L’Environmental Protection Agency (Eps), agenzia Usa che si occupa di protezione dell’ambiente, continua a ritenere insufficienti le prove scientifiche che anche bassi livelli di pesticida Clorpirifos danneggino il cervello dei bambini. Nella sua terza valutazione del rischio sul clorpirifos pubblicata lunedì, infatti, l’Epa afferma che la scienza che affronta gli “effetti sul neurosviluppo del pesticida rimane irrisolta”. Eppure, già dal gennaio 2020, la Commissione Europea ha vietato l’uso e la commercializzazione di prodotti fitosanitari contenenti Clorpirifos, seppure con delle deroghe.
L’accusa di Eartjustice
“L’Epa sta ignorando decenni di scienza delle principali università e, così facendo, sta trascurando il suo dovere di proteggere i bambini dai pesticidi”, ha affermato Patti Goldman, avvocato responsabile di Earthjustice, ong ambientalista Usa. “Ignorare il danno dimostrato ai bambini non rende il clorpirifos sicuro, mostra solo un impegno a mantenere un pesticida tossico nel mercato e nel nostro cibo a tutti i costi”.
I danni alla salute per i bambini
Il clorpirifos è solo uno delle dozzine di pesticidi organofosfati (Op) legati ai danni al cervello in via di sviluppo dei bambini. Un numero crescente di prove mostra che l’esposizione prenatale a livelli molto bassi di clorpirifos – livelli molto inferiori a quelli utilizzati dall’EPA per fissare limiti normativi – danneggia i bambini in modo permanente. Gli studi dimostrano che l’esposizione al clorpirifos e ad altri pesticidi OP durante la gravidanza, è associata a minor peso alla nascita, disturbi da deficit di attenzione, disturbo dello spettro autistico, QI ridotto e perdita della memoria di lavoro. Eppure, secondo Earthjustice, l’Epa sta ora mettendo in discussione gli studi perché afferma che i ricercatori non possono rilasciare i dati grezzi senza violare la privacy dei partecipanti allo studio. Precedenti valutazioni del rischio hanno mostrato che i lavoratori sono a rischio anche con l’equipaggiamento più protettivo. L’Epa ha reimpostato i numeri per ridurre il numero di usi che richiedono protezioni aggiuntive per i lavoratori e l’eliminazione delle esposizioni.
Le pressioni per cambiare idea
I documenti stessi dell’Epa mostrano che Corteva, il più grande produttore di clorpirifos, ha incontrato l’Agenzia e forse esercitato pressioni. La cronologia dei cambiamenti di posizione dell’Epa, secondo l’Ong è una prova della condotta opaca: Nel dicembre 2014, l’Epa ha pubblicato una valutazione del rischio che rileva la contaminazione pericolosa dell’acqua potabile da clorpirifos e ha proposto di vietare il clorpirifos dal cibo nel novembre 2015. Nel novembre 2016, l’Agenzia ha pubblicato una valutazione del rischio per la salute umana rivista per il clorpirifos che ha confermato che il clorpirifos non è sicuro negli alimenti e la deriva dei pesticidi, oltre all’acqua potabile, con i bambini esposti a livelli di sicurezza 40 volte superiori. “L’amministrazione Trump ha interrotto il processo,- scrive l’Onge – innescando una serie di azioni legali da parte di Earthjustice per conto di dozzine di lavoratori agricoli e gruppi sanitari. Nel luglio del 2019 l’Epa ha risposto a una scadenza breve rifiutando nuovamente di vietare il clorpirifos dal cibo. La sfida di Earthjustice a tale decisione è stata discussa nella Corte d’appello del Nono Circuito nel luglio 2020 e siamo in attesa di una decisione”.
La California lo vieta
Nel frattempo, la California ha emesso due valutazioni del rischio che hanno rilevato che il clorpirifos non è sicuro. Corteva ha contestato l’ordine di cancellazione della California, ma ha risolto accettando di porre fine al 99% degli usi di clorpirifos nello stato. Nel febbraio 2020, Corteva ha annunciato che avrebbe smesso di produrre e vendere chlorpyrifos, ma a quanto sembra la partita non è chiusa. Earthjustice ha citato in giudizio l’EPA per aver escluso scienziati indipendenti dai suoi comitati consultivi, con la scusa che “gli scienziati accademici finanziati con fondi pubblici hanno un conflitto di interessi squalificante”, mentre allo stesso tempo consente agli scienziati pagati dalle industrie inquinanti di farne parte.
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