Cos’è l’edilizia convenzionata
È realizzata sulla base di convenzioni tra il Comune e le imprese di costruzione o cooperative, stipulate ai sensi dell’articolo 35, legge 865/1971 (le cosiddette “convenzioni Peep”). Prevede due formule principali: piena proprietà dell’immobile; concessione sul terreno in diritto di superficie.
I requisti per ottenerla sono:
• cittadinanza italiana o titolo equivalente;
• non possedere altre abitazioni nello stesso Comune;
• reddito non superiore ad una certa soglia (aggiornata periodicamente dalle Regioni);
• residenza o domicilio lavorativo nel Comune dove è ubicato l’immobile.
Il vincolo è un prezzo massimo di cessione e canoni calmierati per le locazioni;
Le novità sulle affrancazioni
- Il corrispettivo per la rimozione dei vincoli di cessione al prezzo massimo calcolato in base alla legge 448 del ’98, verrà abbattuto del 50 per cento per chi affranca sia una casa in diritto di proprietà sia in diritto di superficie (la proprietà del terreno è pubblica e non riscattata).
- Per chi affranca in diritto di superficie, inoltre, è previsto un ulteriore abbattimento del 50 per cento.
- Anche il numero degli anni restanti per la validità della convenzione, ovvero la differenza tra gli anni della durata della convenzione e quelli trascorsi dalla sua firma, verrà tenuto in considerazione ai fini del calcolo dell’ammontare finale. Il Comune può decidere di concedere una dilazione del pagamento del corrispettivo dietro garanzie fideiussorie rilasciate da banche o assicurazioni.
- La stipula della nuova concessione potrà avvenire dopo il pagamento della prima rata.
- Infine si punta su procedure trasparenti e semplificate da parte dei Comuni, come l’adozione di schemi di convenzione tipo (il Comune di Roma ha già reso possibile simulare online la stima del corrispettivo). Per affrancare un immobile, infatti, non basta versare il corrispettivo economico ma è necessario firmare una nuova convenzione con l’amministrazione.
La bomba sociale sull’edilizia convenzionata
La vicenda delle case in affrancazione ha prodotto i suoi effetti all’indomani di una sentenza della Cassazione, la n. 18135, che nel 2015 ha stabilito che gli immobili di edilizia agevolata, dovevano essere rivenduti sempre a prezzo calmierato, nella prima così come in tutte le successive compravendite. In pratica, per un appartamento acquistato al prezzo calmierato di 100.000 euro e rivenduto al prezzo di mercato di 300.000 euro, il secondo acquirente ha tutto il diritto di richiedere indietro la differenza di prezzo, ben 200.000 euro. Immaginate come all’indomani della sentenza i “secondi acquirenti” di queste case abbiamo fatto la corsa a chiedere i soldi pagati e non dovuti con gli effetti che è facile ipotizzare. Fin da subito si è invocato un intervento legislativo che è arrivato solo nel 2018, con un emendamento al decreto fiscale che consentiva ai proprietari-venditori di pagare il diritto di affrancazione e regolarizzare quindi la vendita fatta. Mancava il decreto attutivo che è arrivato in questi giorni.
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Una storia che ha origini lontane
L’Italia è piena di immobili costruiti in convenzione. Qualche anno fa Il Salvagente aveva raccontato molto dettagliatamente quanto stava accadendo a Roma dove questi immobili sono 200.000 (Milano ha appena 9.000 immobili convenzionati) distribuiti in 125 piani zona. Da Tor Vergata al Laurentino, da Casal Boccone a Spinaceto, da Ponte Galeria a Tor Sapienza, non c’è zona periferica della Capitale che non abbia la sua edilizia convenzionata, quello strumento urbanistico pensato per dare una risposta al disagio abitativo degli italiani meno abbienti e trasformato in occasione di speculazione. Anna è in causa con il suo acquirente: le ha chiesto 378.000 euro. Stefania ha ricevuto una richiesta di 161.000 euro. Davide di 250.000 euro. Ma la lista è lunga e il conto finale complessivo impressionante: 22 milioni di euro. E i soldi da restituire, almeno non tutti, nessuno ce li ha, impiegati per lo più per l’acquisto di una nuova casa.
Migliaia di romani nei guai
A Roma per decenni le case acquistate a prezzi “calmierati”, stabiliti in base alle convenzioni stipulate tra il Comune e il costruttore (privati e cooperative) sono state rivendute a prezzi di libero mercato. Gli atti sono stati trattati come normali compravendite: le agenzie immobiliari proponevano gli acquisti, le banche erogavano i mutui, il Comune firmava i nulla osta che davano il via libera all’operazione, i notai eseguivano i rogiti, la giurisprudenza in più occasioni diceva che era tutto Ok. Una prassi, uno schema ripetuto migliaia di volte, senza l’ombra di un dubbio.
Eppure si trattava di edifici ricompresi nei Peep, i Piani per l’edilizia economica popolare, per i quali l’art. 35 della legge n. 865 del 1971 prevede, proprio per evitare speculazioni, che le convenzioni con il Comune contengano i criteri per la determinazione del prezzo di cessione. Dunque qualche sospetto doveva pur venire. Il fatto è che le convenzioni stipulate dal Comune di Roma, da cui dovevano risultare limpidamente tutti i vincoli che gravavano su quegli immobili, al contrario non sono mai state chiare, alcune rinviando alla legge, altre ponendo dei limiti temporali (10 o 5 anni) ai vincoli, altre ancora semplicemente tacendo sul punto.
Il “nulla osta” del Comune di Roma
Per questo, chi intendeva cedere l’alloggio acquistato in regime di convenzione si rivolgeva al Comune per avere lumi: insomma, posso vendere a prezzo di mercato o devo rispettare dei vincoli? La prassi, ora discutibile ma certamente consolidata negli uffici capitolini, era quella di rispondere con un “nulla osta” che autorizzava la vendita a qualsiasi prezzo e a chiunque, dato che nelle convenzioni in vigore non si riscontravano vincoli di sorta. I dirigenti comunali, quindi, autorizzavano, confortati anche da sentenze della Cassazione e note del Consiglio nazionale del Notariato che concordavano a quel tempo sul fatto che i criteri normativi di determinazione del prezzo fossero applicabili solo al primo acquirente e non ai successivi. E così si è andati avanti per anni e anni. Fino al brusco risveglio del 2015: a settembre, con la sentenza n. 18135, le Sezioni Unite della Cassazione scombinano le carte stabilendo al contrario che i vincoli non solo ci sono, perché discendono direttamente dalla legge (la 865 del 1971) e non importa se le convenzioni non ne parlano, ma seguono l’immobile sine die, senza scadenze.
Affrancazioni troppo facili
A meno che – dicono i giudici – non sia stata stipulata una convenzione ad hoc tra privato cittadino e comune. La convenzione ad hoc sarebbe quella prevista dal comma 49 bis all’art. 31 della legge 448 del 1998, comma introdotto nel 2011 per agevolare il mercato immobiliare. La norma prevede che i vincoli di prezzo possono essere rimossi trascorsi 5 anni dal primo trasferimento, attraverso una convenzione da stipularsi con atto pubblico tra proprietario e Comune e pagando un certo corrispettivo al Comune. È in pratica l’affrancazione (che costa dai 10 ai 50mila euro), per cui il proprietario dell’alloggio paga al Comune una certa somma per liberarsi di qualsiasi vincolo sull’immobile.
Ma – e qui sta il bello – anche dopo che la legge ha offerto questa possibilità, il Comune di Roma ha continuato ad autorizzare la libera compravendita di immobili Peep secondo la vecchia prassi, almeno fino al maggio del 2016, quando una delibera dell’ex commissario straordinario Francesco Paolo Tronca regola per la prima volta la procedura di affrancazione (che a Milano, per dire, è stata predisposta appena sei mesi dopo che la legge del 2011 l’aveva introdotta).