L’inquinamento atmosferico aumenta il rischio di mortalità da Covid

COVID

Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Environmental Science and Pollution Research dimostra, per la prima volta in maniera diretta e con un approccio clinico, che il rischio di mortalità in pazienti ospedalizzati per Covid-19 dipende dai livelli di inquinamento atmosferico di biossido di azoto (NO2), inquinante prevalentemente prodotto dal traffico veicolare e dal riscaldamento domestico alimentato da fonti fossili. Secondo le conclusioni cui giunge lo studio, l’esposizione al biossido di azoto nelle settimane precedenti il ricovero è in grado di generare alterazioni del sistema immunitario e di aumentare il rischio di mortalità in pazienti con polmonite Covid-19, in maniera indipendente dall’età.

Primo autore dello studio è Agostino Di Ciaula, Presidente del Comitato Scientifico dell’International Society of Doctors for Environment (ISDE Italia). I risultati ottenuti direttamente dalla valutazione clinica di pazienti affetti da COVID-19 rafforzano ipotesi già formulate da studi precedenti di tipo epidemiologico e suggeriscono che l’inquinamento atmosferico può favorire l’infezione virale e condizionare un’evoluzione sfavorevole della malattia in pazienti costretti al ricovero.

Considerazione di rilievo derivante da questo studio è che misure di prevenzione primaria finalizzate a ridurre l’inquinamento atmosferico, specie in ambito urbano, potrebbero significativamente ridurre la vulnerabilità individuale e la gravità dell’infezione, soprattutto in soggetti a rischio.

Poco meno di due anni fa, quando eravamo agli esordi della pandemia un position paper un documento che esprime e circostanzia le convinzioni scientifiche) firmato da diversi professori delle università di Trieste, Milano, Bologna e Bari e da membri della Sima, Società Italiana Medicina Ambientale aveva già dato un ruolo all’inquinamento nella diffusione del virus.

Il report avanzava sostanzialmente l’ipotesi che l’ampia e rapida diffusione del virus SARS-CoV-2 verificatasi nelle prime settimana di marzo del 2020 in alcune regioni del Nord Italia era stata determinata, in parte o in larga parte, dalla presenza/permanenza del coronavirus nel particolato atmosferico. L’idea sottesa è che l’inalazione degli inquinanti atmosferici (aerosol) siano di per sé in grado di trasferire l’infezione virale dall’aria agli esseri umani.

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