Benessere animale, Bellanova apre all’etichettatura. Associazioni: “Sì ma non sia ingannevole”

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“Siamo fortemente convinti che l’etichettatura degli alimenti, regolamentata a livello europeo, può agire da volano per il miglioramento dei nostri sistemi di allevamento, ridurre il consumo dei farmaci, e migliorare la qualità dei prodotti e il livello di fiducia dei consumatori”. La ministra Teresa Bellanova apre alla possibilità di avere un’etichettatura che segnali sulle confezioni il livello di benessere animale ricordando che il Mipaaf insieme al ministero della Salute e le Regioni stanno lavorando a un sistema di misurazione del benessere animale “Classyfarm“, presentato ai Capi servizi veterinari nel corso della riunione di Helsinki nel novembre scorso.  “Il benessere animale – ha concluso Bellanova in una nota – gioca un ruolo di primo piano nel miglioramento della sostenibilità delle produzioni zootecniche e nella lotta contro la resistenza antimicrobica e rappresenta quindi uno degli obiettivi chiave da raggiungere nel prossimo ciclo di programmazione della Politica agricola comune, sia per sostenere la competitività delle diverse filiere zootecniche che per la gestione delle problematiche sanitarie. Per questo servono adeguati sostegni economici pubblici per gli allevatori”.

“Se non si informa sulle gabbie si inganna il consumatore”

Non si è fatta attendere la risposta delle associazioni animaliste CIWF Italia, Enpa, Greenpeace e Legambiente che in una nota hanno precisato: “Accogliamo con favore la proposta di etichettare secondo il potenziale di benessere animale i prodotti di origine animale in maniera univoca in tutta la Ue, ma chiediamo al ministro Bellanova di sostenere l’indicazione dei diversi metodi di allevamento in etichetta e criteri ambiziosi per l’etichettatura degli allevamenti al coperto. Se l’etichetta ‘benessere animale’, ad esempio, non indicasse chiaramente se un animale è allevato in gabbia o meno i cittadini si sentirebbero ingannati”.

Indicare il metodo di allevamento in etichetta, come ad esempio avviene per le uova, e puntare a criteri ambiziosi per gli allevamenti al coperto, ovvero quelli in capannoni chiusi, è fondamentale per garantire informazioni chiare e libertà di scelta ai consumatori” ribadiscono le associazioni.

Il rischio? “1,1 mq per un suino sarebbe ottimale”

Il progetto di certificazione italiano in fase di sviluppo –  disponibile qui – desta grandi preoccupazioni nelle associazioni, che hanno già sottolineato come i criteri per accedere alla certificazione per gli allevamenti suinicoli siano di pochissimo superiori ai limiti di legge. Il rischio? “Verrebbe certificato il ‘benessere animale’ di allevamenti che forniscono 1,1 mq di spazio per ogni suino che nel nostro paese può raggiungere e superare i 170 kg di peso, ovvero solo lo 0,1 mq in più rispetto al limite di legge. Al momento, sarebbero certificati ‘benessere animale’ anche prodotti derivanti da suini nati da scrofe tenute in gabbie così strette da non potere neanche girarsi su stesse”.

L’uso di gabbie va indicato in etichetta

“Se l’allevamento prevede l’uso delle gabbie, questo deve essere sempre indicato in etichetta – concludono le associazioni – e i criteri per l’allevamento al coperto devono essere necessariamente più ambiziosi, altrimenti anche questa etichettatura finirà per essere percepita dai consumatori unicamente per quello che è: greenwashing. Chiediamo perciò al Ministro Bellanova di farsi portatrice dell’istanza dei cittadini e tutelare il vero made in Italy: in etichetta sia indicato il metodo di allevamento e i criteri di certificazione si distinguano nettamente dal mero rispetto della legge”.

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