Un fondo che non ha mancato di far discutere. E non solo in Gran Bretagna dove è uscito oggi su The Guardian. D’altra parte le parole di Arwa Mahadawi pesano come pietre. Scrive la columnist sul giornale internazionale: “Il riciclo della plastica è una truffa. Smistate diligentemente i vostri rifiuti, lavate diligentemente i vostri contenitori di plastica, poi tutto viene buttato in discarica o comunque gettato nell’oceano. OK, forse non tutto, ma la stragrande maggioranza”.
E non si tratta di accuse senza prove. Secondo un’analisi, solo il 9% di tutta la plastica mai prodotta è stata probabilmente riciclata, spiega l’autrice. Che non fa sconti: “Ecco il bello: le aziende che producono tutta quella plastica hanno speso milioni in campagne pubblicitarie per tenerci lezioni sul riciclaggio, sapendo benissimo che la maggior parte della plastica non verrà mai riciclata”.
A muovere gli strali della Mahadawi una nuova indagine della National Public Radio (NPR) e del Public Broadcasting Service (PBS) che riporta come le grandi compagnie petrolifere e del gas che producono plastica sanno da decenni che è improbabile che il riciclaggio della plastica avvenga su larga scala a causa dei costi elevati coinvolti. “Non erano interessati a investire denaro o sforzi reali nel riciclaggio perché volevano vendere materiale vergine”, ha detto a NPR Larry Thomas, ex presidente di uno dei gruppi commerciali più potenti dell’industria della plastica. C’è molto più denaro da guadagnare vendendo plastica nuova che riutilizzando la vecchia roba. Ma, per continuare a vendere nuova plastica, l’industria ha dovuto ripulire la sua immagine dispendiosa. “Se il pubblico pensa che il riciclaggio stia funzionando, allora non sarà così preoccupato per l’ambiente”, ha osservato Thomas. E così un’enorme quantità di risorse è stata dirottata in un intricato “teatro della sostenibilità”, spiega il reportage del Guardian.
La ricostruzione porta a una tesi interessante della giornalista: “Il sotterfugio sul riciclaggio della plastica è anche un importante promemoria di quanto cinicamente e con successo le grandi aziende abbiano trasferito l’onere della lotta alla crisi climatica sui singoli. Questo potrebbe essere meglio incapsulato in una famosa campagna pubblicitaria andata in onda negli Stati Uniti negli anni ’70 con lo slogan “Le persone iniziano l’inquinamento. Le persone possono fermarlo. ” La campagna è stata creata da un gruppo senza scopo di lucro chiamato Keep America Beautiful, che è stato pesantemente finanziato da aziende di bevande e imballaggi con un interesse acquisito nel convincere le persone di essere loro la colpa di un pianeta inquinato, non del capitalismo”.
Gli esempi non mancano: “Chevron, Exxon, BP e Shell sono responsabili di oltre il 10% delle emissioni climatiche mondiali dal 1965 – spiega la Mahadawi – ma siamo stati convinti con successo che le persone iniziano l’inquinamento e le persone possono fermarlo. Che se voliamo di meno e ricicliamo di più, il pianeta andrà bene. In una certa misura è giusto: deve esserci un livello di responsabilità personale quando si parla di emergenza climatica. Dobbiamo tutti fare la nostra parte. Ma l’azione individuale è una piccola goccia in un oceano fortemente inquinato; abbiamo bisogno di un cambiamento sistemico per fare la differenza. E, più di ogni altra cosa, dobbiamo cambiare ciò che apprezziamo. Ciò che mi frustra di più della propaganda sull’impronta di carbonio della BP è quanto sia intelligente. C’è così tanta ingegnosità umana nel mondo, ma è tutta diretta verso le cose sbagliate”. Come darle torto?
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