L’industria italiana della carne costa circa 17,5 miliardi di euro all’anno per la lavorazione e il consumo di manzo, maiale e pollo italiani. A questi occorre aggiungere i costi sanitari e ambientali legati al consumo delle proteine animali che ammontano a 19,1 miliardi. Se sommiamo queste cifre si arriva a 36,6 miliardi di euro all’anno, cifra che si ricava da un recente studio della Lav affidato a Demetra, cocietà di consulenza in ambito di ricerca scientifica sulla sostenibilità .
Se infine confrontiamo il costo complessivo – 36,6 miliardi – con il fatturato annuo del comparto italiano delle carni che è di circa 30 miliardi di euro si arriva alla conclusione dell’inchiesta di Bruno Decc pubblicata su Sentient Media e ripresa da Animal Equality: “L’industria della carne in Italia costa più di quanto guadagna”.
Ogni anno, in Italia, quasi 600 milioni di animali vengono macellati e venduti per un totale di 2,6 milioni di tonnellate di carne e ogni consumatore porta in tavola circa 76 kg di carne ogni anno. Il consumo di carne, specie quella rossa, è sospettato di favorire alcune patologie come l’ictus, diabete di tipo 2 e cancro colorettale. Sulla base di queste considerazioni Lav-Demetra ha stimato che il costo annuale della salute per l’Italia in termini di perdita di anni di vita e di anni di vita in buona salute a causa della carne è di circa 19,1 miliardi di euro.
Scrive Decc: “Alla fine del 2020, SgMarketing ha valutato che il ritorno dell’allevamento e della lavorazione della carne del paese è di 25 miliardi di euro all’anno. La piattaforma di dati commerciali Statista aveva una stima più favorevole per il 2021: 36,4 miliardi di euro con un tasso di crescita annuale del -0,4% fino al 2025. Il calcolo del rapporto LAV sui costi sanitari e ambientali della carne per il pubblico italiano va da 19,1 a 92,3 miliardi di euro, con una media di 36,6 miliardi di euro. Questi numeri pongono l’industria della carne in Italia in deficit, con costi nascosti che vanno dal 60 al 300% rispetto alle entrate totali dell’industria“. Insomma un impatto davvero insostenibile.
Gli allevamenti intensivi sottraggono “suolo” e risorse boschive rendendo più fragile il territorio e lo espongono al rischio idrogeologico. Senza poi considerare l’impatto sulla salute umana del consumo di carne rossa. “Nel 2017 – si legge ancora nell’inchiesta di Sentient Media – i ricercatori italiani hanno usato una meta-analisi per calcolare quante morti potrebbero essere evitate semplicemente abbassando l’assunzione di carne alle linee guida della dieta mediterranea. Hanno trovato una riduzione tra il 2,3 e il 4,5% per il cancro del colon-retto, e tra il 2,1 e il 4,0% per le malattie cardiovascolari – con cali più elevati tra i maschi. Quattrocentocinquantaquattro donne con cancro endometriale hanno partecipato a un altro studio dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche di Milano, Italia, che ha trovato una forte associazione statistica tra la loro condizione e le abitudini alimentari, in particolare a causa di una dieta ricca di carne rossa e povera di verdure”.
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Quale sarebbe il beneficio di una filiera più sostenibile? “Se l’industria della carne potesse eliminare le sue esternalità – ovvero le spese ambientali, sanitarie e sociali – entro un anno, il Pil totale italiano di 1,7 trilioni di euro crescerebbe di circa il 2,1%. Questo margine – conclude Decc – rappresenta il costo totale della produzione di carne per la società , un costo con cui gli italiani convivono ancora oggi”.