Smart working, smart schooling e Fase 2. Mentre sui social tutti si improvvisano politologi, epidemiologi, economisti e statistici all’occorrenza, c’è un tema di cui poco si discute ma che resta, torna e si manifesta nella quotidianità di chi la vive sulla propria pelle e, ancor di più quando è in corso una crisi come quella esorbitante scatenata dall’emergenza Covid-19: il lavoro femminile.
Perché se dal 4 maggio una buona parte del Paese davvero si appresterà a tornare ad una apparente normalità, è facile immaginare che ancora una volta a farne le spese saranno le donne. Il lavoro di cura non cessa mai: i bambini sono bambini sempre e gli anziani in sofferenza anche. Una domanda è evidente: se i genitori torneranno alle loro mansioni sul luogo di lavoro, chi resterà con i figli? E’ facile ipotizzare che toccherà ancora una volta alle donne, se non ci si attrezza perché il sostegno e le pari opportunità non siano solo uno slogan.
Quattro avvocate di Bologna hanno ragionato in questi giorni su questo tema e sono Clelia Alleri, Francesca Stangherlin, Mara Congeduti e Sabrina Pittarello dello Studio legale associato che da metà degli anni Settanta si occupa di lavoro.
“E’ da sempre così: le situazioni di crisi accentuano il problema e creano i presupposti perché si acuisca – scandisce l’avvocata Alleri – e se la risposta sono il bonus baby sitter e il congedo parentale che abbiamo visto nella fase 1, dobbiamo ribadire con forza che si tratta di strumenti che possono risultare accettabili per un tempo contenuto, determinato, ma poi basta”.
Insomma, se l’emergenza si protrae è necessario che si mettano in pista strumenti “veri”, che “si ridisegni tutta la struttura del sistema e che si pensi ad esempio, nel caso dei piccolissimi, a studiare piccoli gruppi educativi, anche casalinghi, che riuniscano tre o quattro bambini in modo da offrire un servizio, garantire attività formativa e contenere il pericolo del contagio”, aggiunge Alleri. Che pensa a questo tipo di soluzioni più per una fascia d’età che va dai piccolissimi al massimo fino alla scuola primaria.
Welfare e scuola: due piani diversi
Aprire le scuole in fretta, insomma, non può essere la soluzione nell’immediato. “Ci siamo confrontati con soggetti coinvolti ed è evidente che sia necessario, prima di aprire, preparare il personale per garantire la sicurezza sul lavoro”, aggiunge l’avvocata bolognese, suggerendo un tema ribadito anche dal segretario della Cgil Maurizio Landini, che ha firmato venerdì 24 aprile l’accordo con il governo per integrare il Protocollo di sicurezza necessario all’avvio della Fase 2.
Basta fare anche piccoli esempi quotidiani: “Se la candeggina è il prodotto che dovrà essere utilizzato in abbondanza per sanificare ripetutamente gli ambienti, siamo certi che questo non abbia conseguenze sulla salute dei lavoratori e dei bambini?”, si chiede Alleri.
Il senso del ragionamento, in fondo, sta nel fatto che non si può risolvere un problema di Welfare riaprendo le scuole. “È necessario mantenere un equilibrio tra diritto alla salute, diritto alla sicurezza e alla scuola: non è facile, ma bisogna lavorarci perché siamo in ritardo e il pericolo che le ripercussioni siano tutte a carico delle donne è reale”.
Insomma, per Alleri “vanno implementati gli strumenti che sono stati messi in campo fino ad oggi, vanno ripensati perché davvero si possano garantire lavoro agile e bambini a casa, lavoro fuori e bambini di cui prendersi cura attraverso incentivi veri alle famiglie affinché non sia messa a rischio la tenuta della parte femminile nel mercato del lavoro”.
Dall’inizio dell’emergenza a oggi
Le quattro avvocate ricostruiscono in un articolo quanto accaduto dal punto di vista del lavoro dall’inizio dell’emergenza fino ad arrivare alle ultime dichiarazioni della ministra Lucia Azzolina che ha comunicato la non riapertura delle scuole fino a settembre, destando grande preoccupazione nelle famiglie.
“Non può non evidenziarsi come le misure complessivamente introdotte dal d.l. 18/2020 (relativamente a congedi genitoriali e bonus baby-sitting, ndr) per rispondere a una temporanea “sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche delle scuole di ogni ordine e grado”, a fronte del venir meno di tale carattere temporaneo, e della annunciata riapertura delle scuole solo a partire dal mese di settembre, si rivelano sotto diversi aspetti insufficienti”, scrivono le avvocate in un articolo pubblicato sul loro sito. Insufficienti perché, innanzi tutto “si trasferisce il “rischio” economico insito nell’emergenza sanitaria in atto direttamente sulle famiglie”: il congedo per covid-19 copre, infatti, al massimo 15 giorni della prestazione lavorativa ed è retribuito con un’indennità pari al 50% della retribuzione, “mentre l’importo di 600 euro del bonus baby-sitting consente di retribuire appena 60 ore di lavoro della baby sitter, che riescono a coprire poco più di una settimana lavorativa da 40 ore del genitore che ne usufruisce”. Ma, oltre a questo, ribadiscono le avvocate, “si delinea il pericolo di una progressiva fuoriuscita delle donne dal mercato del lavoro, in particolare in alcuni contesti lavorativi, nei quali già esiste un gap retributivo tra uomini e donne a parità di mansioni svolte, nonché nelle aree sociali e nelle famiglie (soprattutto straniere) più a rischio”.
E’ vero che, alla luce della parità genitoriale – il congedo è pensato per entrambi i genitori, ma è altrettanto vero che esiste “il rischio che la parificazione tra le figure genitoriali nella gestione delle nuove esigenze familiari determinate dalla pandemia in atto, resti più una petizione di principio che una concreta modalità di organizzazione e conciliazione delle nuove esigenze di vita e di lavoro”.
Ecco perché è necessario che, in fretta, si pensi ad altri strumenti che siano vicino alle famiglie e a chi come le donne, al loro interno, rischia di farsi carico di tutto l’enorme peso – economico e sociale – della crisi in corso.
Insieme alla Fisac-Cgil le avvocate hanno realizzato anche un volantino che serve da vademecum per le donne in cassa integrazione, dove possono reperire informazioni utili alla loro situazione.