitudine al caffè di cicoria viene dalla Seconda Guerra Mondiale a seguito del taglio drastico all’importazione di caffè dalle Americhe. Dalla tostatura della radice della cicoria si ottiene una polvere che ha molti elementi in comune con il caffè: sostanze astringenti come i polifenoli e poi i lattoni sesquiterpenici responsabili dell’effetto stimolante simile a quello della caffeina.
Inoltre il caffè di cicoria contiene inulina che ha un’importante azione probiotica e la cosa fondamentale è che nella lista degli ingredienti è presente soltanto la cicoria.
I sostituti orientali
Un’alternativa che negli ultimi anni è davvero di moda, tanto che la troviamo anche come gusto caratterizzante di snack, gelati e bevande, è il tè matcha. Non è proprio vicino al gusto del caffè, quanto più al tè – come dice il nome stesso – e, a differenza del caffè di cicoria, viene da agricoltura non Ue. Per cinesi e giapponesi è l’equivalente del nostro caffè. Come per il caffè di cicoria, l’unico ingrediente è il tè matcha, ma la caffeina, anche se in piccole quantità, è presente più del classico tè verde; per questo motivo in Oriente viene assimilato al caffè.
Il successo del tè matcha proviene dalle presunte proprietà benefiche che lo rendono un “superfood”, grazie al suo quantitativo di antiossidanti. In realtà quest’affermazione non è del tutto vera, perché riguarda il matcha biologico di qualità super premium, che non troviamo nella grande distribuzione e che ha costi davvero proibitivi (in media 500-600 euro al kg) a differenza di quelli commerciali (in media 100-150 euro al kg). Diversi aspetti in questi ultimi fanno diminuire il contenuto di antiossidanti: la macinazione industriale anziché quella lenta a pietra, l’omissione della cottura a vapore post-raccolta che blocca l’ossidazione e la mancata rimozione del gambo e della nervatura delle foglie.
Tra le alternative un po’ meno diffuse c’è il chai, che viene dall’India ma che riscuote molto successo in Occidente, che altro non è che un tè nero mescolato con spezie come zenzero, cardamomo, pepe, chiodi di garofano, anice… Quasi sempre si beve con il latte, come il nostro cappuccino e per questo motivo in commercio troviamo preparazioni solubili che contengono già questo ingrediente. Purtroppo non contengono solo latte. Nell’Original Chai Latte Tiger Spice David Rio troviamo anche: zucchero, olio di cocco, sciroppo di mais, il latte sotto forma di caseinato di sodio e i mono e digliceridi degli acidi grassi. Nel Chai Latte della Nordic Roast: zucchero, latte soprattutto sotto forma di siero e poi scremato in polvere, grassi idrogenati da cocco, maltodestrine, sciroppo di glucosio e una sfilza di additivi (E551, E341, E340, E452, E471) antiagglomeranti, stabilizzanti e i mono e digliceridi degli acidi grassi.
Meglio acquistare Chai biologico in foglie e spezie e poi aggiungerci il latte.