Il 54% delle specie batteriche intestinali del nucleo umano sono potenzialmente sensibili al glifosato. Anche a piccole quantità come quelle che troviamo, purtroppo troppo spesso, negli alimenti, come testimoniano i test del Salvagente. L’ulrima conferma, come sanno bene i nostri lettori, è arrivata dalle analisi di fagioli e ceci in scatola, realizzate dal nostro giornale su 16 legumi venduti da tutti i supermercati.
A confermare sulla rivista ScienceDaily quello che sempre più scienziati ipotizzano, sono i ricercatori dell’Università di Turku in Finlandia che hanno sviluppato un nuovo strumento bioinformatico per prevedere se un microbo, ad es. un batterio intestinale umano, è sensibile all’erbicida più utilizzato nella storia dell’umanità.
Il rischio glifosato per il microbiota
“Il glifosato prende di mira un enzima chiamato EPSPS nella via dello shikimato. Questo enzima è fondamentale per sintetizzare tre amminoacidi essenziali. Sulla base della struttura dell’enzima EPSPS, siamo in grado di classificare l’80-90% delle specie microbiche in sensibili o resistenti al glifosato “, ha spiegato il docente Pere Puigbò, sviluppatore del nuovo strumento di bioinformatica.
Gli effetti sul microbiota umano, la popolazione di 500 specie diverse di batteri che vivono nel nostro intestino, potrebbero essere ovviamente molto seri. E avere pesanti riflessi sulla nostra salute.
L’importanza del microbiota
“Oramai è chiaro che il microbiota nell’intestino non si limita solo ad aiutare la digestione” spiega il professor Alberto Ritieni in una delle sue ultime rubriche Miti Alimentari, per il Salvagente. E prosegue: “Il microbiota svolge delle funzioni sorprendenti e molto più avanzate di quanto si pensi. Occorre pensarlo come un “organo” perché è sensibile agli stimoli esterni, da cui i famosi “torcimenti” dopo una discussione animata, o i problemi dovuti a un cambio di alimentazione troppo brusco, ma risponde a questi stimoli dando vita a degli effetti magari poco gradevoli. Di solito il microbiota è personalissimo, pari all’impronta retinica e meglio di una digitale perché la popolazione dei batteri e la loro distribuzione è unica per ognuno di noi. Il microbiota riduce il contatto dei contaminanti con la parete intestinale, oltre a produrre vitamine, ormoni o acidi grassi protettivi. È eterogeneo, ma relativamente costante anche se cambia durante la vita per cui negli anziani hanno una flora intestinale differente rispetto alla loro gioventù”.
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E il ruolo sulla nostra salute
Che impatto sulla nostra salute potrebbe avere un effetto come quello ipotizzato in questa nuova ricerca? Ritieni spiega: “La “disbiosi” equivale a un microbiota malato che può essere coinvolto nell’obesità, nell’ipercolesterolemia e risente di stati infiammatori, di forme tumorali, ma anche degli stress psicofisici. Molti lo considerano il nostro secondo cervello che condiziona l’attività del primo procurandoci migliorando lo stato di benessere o provocando un malessere generale. Un microbiota sano rinforza il sistema immunitario ed alcuni studi dimostrano la connessione tra la flora intestinale e una maggiore resistenza alle infezioni virali e altri studi lo vedono addirittura coinvolto, se disbiotico, come concausa in alcune patologie di tipo psicologiche”.