Il bugiardino non era sufficientemente chiaro ad informare dei rischi correlati all’assunzione del Lipobay, il farmaco anticolesterolo della Bayer ritirato volontariamente dal commercio nel 2001. Per questa ragione, i giudici della Corte di Cassazione hanno condannato la casa farmaceutica a risarcire (non è stata resa nota la cifra) un medico veneziano che aveva iniziato la terapia con questo farmaco nel 1999 per poi sviluppare seri problemi ai muscoli e alla respirazione, con conseguenti ricoveri.
Il bugiardino? Deve indicare rischi non generici
Nella sentenza i giudici forniscono anche alcune indicazioni generali sulle caratteristiche che deve possedere un bugiardino. La Cassazione scrive il suo ‘decalogo’ e avverte che il foglietto illustrativo dei farmaci non deve sostanziarsi “in una mera avvertenza generica circa la non sicurezza del prodotto”. E’ invece “necessaria” una “avvertenza idonea a consentire al consumatore di acquisire non già una generica consapevolezza in ordine al possibile verificarsi dell’indicato pericolo in conseguenza dell’utilizzazione del prodotto bensì effettuare una corretta valutazione (in considerazione delle peculiari condizioni personali, della particolarità e gravità della patologia nonchè del tipo di rimedi esistenti) dei rischi e dei benefici al riguardo, nonchè di adottare tutte le necessarie precauzioni volte ad evitare l’insorgenza del danno, e pertanto di volontariamente e consapevolmente esporsi al rischio”. Il consumatore sarà chiamato a rispondere di concorso di colpa nel caso “di sottovalutazione o abuso del farmaco”.
Il richiamo è solo un’attenuante
Senza successo, la difesa di Bayer ha contestato in Cassazione il verdetto emesso dalla Corte di Appello di Venezia il 27 febbraio 2018 che aveva liquidato i danni non patrimoniali al medico rimasto ‘vittima’ del Lipobay, il dottor Roberto T. il quale aveva sviluppato la “miopatia dei cingoli” in seguito all’assunzione del prodotto del quale era venuto a conoscenza tramite gli informatori scientifici della società farmaceutica.
Ad avviso della Suprema Corte, correttamente i giudici di merito hanno ravvisato “l’esistenza nella specie della difettosità del farmaco al momento della relativa commercializzazione a cagione del principio attivo (cerivastatina) in esso contenuto, determinante l’accentuato rischio di malattie del muscolo rispetto a dosi equipollenti di altre statine, e, pertanto, una minore sicurezza del medesimo rispetto ad altri farmaci della stessa categoria (ipocolesterolemizzanti)” come evidenziato dalla Ctu. Gli ‘ermellini’ rilevano inoltre che il ritiro del farmaco dal commercio, “pur se volontario, depone invero per la violazione del principio di precauzione anteriormente all’immissione in commercio”. Quindi anche quando Big Pharma corre ai ripari, il ‘ravvedimento’ è una ‘attenuante” .
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