“La Dad non è scuola”. Con questo appello molti studenti sono scesi in piazza nei giorni scorsi, chiedendo le condizioni per un rientro sicuro a scuola e spiegando che la didattica a distanza non può sostituire quella in presenza.
Difficile dargli torto. Ma il tema della Dad è indubitabilmente diventato uno degli aspetti con cui fare i conti nella scuola. Un modo di insegnare e apprendere con il quale dobbiamo imparare a convivere, specie se si fanno i conti con quanto accaduto fino a ora, con le zone d’ombra e quelle di esperienze di successo che pure ci sono.
Il Salvagente ha dedicato un servizio alla didattica a distanza proprio nel numero in edicola, ascoltando diversi protagonisti del mondo della scuola. Tra questi Roberta Romussi che insegna latino e greco al liceo Carducci di Milano. E ci tiene a sottolineare subito un aspetto decisivo della sua esperienza: “Sono consapevole di parlare da un osservatorio privilegiato, in cui non c’è mai stato un problema di connessione, di device, dove le cose sono andate piuttosto bene, anche se non tutti avevano uno spazio proprio in cui collegarsi e studiare; ma so bene che non è stato così ovunque”.
Secondo una ricerca svolta tra aprile e giugno scorsi dalla Sird, la Società italiana di ricerca didattica, infatti, la percentuale dei “non raggiunti” è tra il 6 e l’8% e dei “parzialmente raggiunti” tra il 16 e il 18% (tranne che per la scuola dell’infanzia dove si raggiunge il 13% dei “non raggiunti” e il 24% dei “parzialmente raggiunti”).
Non è come in guerra
La professoressa Romussi, tuttavia, cerca di vedere gli aspetti positivi di questa esperienza: “Lo faccio per carattere – scandisce – ma anche per dare un senso a quello che abbiamo vissuto. Non credo sia corretto trasmettere agli studenti l’idea che si sia trattata di una parentesi da cancellare, se non vogliamo che ci sia una ‘generazione Covid’. Non è come in una guerra; noi stiamo facendo scuola, è faticoso il triplo, certo, ma lo stiamo facendo: io però vorrei che quello che sta accadendo adesso intaccasse qualcosa”.
Oggi, mentre il futuro continua a essere incerto, “possiamo dire che ci siamo trovati – riferisce Romussi – a vivere una fase totalmente sperimentale, nella quale sono state fatte formazioni per lo più interne alle scuole. Lavoriamo sempre in condizioni di emergenza, una seria formazione sulla dad non è stata fatta, neanche nella fase di passaggio: ci si è preoccupati solo di riaprire, ma invece qualche riflessione sarebbe stata necessaria”.
Sempre più stanchi della Dad
In ogni caso si va avanti, giorno dopo giorno, “anche se ammetto di vederli più stanchi, adesso; fanno fatica a trovare stimoli, non hanno nessuno sfogo. Sono chiusi in casa. E ogni mattina riaccendono il pc. I ragazzi dell’ultimo anno cominciano anche a essere preoccupati per l’esame di maturità; se si dovesse proseguire in dad vedo difficile un esame con la seconda prova come nulla fosse… inoltre, questa situazione è un duro colpo anche all’autonomia dei ragazzi: sono sempre in casa, spesso con i genitori presenti che in qualche caso vogliono ascoltare anche le lezioni, sono molto sorvegliati…”.
I nodi sono tanti, insomma. E la dad, oltre alla didattica, porta con se un’altra serie di problemi. Ma, nell’ottica di fare tesoro del vissuto, la professoressa Romussi si sofferma anche sulle conquiste: “Abbiamo sperimentato insieme, noi insegnanti e i ragazzi ci siamo trovati allo stesso livello. Da questo nuovo approccio vengono fuori aspetti interessanti. Ci si accorge che è bello condividere immediatamente filmati, immagini, documenti su cui lavorare”. Un esempio: “Ho messo in piedi un romanzo condiviso in 28. Chissà se mi sarebbe venuto in mente senza la dad, forse no”. Non solo: “In dad è forte la necessità di essere il più possibile interattivi e stimolanti. Si fa più fatica a fare lezione, nel modo classico, faticano a seguire dallo schermo. Se imposti una lezione in cui spieghi, è evidente che le distrazioni sono maggiori. Quindi bisogna trovare il modo per attivarli. Trovo interessante il lavoro per stanze, in cui tu, docente, guidi il lavoro. Ecco, questa ricerca e questa sperimentazione sperimentate in dad potrebbero dare impulso alla didattica in presenza rendendola più inclusiva e sperimentale. L’interrogazione diventa una riflessione, un’interpretazione di contenuti. In questo modo, forse, la didattica per competenze di cui tanto si parla potrebbe dare un impulso, accelerare dei processi. Come scuola ci siamo interrogati sul senso di far ripetere delle nozioni e abbiamo elaborato un sistema di valutazione per competenze per la dad”.
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Cambiamo la scuola, seriamente
Nel bene o nel male, insomma, a causa della pandemia, “la scuola è tornata al centro del dibattito, e va bene, purché si arrivi a realizzare qualcosa: ma mancano le idee, manca un grande progetto culturale dagli anni 30; non esiste più quella forza culturale per cui la scuola corrisponde a una visione del mondo. La nostra scuola è figlia dell’idealismo: esiste qualcuno che ha forza di ripensare questo sistema?”, si chiede l’insegnante del Carducci, che aggiunge: “Le ultime riforme sono state tutte di superficie; ci sono tante cose su cui riflettere. Le scuole superiori ad esempio sono come dei tunnel in cui, se ci si accorge di aver sbagliato scelta, è difficile cambiare strada. Bisogna fare gli esami integrativi, ma non è semplice. Ha senso tutto ciò? Sarebbe forse meglio un biennio comune a cui associare materie opzionali?”. È ora di iniziare a pensare a questo e a molto altro per la professoressa Romussi, “fare una riflessione complessiva su obiettivi e metodi, approfittando di questa situazione”. E riaprire un dialogo tra le diverse componenti e con i genitori attivare una collaborazione: “Al Carducci organizziamo tre giorni di co-gestione in cui sono coinvolte anche le famiglie, è un momento bello, di apertura, il patto con loro viene rinnovato, alla pari. Forse dovremmo renderci conto del fallimento degli organi collegiali, frutto di tante lotte, e rifondarli, riempiti di altri obiettivi, non solo tecnici”.
L’auspicio, per il futuro prossimo, è che si agisca con più chiarezza: “Un altro stop and go sarebbe dannoso per i ragazzi, a questo punto; nella nostra scuola si è formato un movimento di studenti che chiedono di tornare in presenza, ma in sicurezza. Erano bravi, hanno fatto molti sforzi che hanno visto in pochissimo tempo…”. Fantasticando ancora sul futuro post-Covid, la professoressa Romussi non è contraria alla possibilità di una giornata in dad alla settimana. “Non do niente per scontato, ma vorrei che ci fosse un pensiero, una riflessione che riporti davvero la scuola al centro delle decisioni”.